Vitali*
Con Habitat III, il dibattito internazionale sulle priorità di sviluppo (si pensi all’SDG 11 sulle città) mostra la maggiore accettazio- ne dell’importanza di definire e concordare una “Agenda Urbana” globale e, soprattut- to, l’evoluzione della politica globale sulle questioni urbane e regionali. Dal messaggio dell’Agenda 21 locale che identificava nelle città i siti per le azioni di sviluppo sosteni- bile si è passati a vedere le città come i driver del cambiamento ambientale globale (Par- nell, 2016), anche considerando che la po- polazione urbana ha superato quella rurale a livello globale e gran parte delle persone vive e vivrà sempre più nelle aree urbane. Una ulteriore evoluzione si è avuta nel pas- saggio dalla battaglia per garantire il diritto universale alla casa raggiunto con Habitat II a quella più ambiziosa, e non priva di ambiguità, di garantire “il diritto alla città”, ampiamente sostenuta dalle città del Sud guidate da Brasile e altri paesi dell’America Latina1.
In questo quadro, Habitat III si è impegnata a rispondere a una sfida molto difficile, os- sia quella di delineare un quadro politico di riferimento per far fronte alle difficoltà sca- turite dalle bolle immobiliari del 2007-2008 e dai mercati finanziari globalizzati. Altre sfide alle quali la Nuova Agenda Urbana glo- bale è stata chiamata a rispondere sono quel- le del cambiamento climatico e dei disastri ambientali, nei quali le città sono in prima linea sia come causa dei cambiamenti indot- ti dall’azione antropica, sia come aree a forte esposizione e assai vulnerabili data l’elevata concentrazione di residenti, risorse e infra- strutture strategiche. Non ultimo, un’altra grande sfida che Habitat III ha rilanciato ri- guarda la gestione degli effetti dei fenomeni migratori sulle città: tutti temi presentati e approfonditi nel Primo e nel Secondo rap- porto sulle città di Urban@it (il Mulino, 2016 e 2017).
Trasformazioni post-metropolitane
In Italia la diffusione urbana è avvenuta conducendo alla rottura del tradizionale rapporto centro-periferia e a una separa-
zione schizofrenica tra aree urbane e aree interne; al prolungarsi della discussione su una legge sul consumo di suolo che è ancora prevalentemente orientata unicamente alla tutela del suolo a destinazione agricola, e, infine, con la legge n.56/2014 su province e città metropolitane che dà per scontati i confini amministrativi attuali, la generale indifferenza sostanziale per il problema del Mezzogiorno.
La tendenza in atto dagli anni ’90 della diffu- sione, dispersione urbana e frammentazio- ne, è stata caratterizzata dalla creazione di centri urbani medio-piccoli all’esterno dei principali poli metropolitani, dalla crescita di insediamenti dispersi intorno ai centri, dalla saldatura di zone di insediamento a bassa densità che ha annullato la separazio- ne tra territorio urbano e rurale, dalla fram- mentazione del paesaggio e la creazione di nuclei urbanizzati sparsi. Tali trasformazio- ni hanno consumato ulteriormente risorse e compromesso la qualità dell’ambiente ur- bano e peri-urbano (ISPRA, 2015). Inoltre, per effetto del processo di liberalizzazione dell’agricoltura (con la nuova PAC, ad esem- pio), le campagne del Sud Italia stanno mo- dificando notevolmente la loro struttura socio-economica e una forza lavoro agricola con forte incremento della componente di manodopera immigrata a basso costo. Per questo, nel mercato agricolo organizzato su scala globale, le campagne del Mezzogiorno rappresentano nodi del reticolo dei flussi transnazionali di merci, risorse e persone, i quali si manifestano alla scala locale me- diante trasformazioni spaziali puntuali e creazione di nuovi pattern insediativi fatti di abitazioni precarie tra città e campagna. Complessivamente, al rallentamento della crescita demografica delle città italiane non è corrisposto un rallentamento dell’espan- sione fisica delle città che hanno continuato a crescere in modo diffuso e, in parte, disac- coppiato dall’andamento della popolazione. Il consumo di suolo negli anni ’90 è, anche a fronte di una crescita demografica quasi nul- la, intorno ai 9.000 metri quadrati per nuovo abitante. Nell’ultimo decennio, solo la cre- scita demografica più pronunciata, grazie alla componente migratoria, ha riportato il valore sotto i 1.000 metri quadrati consu- mati per nuovo abitante (ISPRA, 2015). In termini assoluti, tra gli anni ’50 e il 2014, il consumo di suolo ha riguardato circa 21.000
chilometri quadrati pari al 7% del suolo na- zionale. Sebbene la velocità media del con- sumo di suolo si sia leggermente ridotta, passando da 8 metri quadrati al secondo a 6-7 metri quadrati al secondo, in media, tra il 2008 e il 2013, resta ancora molto elevata (ISPRA, 2015). Considerando anche gli effet- ti che l’impermeabilizzazione di una porzio- ne di suolo produce nell’intorno, in termini di effetti indiretti e di disturbo, la disponibi- lità di suolo non consumato e di qualità si dimostra ancora più compromessa.
