Filippo Gravagno, Giusy Pappalardo,
Alessia Denise Ferrara, Venera Pavone
Negli ultimi anni sono cresciuti in Italia sia la consapevolezza della diffusione della presen- za delle mafie sull’intero territorio nazionale1
che una certa rassegnazione verso il destino di quei territori e di quei contesti dove il feno- meno ha trovato le sue origini costituendone ormai carattere endemico. Si tratta di contesti spesso costituiti da quartieri, parti delle peri- ferie storiche e moderne di molte città, aree rurali del sud che da decenni sono stabilmen- te fuori dal controllo delle istituzioni e in cui intere comunità sono ostaggio del potere eser- citato da clan e attività mafiose. Luoghi dove le comunità spesso sono costrette a costruire differenti e perversi meccanismi di socializ- zazione e dove è evidente ormai il dominio di quel particolare sistema sociale indicato in letteratura come “sistema sociale mafiogeno” (Sanfilippo, 2005).
La consapevolezza della rilevanza e gravità dell’ingerenza del sistema sociale mafiogeno nelle dinamiche della vita democratica della Sicilia e le sue conseguenze sulle possibilità di riscatto e crescita economica e sociale dell’i- sola2 ha indotto, negli ultimi anni, l’Ateneo
di Catania a istituire - insieme a Libera, Save the Children e a numerose altre associazioni di volontariato che operano in Sicilia nei campi dell’antimafia attiva - laboratori didattici in- terdipartimentali aperti alla società civile e volti ad accrescere la consapevolezza critica e la cultura dell’antimafia degli studenti e, più in generale, degli abitanti dell’isola3.
Nell’esperienza di questi laboratori didattici, che costituiscono parte importante del pro- gramma di Terza Missione che l’Ateneo ha adottato, si inserisce l’attività del laboratorio dedicato ai “Paesaggi delle mafie”. Questo la- boratorio parte dalla constatazione che molte delle politiche di contrasto alle mafie, messe sino a oggi in campo, non solo non hanno pro- dotto i risultati attesi, ma in alcuni contesti hanno spesso contribuito al loro rafforzamen- to oltre che a radicalizzare nelle comunità una sfiducia verso le istituzioni. In questo scritto si intende restituire una prima sintetica rasse- gna dei quadri epistemologici e metodologici da parte dei magistrati. Si buttò nell’edilizia pri-
vata, ma passando dalla Sicilia alla Toscana”5. Si
tratta di un passaggio cruciale su cui varrebbe la pena di cercare ulteriori e più diffuse con- ferme, perché andrebbe a rafforzare l’opinione che la pressione anticorruttiva sugli appalti, anche in ragione della combinazione tra più af- finati strumenti di indagine e persistente scar- sità di investimenti pubblici, passo dopo passo sottrae centralità a questo settore, facendo al contempo emergere una nuova centralità rap- presentata dalle operazioni immobiliari. Teniamo presente, a proposito della citazione dal film di Rosi, che non solo sono cambiate le attitudini della grande criminalità, ma è ra- dicalmente mutato il quadro normativo, che in alcune regioni prevede esplicito invito ai privati a partecipare all’iter formativo dei piani urbanistici, sollecitandoli a presentare proget- ti ed iniziative di rilevante interesse pubblico che possano legittimamente essere integrati negli strumenti di pianificazione6. Ciò che era
vietato a Edoardo Nottola, obbligandolo alla gestione diretta del potere, oggi non solo è con- sentito, ma è reso praticamente obbligatorio. In Lombardia ad esempio, la concertazione degli interessi, individuata come la metodologia più idonea a tutelare le diverse componenti sociali del territorio, è in realtà diventata il modo attra- verso cui le rappresentanze proprietarie fanno prevalere le proprie istanze di lobby.
