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Crisi del commercio e rigenerazione urbana: l’esperienza del Re-Malling

Rassegna urbanistica

si parla di Re-malling. Non mancano i casi studio di successo che sono stati in grado di rigenerare non solo i singoli edifici, ma in molti casi intere aree urbane. Il fatto che queste siano situate nella maggior parte dei casi in posizione periferiche nello scac- chiere urbano, quindi vicino a grandi infra- strutture e ampi bacini di utenza, le rende strategiche per comunità molto numerose e quindi anche ambite dai grandi investitori. Il Re-Malling, a seconda dei casi, ha tanti li- velli di attuazione che possono andare dalla semplice riorganizzazione o rinnovamen- to delle attività commerciali, a complesse ristrutturazioni in grado di aggiungere ul- teriori funzioni sia pubbliche che private. Al punto che esistono società immobiliari che si occupano esclusivamente di questo tipo di operazioni. Capitalizzando i punti di forza intrinseci quali flessibilità, rapidità di consegna, la possibilità di investimenti in- crementali e bassi costi di acquisizione, le conversioni dei malls offrono una formula vincente per gli sviluppatori che forniscono soluzioni economiche, back-office ed esigen- ze particolari per gli inquilini.

L’architetto statunitense Ellen Dunham- Jones, Professoressa di urbanistica presso la Scuola di Architettura della Georgia Tech, è una delle più importanti studiose di inter- venti di rigenerazione urbana con al centro le grandi periferie americane. Dalle sue ri- cerche, ben riassunte nel volume Retrofitting Suburbia, emerge come i grandi ambienti commerciali, vuoti o sottoutilizzati, possa- no essere un enorme volano per l’economia di intere comunità, nonché aiutare a limi- tare l’impatto dei cambiamenti climatici grazie all’incremento del verde e del miglio- ramento tecnologico ed impiantistico degli edifici esistenti.

Gli Stati Uniti sono quindi all’avanguardia da questo punto di vista e sono riusciti a pro- grammare e realizzare la rigenerazione di capannoni senza più vita con le destinazio- ni più disparate: angoli con orchestrine, sale conferenze, cinema, saune, campi da tennis, piccoli bed and breakfast, sale da ballo, tennis coperti, mini zoo. C’è anche chi è corso ai ri- pari prima che questi centri si trasformasse- ro in siti dismessi, mettendo in atto progetti di conversione che li hanno portati a diven- tare aree produttive, call-center, studi televi- sivi, piscine, scuole, ospedali, case di riposo, chiese e persino parchi pubblici.

Un esempio di cronaca freschissimo è quello dell’Orlando Fashion Square, centro commer- ciale di circa 101.000 mq inaugurato nel 1973 e prossimo alla chiusura sul quale si stanno già facendo ipotesi di riutilizzo futuro con un mix funzionale più marcato. La casistica pas- sa anche dal West Oaks Mall di Ocoee, sem- pre nei pressi di Orlando, che sta tentando si salvarsi integrando il commercio al dettaglio con uffici, alberghi, appartamenti, nonché aule scolastiche. Sempre ad Orlando, l'ex Fe- stival Bay Mall è stato trasformato nel 2014 nel più grande mercato della Florida corre- dato di attrazioni ed ora, per incrementarne i profitti, potrebbe essere addirittura raso al suolo per fare spazio ad un parco a tema, un centro commerciale, alberghi e residenze. Un campus universitario è, tra le tante, un’ot- tima opportunità di recupero di un centro commerciale dismesso, come successo per l’Austin Community College, in Texas. L’attua- le struttura universitaria, progettata dallo studio Barnes Gromatzky Kosarek Archi- tects, sorge dove, nel 1971, fu inaugurato l’Highland Mall. Ora ospita strutture univer- sitarie innovative, mentre gli ex parcheggi del centro commerciale saranno edificati ad uso misto per far completare un importante passo in avanti ad un quartiere precedente- mente in declino.

