L'esperienza della preparazione e della parte- cipazione alla Conferenza Habitat III è stata ri- levante sotto molti profili. Seguire le linee gui- da indicate dalle Nazioni Unite per i rapporti nazionali è stato infatti un esercizio piuttosto complesso poiché esse richiedevano di forni- re informazioni su un intreccio di argomenti e fenomeni che, in Italia, rendeva necessario un punto di vista sostanzialmente inedito. L'approccio ai rapporti nazionali era peraltro comune a tutto lo spirito della preparazione della Conferenza di Quito: larga partecipazio- ne alle fasi di elaborazione dei concetti e dei temi, comitati nazionali rappresentativi delle amministrazioni di ogni livello, della comuni- tà scientifica e dei portatori di interesse, visio- ne fortemente integrata tra la dimensione so- ciale, economica ed ambientale dell'ambiente urbano.
Il Documento finale New Urban Agenda - Di- chiarazione di Quito on Sustainable Cities and Human Settlements for All esprime molto bene la grande complessità che la Conferenza Habi- tat III on Housing and Sustainable Urban Deve- lopment proponeva ai partecipanti. Con Quito è stata compiuta una riflessione e posta una sfida, se possibile, ancora più ambiziosa del- le Conferenze sullo Sviluppo sostenibile (on Sustainable Development, da Rio del 1992 in poi) perché la NUA entra nel cuore dei diritti, della libertà appena mitigata dall’identità cul- turale, delle pari opportunità sociali e civili, del diritto ad un’esistenza dignitosa, del ruolo delle istituzioni locali nei confronti dei più svantaggiati, delle responsabilità degli stati nei confronti dei rifugiati e dei migranti. Tut- to questo mentre fa propri gli obbiettivi 2030 per lo sviluppo sostenibile e indica come biso- gna intendere la mobilità, l’housing, le azioni per gli anziani, per le giovani generazioni e per le donne e come finalizzare la finanza lo- cale, come intendere le infrastrutture e l’inno- vazione, come introdurre la trasparenza nelle gestione dei soldi pubblici e nella assunzione delle decisioni. Il presupposto dei 173 punti della NUA è che le città sono la sede cruciale per decidere il futuro dell’umanità e che solo preoccupandosi di come nelle città sia perse- guita equità, giustizia, sicurezza, salubrità, ac- cessibilità, abbordabilità economica, crescita,
resilienza e sostenibilità, sostanzialmente at- traverso le regole, la pianificazione condivisa e il design degli spazi e delle sfere di influenza pubblici, è possibile pensare di aver avvici- nato la città inclusiva, termine che può forse sintetizzare l’ obiettivo di Habitat III, una città nella quale “nessuno è lasciato indietro”. Per ottenere questo risultato occorre una grande concertazione e sincronicità delle azioni pubbliche e il trascinamento verso gli stessi obbiettivi delle forze economiche che investono nella città.
Conformemente a questa impostazione e a queste ambizioni, che abbiamo visto espresse a Quito da una moltitudine di esperti e rap- presentanti di istituzioni nazionali e locali di tutto il mondo, veniva richiesto ai rapporti nazionali di riferire su cosa si fosse fatto, nei vent'anni trascorsi, non solo sul fronte delle politiche abitative e/o genericamente urbane, ma di chiarire i dati e di descrivere tutte le po- litiche che in qualche modo potevano essere state in grado di influire sulla qualità urbana e sull'eguaglianza delle opportunità, sull'equità sociale, sulle prospettive di sviluppo sosteni- bile e su un approccio intergenerazionale nel- le città.
I capitoli del Rapporto nazionale affidati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri al coor- dinamento del Ministero delle infrastrutture (il primo, il secondo e il quinto capitolo) sono stati compilati con una vasta collaborazione istituzionale e scientifica, applicando il meto- do UN Habitat di riunire competenze e livelli diversi. Intorno al tavolo hanno lavorato le quattro direzioni generali interessate del MIT, gli altri ministeri rappresentati nel Comitato nazionale, le regioni, l'Anci, gli esperti dell'I- NU e di Urban@it. Alla fine si è trattato di un esercizio molto interessante, che ha aperto porte, finestre e connessioni tra i diversi stru- menti gestiti da settori amministrativi separa- ti e studiati da ambiti scientifici non sempre comunicanti. L’esito del lavoro, talvolta, ha stupito gli stessi partecipanti.