Abbiamo detto del recente spazio di infiltrazio- ne che può schiudersi alla criminalità rappre- sentato dalle sofferenze bancarie. Resta da ve- dere se la regia pubblica del governo territoriale sarà in grado di arginare la saldatura tra questo spazio di natura finanziaria con le grandi possi- bilità offerte dal contesto normativo. Un brutto segnale in questa direzione ci sembra la disin- voltura e la superficialità con cui si parla trop- po spesso di grandi piani urbanistici, come ad esempio i parchi sovra comunali, come solu- zioni per mettere in sicurezza grandi porzioni di verde pubblico e capaci di assicurare al con- tempo sviluppo economico. Non deve sfuggire che, mentre nel passato la creazione di parchi pubblici veniva energicamente ostacolata dal- la cosiddetta lobby del cemento ora viene addi- rittura agevolata. La ragione sta nel fatto che si è ormai largamente affermata la poco lungimi- rante opinione secondo cui l’acquisizione pub- blica delle aree può effettuarsi soltanto in conto oneri, come contropartita di vasti programmi edificatori. Un caso significativo su cui sarebbe opportuno che la magistratura accendesse un
faro riguarda la prevista costituzione del parco della Martesana, un progetto dal nome virtuo- so che rischia di essere stravolto a fini a dir poco oscuri. L’idea originaria nasce una decina d’an- ni fa, come strumento a carattere sovracomu- nale per una migliore e più adeguata program- mazione dei servizi collettivi, ma ben presto si trasforma in un semplice parco lineare lungo il naviglio. L’ultima trovata, su cui convergono alcuni comuni dell’est milanese, consiste inve- ce nell’utilizzo di questo strumento per una più vasta operazione urbanistica a compensazione di una serie di operazioni immobiliari di più che dubbia legittimità, qualcuna impantanata nella crisi, qualcuna in fase d’avvio e qualcuna ancora dormiente. Anche qui i tempi lunghi del mercato immobiliare, il forte bisogno di liquidità e la pressione delle banche desidero- se di ripulire i bilanci possono schiudere ampi varchi al denaro sporco.
1. Vedi M. De Gaspari, Malacittà. La
finanza immobiliare contro la società civile, Mimesis, Milano-Udine, 2010.
2. E. Barbieri, N. Erba, Il bandito dell’Isola, Milieu Edizioni, Milano, 2013. 3. Cristina Fabrizi, Raffaella Pico, Luca
Casolaro, Mariano Graziano, Elisabetta Manzoli, Sonia Soncin, Luciano Esposito, Giuseppe Saporito, Tiziana Sodano, Mercato
immobiliare, imprese della filiera e credito: una valutazione degli effetti della lunga recessione,
Occasional Papers, Questioni di Economia e Finanza, Banca d’Italia, marzo 2015. 4. Vedi M. De Gaspari, Bolle di mattone. La
crisi italiana a partire dalla città. Come il mattone può distruggere un’economia,
Mimesis, Milano-Udine, 2013.
5. Elio Lannutti, Voce delle voci, 24 0ttobre 2005. 6. Vedi l’indagine condotta da C. Mantovan,
M. Baretta, Veneto orientale: speculazione edilizia e infiltrazione criminale. Analisi
di un modello di sviluppo territoriale,
Legambiente Veneto e Osservatorio Ambiente e Legalità Venezia, 2014.
del Laboratorio di didattica sui “Paesaggi delle Mafie”, oltre che una prima riflessione sulle attività in corso.
Quadri epistemologici e metodologici
Il laboratorio didattico è stato istituito dall’Uni- versità degli Studi di Catania nel 2014. Esso è oggi coordinato da due docenti4 - uno afferen-
te alle discipline del progetto e l’altra a quelle pedagogiche - e in particolare si propone di analizzare e ragionare su come tali discipline possano congiuntamente intervenire e contri- buire al contrasto delle mafie, a partire dalla ridefinizione di nuovi percorsi esperienziali di comunità. Nella implementazione di questi percorsi il Laboratorio si richiama esplicita- mente e fa tesoro di alcune costruzioni teori- che ormai consolidate che ruotano attorno alle dinamiche che legano ciascuna comunità ad uno specifico territorio5. Nelle premesse della
sua azione è insita infatti la convinzione dell’e- sistenza di una corrispondenza biunivoca tra la forma del territorio e l’organizzazione sociale. Ciò porta a considerare il territorio come esito e, allo stesso tempo, fattore condizionante di una data organizzazione sociale, costituendo quindi il territorio e l’organizzazione sociale facce complementari di una unica cornice di dinamiche relazionali. Coerentemente con i presupposti epistemologici della ecologia del progetto il Laboratorio sui Paesaggi delle Mafie tenta quindi di dare vita a strategie di interven- to che si propongono di guardare alla triade in- dividuo-società-ambiente (Pizziolo&Micarelli, 2003).
Le attività del laboratorio sono informate da sperimentazioni di ricerca-azione partecipata (Whyte, 1997), interpretando tale approccio quale strumento per un apprendimento col- lettivo volto alla costruzione di nuove pratiche creative dell’agire urbano. In particolare, og- getto di attenzione di questo laboratorio sono sia i percorsi educativi e formativi attraverso cui evolve la personalità degli individui nei contesti ad alta presenza mafiosa - le pedago- gie mafiose (Schermi, 2010)6 - sia le dinamiche
sociali ed economiche che regolano i mecca- nismi del vivere associato di queste comunità, ovvero le pratiche dell’abitare (Cellammare, 2008; Crosta, 2010) da cui prendono forma l’or- ganizzazione spaziale e il paesaggio di questi territori (Gravagno, 2008). Le sperimentazioni di percorsi di ricerca-azione partecipata, in cui vi sono abitanti, studenti, volontari e operato- ri del terzo settore, insieme a operatori istitu-
zionali dei settori socio-assistenziali, docenti ed altre figure esperte, tutti operanti alla pari, danno vita ad un processo teso a identificare e a far emergere i quadri valoriali presenti nel contesto, le dinamiche relazionali dispiegate da questi quadri ma soprattutto volto a tentare delle modalità di risposta ad alcuni dei bisogni e dei desideri immediati della comunità.