La North Branch Public Library a Denton, in Texas, è nata sulle ceneri di un negozio di alimentari. Questo progetto, ad opera dello studio MSR (Meyer, Scherer & Rockcastle) di Minneapolis, tramite un’attenta riqualifica- zione urbanistica anche delle zone circostan- ti, permette di trasformare uno spazio fino ad allora anonimo, in uno spazio di aggre- gazione per la comunità. In scala più ridot- ta a Phoenix, in Arizona, un piccolo centro commerciale è stato trasformato in un punto di attrazione per tutto il quartiere tramite l’apertura di un negozio di alimentari di alta gamma e di un ristorante. Si è venuto così a creare un cosiddetto “terzo posto”.

A Lakewood, in Colorado, nel 2004 un centro commerciale caduto in disuso è stato com- pletamente ripensato dallo studio VMWP (Van Meter Williams Pollack Architects) in un nuovo luogo di aggregazione (Belmar) concepito con un largo uso di tecnologie costruttive ecosostenibili con grandi spazi dedicati al commercio, al terziario e alla resi- denza, nonché percorsi pedonali e due parchi pubblici. Con una vera e propria operazione

di rigenerazione urbana che sta occupando molti architetti, questo sobborgo sta trovan- do il centro che prima non aveva mai avuto. Un altro interessante esempio di intervento è quello della Palm Canyon Drive a Cathedral City in California. Il masterplan di quest’area, a quei tempi redatto dallo studio Freedman Tung & Bottomley (FTB; ora Freedman Tung + Sasaki) è caratterizzato dalla riorganizza- zione di una via commerciale fortemente in crisi in un Grand Boulevard con funzioni mi- ste e un nuovo quartiere attorno che, grazie all’addensamento di parti di città già edifica- te, non comportano un ulteriore uso di suo- lo. Un intervento simile è stato realizzato a Seattle, dove un centro commerciale in dif- ficoltà è stato riprogettato totalmente apren- dolo alla città, rendendolo una sorta “strada principale” all’aperto con percorsi pedonali, e unità residenziali.

Un ulteriore metodologia d’intervento su un’area commerciale dismessa passa dal ri- popolamento del verde. A Phalen, in Min- nesota, come prima cosa sono state riqua- lificate le zone umide che ospitavano l’area commerciale e, tramite la successiva costru- zione di piccole proprietà lungo il lago, sono stati attratti ulteriori investimenti in una zona storicamente a basso reddito.

Un interessante mix funzionale è stato trova- to anche per l’Echelon Mall a Voorhees, in New Jersey. Nel 2005, quando soltanto un quarto degli spazi commerciali era occupato, è stata la municipalità a redigere un masterplan al fine di insediarsi in una parte del lotto dando così vita ad un vero e proprio centro civico con negozi, un viale alberato, condomini ed il nuovo municipio. In questo modo i resi- denti possono unire lo shopping alle pratiche comunali. Anche il Columbus City Center, in Ohio, si è salvato grazie ad un consistente intervento pubblico. Quando era sull’orlo del tracollo, il comune ha deciso di investire venti milioni di dollari per trasformare que- sto spazio in un parco di ben nove acri (poco meno di quattro ettari), riuscendo in questo modo a richiamare residenti dalla periferia e a creare anche profitto con un parcheggio interrato utilizzato dai pendolari.

Altri malls, senza intervenire sull’aspetto architettonico, hanno deciso di mettere in pratica delle più semplici operazioni sociali, focalizzandosi etnicamente come la La Gran Plaza de Fort Worth, in Texas. Qui si è deciso di re-immaginare completamente il target di ri-

ferimento, rivolgendosi con una particolare attenzione agli immigrati ispanici.