Nel rapporto si è dovuto far ricorso ad una sin- tesi estrema (l’ONU indicava anche il numero massimo di battute per ciascun paragrafo) e un’ulteriore sintesi rischierebbe di cadere nella genericità. Vi sono però alcuni concetti emersi, e confermati dalla partecipazione ai lavori di Quito, che meritano di essere sottolineati. In particolare, di fronte alle domande di Ha- bitat III, abbiamo dovuto prendere atto che la complessità attuale rende necessario che
qualsiasi progettualità istituzionale sia ac- compagnata da una massiccia collaborazione delle associazioni e delle formazioni volonta- rie per migliorare l’organizzazione e la presta- zione dei servizi urbani. E’ stata ripetutamen- te sottolineata la necessità di una rivoluzione amministrativa che ponga l’informazione, la trasparenza e il coinvolgimento dei cittadini al centro dell’azione pubblica. Questo con la consapevolezza che l’autoesclusione, l’emar- ginazione e la polarizzazione sociale sono fe- nomeni tipicamente contemporanei e urbani che restano difficili da contrastare.
In questa prospettiva si è considerato che la pianificazione sta assumendo le modalità operative della governance. Ciò significa per gli enti locali e regionali puntare a una orga- nizzazione delle politiche e dei programmi che coniughino il territorio con lo sviluppo socioeconomico, calibrando il capitale poten- ziale a un’intensità d’uso sostenibile di lunga durata. E significa anche seguire i processi sociali ed economici mettendo in comunica- zione strumenti e settori diversi e adeguando ed aggiornando, praticamente in continuo, gli strumenti e le prassi.
Questo è tanto più necessario in quanto l’ela- sticità dell’offerta urbana è tuttora limitata, e spesso le città – specie quelle medio-piccole – non sono in grado di adeguarsi alle nuove esigenze dell’immigrazione (come residenze e luoghi di culto), o ai rapidi cambiamenti del- le strutture produttive dovute ai fenomeni di globalizzazione.
Si è poi preso atto che devono essere accelerati gli investimenti, soprattutto nel Centro-Sud, per assicurare l’adeguamento delle reti infra- strutturali della mobilità e dell’IT, in partico- lare nel sostegno ai settori collegati alla green economy, alla riduzione dei consumi energeti- ci, all’eco-innovazione, all’economia a bassa intensità di carbonio, all’efficacia dell’ uso delle risorse e al miglioramento della qualità dell’aria, con il sostegno alla R&S di prodotti e di tecnologie in grado di abbattere la pro- duzione di emissioni e di rifiuti durante tutta la vita del prodotto. L’insieme di tutte queste attività produttive e di ricerca innerva le città di fondamentali energie dinamiche che inne- stano circuiti virtuosi. A Quito abbiamo avu- to conferma che nel campo dell’innovazione urbana è comunque necessario non lasciare indietro nessuno, e non emarginare gli anzia- ni o i più poveri con contenuti difficilmente accessibili.
E’ stato considerato che serve maggiore fina- lizzazione degli strumenti di pianificazione e di quelli finanziari nella messa in sicurezza dei territori (rischio idraulico, geologico e si- smico) e per la realizzazione, manutenzione e rinaturalizzazione di infrastrutture verdi e servizi eco-sistemici. Una lezione appresa è stata che una scarsa considerazione per le at- tività di pianificazione e sviluppo sostenibile del territorio si traduce in danni irreversibili per il territorio.
