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Al-Mā’ida, La tavola imbandita (Corano, Sura 5) La cucina familiare

5 FINE DI UNA COLONIA

9. I CINQUE SENSI DELLA CUCINA TRIPOLINA ( Shūhiyya tāyyiba)

9.1. Al-Mā’ida, La tavola imbandita (Corano, Sura 5) La cucina familiare

A tavola s‘impara a conoscersi, a vivere insieme, a condividere i propri mondi: la storia, la cultura e le tradizioni. A tavola s‘impara ad amarsi e ad accettarsi, perché non si condivide il pasto con il nemico, ma si accoglie chi è o che vuoi che diventi amico.

La cucina è il principale scambio culturale tra le genti. La cucina è un lessico che s‘impara nell‘ambito della famiglia, un ―lessico familiare‖. Anche in Libia si trasmette da madre a figlia, perché sono le donne che da fin da bambine imparano i gesti per predisporre gli alimenti, il sapiente dosaggio delle spezie, tābil, che caratterizza la cucina tripolina. Come s‘impara a parlare la lingua ―di casa‖ così s‘impara a fare il piatto principale della cucina tripolina: il kùskus o kuskùs secondo l‘influsso linguistico dei paesi del Maghreb francofono.

Il kuskus o cuscus in italiano, si può considerare un piatto icona di gran parte dei paesi Nordoccidentali dell‘Africa e, nonostante differenze trasmesse da regione a regione, da città a città, da etnia ad etnia è il trade union gastronomico delle sue popolazioni.

La tradizione di questa pietanza ha varcato il mare ed è traghettata nei paesi del Nord del Mediterraneo. È infatti presente sia in Sicilia che in Francia, presso le popolazioni che hanno condiviso la storia di quei territori, ma anche in paesi lontani attraverso le emigrazioni.

Kuskus comunque è una parola che nell‘immaginario popolare evoca il

Nordafrica, come gli spaghetti l‘Italia ed il riso la Cina. Il kuskus cambia ovunque si sposti: Tunisia, Costa d'Avorio, Algeria, Francia, Israele, Italia, Marocco, Palestina, Senegal come cambia il tipo di gusto perché sposa quello della tradizione del paese e prende nomi diversi.

Noi a casa lo chiamiamo cuscus, ma in famiglia associamo anche quello della tradizione siciliana trapanese, fatto col pesce ed in questo caso lo ribattezziamo cuscusu.

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Il kuskus è una pietanza che consta di una base e di un condimento.

La base essenziale del kuskus è la semola di grano duro. Il tipo di grani da utilizzare, disponibili nei negozi alimentari specializzati, può variare secondo i gusti familiari ed etnici. Il procedimento inizia con la prima fase di lavorazione della semola.

A Tripoli, tra gli italiani si usava la parola ―incocciare‖ per indicare la trasformazione della semola, in piccoli grani.

A secondo delle abitudini familiari i grani di semola sono più o meno grossi. Gli arabi facevano dei grani leggermente più grossi di quelli degli ebrei, ma queste sono sottigliezze che ci porterebbero lontano.

Incocciare, che è una parola di verisimile origine siciliana, è un‘ arte.

Si prende un coccio di forma tronco conica e forse da qui l‘etimologia popolare della parola ―incocciare‖, che in arabo si chiama tajīn e che in Sicilia prende nome di ―lemmo‖.

Si pone un po‘ di semola nel coccio, si versa un po‘ d‘acqua e con la mano si inizia un movimento rotatorio, regolare, chiamato in libico matfūl, che trasforma la semola in grani, tutti uniformemente uguali per dimensione, secondo arte e bravura. La semola incocciata man mano, viene trasferita in un‘ampia scodella bassa, detta gsā‟a. La semola deve riposare, salata, condita con burro fuso oppure olio d‘oliva addizionata, a secondo del tipo di kuskus che si vuole preparare, con qualche spezia più o meno piccante e diversamente aromatica, così preparata viene coperta da un panno, mentre si predispongono le verdure, la carne o altri tipi di ingredienti.

La cottura della semola avviene al vapore su una pentola forata nella parte inferiore, detta in dialetto libico kuskès ed in siciliano o italiano cuscusiera che viene sovrapposta ad un‘altra dove bolle l‘acqua. Si sigillano le due pentole sovrapposte con un pannoo o meglio ancora con della pasta di semola allo scopo di non fare uscire il vapore dai lati.

Il condimento caratterizza il tipo di pietanza. Esistono infinite varietà di kuskus che soddisfano tutti i gusti ed ancor oggi se ne sperimentano variazioni che

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scitano curiosità e sempre maggiore interesse120 le variazioni ne identificano l‘origine non solo regionale, ma anche etnica e familiare.