Però, come si suole dire, non tutte le ciam- belle riescono col buco. A Boston, per rilan- ciarsi, un mall aveva deciso di espandersi per puntare sul lusso, richiamando rivenditori di fascia alta e aggiungendo condomini di lus- so, dei quali però ne sono stati venduti ben pochi, mettendo in grande crisi il costrutto- re. La stessa sorte sta toccando, ad Orlando, alla riconversione con anche funzioni resi- denziali del Winter Park Mall che già nel 1998 fu riqualificato mediante l’abbattimento del corridoio centrale per farlo diventare un cen- tro all'aperto, noto come Winter Park Village. La nuova soluzione, in questo caso, non sem- bra in grado di attrarre acquirenti. Emble- matico è anche il caso dell’Euclid Square Mall in Ohio che, dopo essere stato costruito nel 1977 e poi abbandonato per diversi anni, ha ospitato 24 chiese locali tra il 2013 e il 2016, salvo però essere di nuovo chiuso a causa della violazione delle norme di sicurezza. Anche il St. Louis's Crestwood Malls non ha avuto grande fortuna. Nel 2009 la proprietà decise di provare ad affittare a prezzi irriso- ri i propri spazi vuoti ad artisti, compagnie teatrali e scuole di danza per creare un polo artistico. Un’esperienza che però, nonostante le ottime premesse, è terminata soltanto due anni più tardi.

Queste operazioni finanziarie sono rese pos- sibili dai costi bassi di acquisizione degli edi- fici dismessi e dagli enti pubblici che sono ben contenti di poter agevolare l’occupazio- ne, nonché di migliorare gli introiti fiscali. Inoltre, la flessibilità degli spazi commerciali aiuta più che in altre situazioni anche i cam- biamenti di destinazione d’uso, ad esempio residenziali. I parcheggi, che sono quasi sem- pre sovradimensionati, agevolano l’insedia- mento di grandi attività produttive su turni che altrove faticherebbero a trovare spazio, oltre a fornire ulteriore spazio edificabile nell’area urbana. Non va trascurato che i grandi spazi commerciali sono progettati per favorire la socializzazione, aspetto facilmen- te riutilizzabile da realtà produttive che così possono sfruttare servizi ristoro, sale confe- renze o strutture per i fitness. Questi spazi ab- bondano anche di luce naturale, caratteristi- ca di cui gli uffici hanno grande bisogno. La chiave della rigenerazione di questi spazi è quindi la creazione del mix funzionale, senza annullare in ogni caso la destinazione com-

merciale che, se ben dimensionata, favorisce introiti alla proprietà e servizi ai dipendenti e ai cittadini. Collegamenti verticali e servi- zi igienici possono quindi essere sfruttati ed ampliati senza costi eccessivi a seconda del- le esigenze, per non parlare degli impianti, dell’antincendio, e delle strutture progettate per sopportare carichi importanti.

Non mancano comunque le criticità. Dal punto di vista impiantistico, non è facile adat- tare le esigenze di una popolazione sedenta- ria a quelle degli impianti esistenti, progetta- ti per fini diversi. Così come, generalmente, gli spazi di vendita al dettaglio sono privi di finestre e con disposizioni interne non facili da frazionare. Inoltre, i problemi economici possono aver portato pavimentazioni, coper- ture, rivestimenti e sistemi di costruzione ad avere scarsa manutenzione. Come sempre, un progetto adeguato è però in grado di tra- sformare un grande mall in un perfetto am- biente aziendale e non solo.

Questa tipologia di progetti e rigenerazioni urbane, seppur peculiari del tessuto eco- nomico ed urbano degli Stati Uniti, sono in grado di insegnare molto anche all’Europa, e all’Italia, su quelle che sono le potenzialità future di una riqualificazione urbana siste- matica a tutte le scale. È necessario che le Amministrazioni, soprattutto delle grandi città, siano in grado di leggere, con un oriz- zonte temporale molto avanzato, quali pos- sono essere gli ambiti in grado di avere delle potenzialità in questo senso e che possano aumentare sensibilmente la qualità del de- sign architettonico dei grandi agglomerati urbani, dominati nelle zone periferiche per lo più da architetture anonime e di scarso interesse. Con l’intento primario di rendere più vivibili e sostenibili sia il centro che la periferia.