Sperimentazioni in corso e riflessioni a margine
Il laboratorio propone e sperimenta pratiche di ricerca-azione orientate all'ideazione e produ- zione di nuove configurazioni spaziali, in aree in precedenza derelitte ovvero vandalizzate e/o abbandonate, comunque fuori dal controllo delle istituzioni e dello Stato, cercando di tra- sformarle in luoghi capaci di dare vita a nuove forme e nuovi meccanismi di socializzazione. In queste pratiche sia il percorso di ideazio- ne e progettazione, che di realizzazione delle spazialità, costituiscono momenti e strumen- ti utili alla sperimentazione di meccanismi e pratiche pedagogiche volte principalmente a rafforzare abilità e competenze collaborative, cooperative e mutualistiche e a destrutturare quei quadri valoriali individuali e quei modelli comportamentali, altrimenti informati e con- taminati dalle traiettorie pedagogiche mafiose che alimentano e strutturano gran parte delle dinamiche correnti presenti nei territori abitati e prodotti dai sistemi sociali mafiogeni7.
Attualmente il laboratorio è impegnato in una attività di accompagnamento del “Punto Luce”, una struttura Save the Children di aiuto per le mamme e i soggetti svantaggiati che abitano nel quartiere di San Giovanni Galermo a Cata- nia, volta alla progettazione e realizzazione di un orto di comunità. Il percorso di progettazio- ne e costruzione dell’orto di comunità intende offrire un'opportunità di apprendimento col- lettivo per tutti i soggetti che partecipano al progetto,finalizzata in primo luogo a destruttu- rare le dinamiche ancorate alle pedagogie ma- fiose prevalenti nel contesto e successivamen- te a informare nuovi meccanismi dell’agire collettivo in cui i valori condivisi siano ispirati a comportamenti cooperativi e collaborativi e soprattutto rispettosi dei principi di giustizia e legalità. In questo percorso il laboratorio apre alle mamme, ai bambini e agli abitanti la pos- sibilità di acquisire nuove abilità che vanno dall’apprendimento di tecniche volte all’auto- progettazione degli spazi, alla realizzazione di manufatti di varia natura, sino alla costruzione
di piccoli impianti d'irrigazione e all’apprendi- mento di tecniche colturali attraverso cui sod- disfare alcuni bisogni alimentari e acquisire nuove conoscenze utili ad una corretta alimen- tazione. In questo processo essi hanno la possi- bilità di sperimentare dei meccanismi capaci di restituire loro autostima, abilità cooperative e auto-organizzative, ma soprattutto una nuova fiducia verso le istituzioni e il principio di lega- lità. Allo stesso tempo sono di non secondaria importanza anche i benefici tratti dai ricerca- tori e dagli studenti che partecipano al labora- torio e che, attraverso questo progetto, hanno modo di sperimentare pratiche di Community Design (Dean &Hursley, 2005) e acquisire im- portanti competenze nel campo dell’ascolto e della comprensione di dinamiche sottese ai meccanismi sociali d’uso della città. In questo scambio l’Università riesce non solo a offrire nuove occasioni formative per i suoi studenti e ricercatori, fortemente ancorate ai bisogni emergenti del territorio, ma anche a realizzare la sua funzione di motore per l’innovazione sociale e territoriale ovvero quella funzione di service learning (Reardon, 2006) territoriale che rientra tra i compiti della sua terza missione.
1. Questa consapevolezza è ampiamente confermata dal crescente numero di indagini giudiziarie che certificano, spesso anche con sentenze passate in giudicato, la presenza di attività mafiose in contesti sino a pochi anni addietro ritenuti ancora scevri al fenomeno. Essa ha tuttavia contributo ad adottare, nell’ordinamento giuridico italiano, nuove importanti misure volte soprattutto al contrasto della forza economica, dei sodalizi criminali e degli ingenti patrimoni finanziari, relativi all’organizzazione mafiosa.