La logistica, l’intermodalità, il trasporto com- binato e la riorganizzazione del trasporto pub- blico locale nelle aree urbane sono stati indi- cati come priorità di concentrazione di risorse pubbliche e di introduzione di innovazione. A Quito l’attenzione ai programmi per la mobi- lità urbana sostenibile è stata grandissima. Sul fronte dei progetti infrastrutturali e dei loro effetti di traino e sostegno dei processi di rilancio territoriale, è stato sottolineato che infrastrutture pensate per la contemporanei- tà possono contribuire anche a migliorare la gestione del territorio e alla creazione di nuovi paesaggi e di spazi pubblici integrati con le funzioni contermini. Per raggiungere questo obbiettivo è necessario che tutti gli attori che concorrono alla formazione e mo- dificazione dello spazio urbano e i suoi frui- tori siano coinvolti nella progettazione delle infrastrutture urbane. Si tratta di puntare all’integrazione tra soggetti pubblici e privati, funzioni e competenze, tradizionalmente as- sai settoriali, e spesso profondamente separati nell’azione pubblica del nostro Paese. Anche in questo caso la trasparenza è un mezzo non sostituibile per coinvolgere e per consentire alle energie positive di convergere.
L’estensione del patrimonio di edilizia resi- denziale pubblica deve ritornare ad essere una politica attiva di inclusione e riconosci- mento di diritti. L’offerta di alloggi a basso costo va convintamente incrementata e la sua progettazione richiede un aggiornamento alla composizione demografica effettiva (che vede l’esplosione delle persone sole in tutte le classi di età). Il modello gestionale va ade- guato alla multietnicità degli assegnatari e può dover comprendere attività di sostegno rivolte all’integrazione tra gruppi diversi, estese anche alla gestione degli spazi pubblici comuni, con l’ambizione di ricreare spirito di comunità.
E’ stato quindi considerato come prioritario definire una Strategia nazionale per la rigene-
razione urbana che coordini l’azione di tutte le amministrazioni centrali interessate nella quale collocare le iniziative specifiche per l’housing e per le periferie e i programmi già avviati in sede statale (tra gli altri Piano città 2012 del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, Piano aree urbane degradate della legge di stabilità per il 2015 e Piano periferie della legge di stabilità per il 2016 entrambi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma vi sono anche molti programmi del Mi- nistero dell’ambiente e della tutela del terri- torio e del mare così come ora si affacciano anche le attività del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con la nuova direzione generale che si occupa anche di pe- riferie) e dalle regioni. La Strategia dovrebbe far proprie le migliori esperienze di ricerca e sperimentazione in corso e i casi di successo. Una rigenerazione non solo fisica, ma intesa come una nuova fase della vita degli abitan- ti dei quartieri degradati, cui vengono offerte nuove opportunità e nuovo senso di apparte- nenza. Un piano di rigenerazione che rifugga dalla gentrificazione.
Una strategia per le città e per la loro rigene- razione richiede di stabilire un set di indica- tori sulla qualità urbana che consentano di coinvolgere i cittadini nella comprensione e nell’attuazione delle politiche di interesse pubblico, costruendo un sistema informati- vo capace di monitorare costantemente l’at- tuazione della NUA nazionale in base alla strategia degli open data. In realtà gli indica- tori vanno costruiti sulla base di una matrice concettuale di riferimento (priorità, obiettivi, metodo), che ancora non c’è.
L’esperienza ha anche insegnato che la cono- scenza e la gestione inclusiva di sistemi urba- ni complessi e che coinvolgono molti attori e livelli sussidiari è fondamentale nei processi di formulazione e gestione delle politiche, at- tivando coordinamenti di governance a più livelli. E’ quello che si è realizzato in tanti casi di successo esposti nelle sessioni della Confe- renza di Quito.
L’applicazione del principio di trasparenza come motore della collaborazione paritaria e la capacità di coordinamento come assenza di concentrazione di potere in favore della con- certazione tra poteri distribuiti, sono proba- bilmente per l’Italia e per le sue città la sfida più difficile da vincere. Quindi è forse proprio qui la sfida, per tutti noi, più importante.