I monti Lepini sono uno dei contrafforti degli Appennini nel Lazio meridionale posto tra i colli Albani e i monti Ausoni a delimitare verso il mare l’Agro Pontino e a nord la valle del Sacco e il Frusinate. Costituiscono un si- stema ambientale e insediativo di notevole valore naturalistico e storico-culturale. Fin da- gli anni Settanta sono state proposte diverse ipotesi di perimetrazione di un parco regio- nale di cui ancora si attende l’istituzione1 in

ragione della loro considerevole importanza per la biodiversità in termini di habitat di pre- gio, di presenze vegetazionali e faunistiche, di strategicità posizionale nella rete ecologica regionale2. Anche il patrimonio archeologico

spicca con siti di grande interesse come quelli di Norba e Privernum e per caratteri distinti- vi diffusi come la presenza di molti esempi di architettura megalitica ben conservati, in par- ticolare di mura in opera poligonale. Infine i centri storici, nonostante in molti comuni dei Lepini siano stati poco salvaguardati, costitui- scono un patrimonio di fondamentale impor- tanza sia per gli aspetti culturali e identitari che per quelli paesaggistici.

A fronte di queste ed altre risorse da valoriz- zare tra cui quelle legate al mondo rurale e ai suoi prodotti tipici, le comunità e le istituzio- ni comunali non sono riuscite a costruire po- litiche e strategie adeguate di sviluppo locale capaci nello stesso tempo di salvaguardare il territorio e garantire benessere economico e sociale. Soprattutto negli ultimi due decenni, la frammentazione delle azioni in un ambito sempre più campanilistico, peraltro molto spesso diviso al proprio interno, ha compor- tato sterilità e povertà di risultati. Certamente l’ultimo decennio di crisi economica e le note difficoltà dei bilanci degli enti locali ha con-

tribuito ad aggravare la situazione. Tuttavia le problematiche di sviluppo socioeconomico dei Lepini, diversamente da quelle che carat- terizzano altre zone montane o dell’entroter- ra collinare, non configurano una grave mar- ginalità territoriale. Nella strategia nazionale per le aree interne, quest’ultime sono definite come «aree significativamente distanti dai centri di offerta di servizi essenziali (istruzio- ne, salute e mobilità), ricche di importanti risorse ambientali e culturali e fortemente diversificate per natura e a seguito di secola- ri processi di antropizzazione» (UVAL, 2014). La strategia nazionale determina, in relazione alle condizioni di accessibilità in termini di minuti di percorrenza rispetto ai centri di of- ferta, 4 fasce: aree di cintura; aree intermedie; aree periferiche e aree ultra periferiche (solo le ultime tre sono considerate aree interne). Dei Comuni appartenenti alle tre Comunità Montane che comprendono i monti Lepini (XIII della Provincia di Latina, XVIII della Pro- vincia di Roma e XXI della Provincia di Frosi- none), la maggior parte vengono classificati come aree intermedie mentre non ne trovia- mo nelle classi delle aree periferiche e ultra- periferiche; alcuni di questi Comuni sono definiti aree di cintura o, nel caso di Sezze, polo di attrazione intercomunale. Anche l’an- damento demografico, che nelle aree interne più problematiche risulta caratterizzato dalla coesistenza di spopolamento e invecchiamen- to della popolazione, nei Comuni dei monti Lepini presenta condizioni coerenti con la classificazione prima esaminata. Consideran- do i dati Istat dei Censimenti della popolazio- ne nei decenni dal 1951 in poi, dei 26 Comuni delle tre Comunità Montane, che nel com- plesso raggiungono una popolazione di oltre

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