2. Ciò soprattutto alla luce delle nuove traiettorie di trasformazione del fenomeno mafioso che vedono un crescente coinvolgimento di figure tecniche e colletti bianchi nei meccanismi di gestione e di promozione degli interessi del sodalizio criminale. 3. Questi laboratori didattici trovano un
radicamento nelle attività di strutture di ricerca dell’ateneo, quali il LabPEAT (un laboratorio di ricerca afferente al Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura dell’Università degli Studi di Catania), che da tempo hanno assunto quale proprio argomento di ricerca il rapporto tra territorio e mafie tentando di sperimentare e mettere in campo strategie di contrasto a tale fenomeno. Il LabPEAT si è posto come obiettivo di lavorare per la trasformazione di quei territori della Sicilia Orientale in
cui le dinamiche mafiose contaminano e condizionano gran parte delle relazioni sociali ed economiche delle comunità che le abitano. Tra gli assunti del LabPEAT è insita la convinzione che per contribuire alla trasformazione di certi contesti sia necessario esserne parte ovvero costituirne una embodiedmind capace di farsi contaminare e di contaminare il campo, oltre alla
convinzione che qualsiasi forma di riscatto ha bisogno di profondi cambiamenti interni alle comunità; cambiamenti che costituiscono processi in perenni divenire, rispetto ai quali occorre mettere in campo una azione capace di adattarsi e adeguarsi alle trasformazioni del sistema.
4. In particolare, il lavoro del laboratorio vede la collaborazione scientifica e il contributo di docenti dei corsi di Tecnica urbanistica (Prof. Filippo Gravagno) e di Pedagogia per gli Adulti (Prof. Roberta Piazza) afferenti rispettivamente a due differenti dipartimenti, Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura (DICAR) e Dipartimento di Processi Formativi (DISFOR), impegnati in un corso congiunto e indirizzato alla formazione dei rispettivi studenti provenienti da corsi di laurea diversi. 5. Dalle ormai storicizzate proposte del
Movimento di Comunità e della tradizione regionalista statunitense, sino alla costruzione territorialista. In particolare si pone l’obiettivo di dare vita a nuove forme dell’abitare che, anche in contesti così difficili e complessi, consentano attraverso l’autorganizzazione delle comunità e nuove pratiche “territorializzanti” di soddisfare alcuni dei bisogni fondamentali, unitamente alla costituzione di un nuovo equilibrio sociale, economico e ambientale nei luoghi dell’abitare. 6. La mafia, con la sua capacità di governare il
quotidiano, incardina sui suoi principi la vita di tutta la comunità; ha la capacità di essere totalitaria, di arrivare alla società civile e gestirla, facendo si che le logiche sottese dal sistema mafioso costituiscano la normalità. Le comunità si consumano della loro essenza per essere plasmate in comunità di sudditi. 7. Queste pratiche hanno mostrato una notevole
capacità trasformativa dei luoghi laddove sino ad oggi sono state impiegate, in particolare nel contesto catanese, sono stati rigenerati alcuni beni collettivi abbandonati a Librino e in altri quartieri difficili della città. Per esempio si fa riferimento alla sperimentazione del Campo San Teodoro Liberato, dove è stata recuperata, da una associazione di volontariato, un’area destinata ad ospitare una attrezzatura sportiva mai completata e realizzato un campo di rugby, una libreria sociale e il primo orto di comunità del quartiere. Consentendo a più di 100 bambini di sperimentare opportunità differenti di crescita nel quartiere. Si fa anche riferimento a esperienze in corso nelle aree rurali, come quella relativa alla Valle del Simeto, in cui la criminalità organizzata per anni ha sfruttato i beni comuni a vantaggio dei propri interessi, e dove è in atto un percorso di riscatto da parte della comunità locale.
Riferimenti bibliografici
• Cellamare, C. (2008). Fare città: pratiche urbane e
storie di luoghi, Elèuthera, Milano.
• Crosta, P. L. (2010). Pratiche. Il territorio è l'uso che
se ne fa, FrancoAngeli, Milano.
• Dean, A. O., &Hursley, T. (2005). Proceed and be
bold: Rural studio after Samuel Mockbee, Princeton
Architectural Press.
• Gravagno, F. (2008). Dei paesaggi di Ellenia e di al-
tre storie simili. ed.it, Catania.
• Pizziolo, G., Micarelli, R. (2003). L'arte delle rela-
zioni. Alinea Editrice, Firenze.
• Reardon, K. M. (1998). Participatoryactionresear-
chas service learning, in «New Directions for Tea-
ching and Learning», (73), pp. 57-64.
• Sanfilippo, V. a cura di (2005). Nonviolenza e ma-
fia. Idee ed esperienze per un superamento del siste- ma mafioso. Di Girolamo Editore, Trapani.
• Schermi, M. a cura di (2010). Crescere alle ma-
fie: per una decostruzione della pedagogia mafiosa.
FrancoAngeli, Milano.
• Whyte W. F. (1997), Creative ProblemSolving in
the Field. Reflections on a Career, Sage Publica-
tions, Beverly Hills, CA.