Il consumo di suolo, interessa soprattutto le aree più fragili, che dovrebbero non essere consumabili, perché protette o vincolate, come le aree costiere dove il processo in- sediativo ha un’incidenza del 35,7% nella fascia distante 300 metri dalla costa, dato pari a circa 5 volte quello medio nazionale, e come le aree entro i 150 metri dai corsi d’ac- qua, tutelate dalla legge Galasso, fondamen- tali per l’equilibrio idrologico e per preveni- re fenomeni di dissesto.
Tra i principali driver dei processi di urba- nizzazione e delle trasformazioni insedia- tive le infrastrutture di trasporto incidono per il 41% mentre gli edifici al 30% (ISPRA, 2015) potendo osservare che a un incremen- to di infrastrutture di trasporto ed edifici non sempre è corrisposto un miglioramento dei servizi e dell’accesso alla casa. Si è andata infatti affermando una sempre più forte po- larizzazione legata a fenomeni di gentrifica- tion ed espulsione delle fase più deboli con una sempre più forte frammentazione dello spazio urbano. I dati sull’emergenza abita- tiva mettono in evidenza, anche nel nostro Paese, la difficoltà di accedere alla casa: tra il 2001 e il 2011 i provvedimenti di sfratto ri- sultano costanti mentre tra il 2007 e il 2011 c’è una tendenza all’aumento (+45,5%), che vede crescere anche gli sfratti che richiedo- no l’intervento dell’Ufficiale Giudiziario (+39%). La tendenza non è mutata negli ulti- mi anni tra il 2013 e il 2014 i provvedimen- ti di sfratto emessi hanno subito un incre- mento del +5%, e le richieste di esecuzione presentate all’Ufficiale Giudiziario e per gli sfratti eseguiti con l’intervento dell’Ufficiale Giudiziario nello stesso periodo 2013 hanno registrato un incremento, rispettivamente del +14,6% e del +13,5%. Con gran parte dei titoli esecutivi (51%) emessi, non a caso, nei capoluoghi di provincia2.
L’Italia e l’agenda urbana globale: prospettive future
Inquadrando le questioni emerse nel cambia- mento di prospettiva introdotto da Habitat III, la posizione dell’Italia resta ancora lonta- na da una chiara definizioni di quale ruolo le aree urbane possano avere nel futuro del Pa- ese. Se Habitat I e II sono state in gran parte settoriali (sulle abitazioni), concentrate sulla gestione dei processi di urbanizzazione nel Sud del mondo e sui “poveri urbani”, già dagli accordi post-2015 emerge che un imperativo universale di sviluppo sostenibile è stato inte- grato negli SGDs che includono sia Nord che Sud del mondo. Tuttavia ciò che l’inclusione della prospettiva ecologica implica per Habi- tat III rimane poco chiaro, così come ambiguo appare l’equilibrio dello sviluppo a fronte di povertà e disuguaglianze.