“Ti farei assaggiare quello che fa mia moglie …!

Lo so, quello trapanese non è cuscus e “cuscusu” e a me non piace più di tanto … , vuoi metterlo con quello nostro … loro lo fanno con l’aglio ed io da vecchio ho scoperto di essere allergico all’aglio …

Fanno un brodetto di pesce. È un cuscus europeizzato, un brodetto di pesce copiato dai tunisini, non è vero cuscus …”

Intervista a Gilberto C.

Tralascio i particolari dei nomi e la preparazione del ―condimento‖ di almeno una ventina di cuscus e anche le quantità di semola e condimento che variano in relazione al numero dei commensali ed al loro appetito.

Cito in sintesi la preparazione di quello che le mie ―donne di casa‖ chiamano ancora ―kuskus all‘araba‖ o libico, ovvero kuskus alle sette verdure e carne, che può essere d‘agnello (sconsigliato il montone per il sapore ed odore di selvaggio) o di manzo. Questo «kuskus bidāwi ūa laḥm», come lo chiama Capretti (Capretti 2011, p. 309-311) oppure «kuskus khuḍār ūa laḥm» il cui nome appartiene da sempre al lessico della mia famiglia ha una preparazione molto lunga che inizia la sera prima, mettendo a bagno i ceci secchi per tutta la notte.

Il kuskus è un ―piatto unico‖ al quale si possono aggiungere diversi ―contorni‖ con sinestesia di gusti.

Di primo mattino si incoccia il kuskus e si lascia riposare.

Il condimento si prepara a parte. Si puliscono e tagliano a pezzi le verdure, peperoni, cipolle, sedano, carote, cavolo, mentre le patate vengono pulite e lasciate intere.

Si fa rosolare la cipolla nell‘olio, poi la carne e le verdure. Durante il soffritto si aggiungono le spezie, che possono essere le più varie secondo i gusti: cumino o

kamūn, zenzero o kurkum, zafferano o zafrān, carvi o kerwīyya, un pizzico di

cannella o kīrfah, paprika o felfel aḥmar, infine harīssa, la classica conserva di peperone rosso piccante che si trova in quasi tutte le drogherie e sale marino.

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Nel 2013 si è svolta a San Vito lo Capo in Sicilia la 16a edizione del Festival Internazionale del cuscus. In quella regione dove la pesca è l’attività prevalente viene preparato con un condimento a base di pesce.

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Le variazioni e le esecuzioni sono infinite e le critiche e consigli sulla preparazione altrettante.

Quando il tutto è ben rosolato, si aggiunge la passata e l‘ estratto di pomodoro, i ceci e l‘acqua quanto basta. Le patate, intere o a grossi pezzi, vengono addizionate in seguito, per non ―sfarinarsi‖ troppo.

Si fanno solidificare per bollitura le uova ed una volta sode, tagliate a metà, in verticale, avranno una funzione decorativa del piatto.

La semola, cotta al vapore per almeno un‘ ora, viene disposta nel piatto da portata e la si irrora col sugo, la si lascia riposare ulteriormente coperta da un panno e una coperta. Bagnare la semola è fondamentale perché il kuskus gonfia ed è bene che ciò non avvenga nello stomaco.

Al momento di servirla si versa il condimento: carne, verdure, ceci, si distribuiscono le patate e si decora con le uova.

Si affianca a questa preparazione quella del tershi, una purea di zucca rossa, quella di halloween per intenderci, una o più patate lesse e carote, che inteneriscono il piccante del felfel che viene addizionato in abbondanza insieme alla harissa.

Anche qua le variazioni sul tema sono a non finire. La purea viene mescolata con abbondante succo di limone, un filo d‘olio d‘oliva e lasciata riposare.

Si può aggiungere la preparazione del mseir, un pinzimonio piccante di verdure: carote, finocchio, sedano, peperoni lunghi, anche cavolo bianco crudo (a chi piace), tagliate a julienne e lasciate macerare in succo di limone e una punta di sale. Se si aggiungono peperoncini piccanti, tagliati a rondelle, si eviti la harīssa. Altrimenti un pizzico di harīssa ed ―è la morte sua‖, come diceva Maḥbuba la compianta nostra cameriera ebrea. Nel pinzimonio è interdetto l‘uso dell‘olio. Le verdure si lasciano a macerare per più ore e prima di servire, si possono aggiungere olive nere, ravanelli e cetrioli.

Il pinzimonio possono essere servite come mizè o mezè, cioè come antipasto e, coloro a cui l‘alcol non è ḥarām, proibito dalla religione, per stimolare il consumo di birra o vino.

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