Le agende nazionali dovrebbero meglio defi- nire e declinare, allora, queste nuove prospet- tive a livello nazionale, superando quello che è stato considerato uno dei limiti nella formu- lazione di Habitat III, ovvero lo scarso coinvol- gimento attivo (di istituzioni locali e di ricer- ca, oltre che attori rilevanti del settore privato e della società civile nel processo di definizio- ne del quadro politico. Cogliere il potenziale trasformativo di Habitat III e dell’Agenda per lo sviluppo 2030 significa comprendere che migliorare le capacità tecniche di pianifica- zione e gestione delle città non riguarda solo una migliore infrastrutturazione tecnologica ma è da interpretarsi in una prospettiva di in- stitutional design, e, quindi, di potenziamento e capacitazione delle strutture e dei soggetti. Ciò implica che l’innalzamento delle respon- sabilità pubbliche nel rigenerare nuova cono- scenza sia perseguito attraverso l’engagement della ricerca e della formazione con il pubbli- co (le amministrazioni, i tecnici, le burocrazie, gli apparati, etc.) entro un processo proattivo di ripensamento comune. Il quale, partendo dalle università e i centri di ricerca si impegna a fornire indicazioni mirate all’individuazio- ne di un necessario nuovo modello di svilup- po urbano e territoriale, mentre ricostruisce il rapporto con la società e potenzia il ruolo sociale della ricerca e della formazione all’in- terno di un quadro in transizione e incerto. Il modello di cambiamento, riguarda:
• la necessità che le istituzioni aprano un dialogo sul tema delle città al fine di col- mare i gap di conoscenza e innovare gli strumenti normativi;
• l’utilità di formare e aggiornare il perso- nale e gli amministratori sui processi in corso potendo segnalare limiti e i fattori di successo;
• l’opportunità di un maggiore investi- mento nel processo di pianificazione e di gestione dei servizi secondo un modello che coinvolga anche i privati e che incen- tivi (i privati stessi) a trovare giovamento da scelte condivise.
Occorrerebbe quindi un processo continuo di lavoro congiunto per la formulazione di una politica/strategia urbana nazionale, con un coordinamento a livello governativo, at- traverso un dialogo tra enti locali e nazionali. L’urgenza di tale processo è legata non solo al fatto che abbiamo città che si espandono in modo insostenibile, ma, anche, alla estrema fragilità delle città italiane che vanno ripen- sate alla luce delle criticità ambientali (es. rischio idrogeologico) e sociali (e.s. impove- rimento, disoccupazione , accoglienza dei mi- granti), e con riferimento alle nuove domande e opportunità.
* L’articolo richiama alcuni temi che Urban@ it-Centro nazionale di politiche urbane ha contribuito a mettere a fuoco all’interno della operosa e concreta compagine interministeriale insediatasi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e coordinata dal consigliere Donato con la preziosa collaborazione dell’arch. Giannino. 1. http://www.righttothecityplatform.org. br/habitat3-celebrate-the-inclusion-of-the- right-to-the-city-in-the-new-urban-agenda/ 2. http://ucs.interno.gov.it/ucs/ contenuti/168224.htm Riferimenti bibliografici
• ISPRA (2016), Il consumo di suolo in Italia. Edizio-
ne 2015, http://www.isprambiente.gov.it/files/
pubblica-zioni/rapporti/Rapporto_218_15.pdf • ISTAT (2011), 15° Censimento della popolazione e
delle abitazioni 2011
• Presidenza del Consiglio dei Ministri (2016), Ha-
bitat III Italy’s National Report, mimeo
• Urban@it (2016), Primo Rapporto sulle città, il Mulino, Bologna
• Urban@it (2017), Secondo Rapporto sulle città, il Mulino, Bologna
• Parnell S., Defining a Global Urban Deve- lopment Agenda, in World Development, Volume 78, Pages 529-40