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4. LA COLONIA DURANTE IL REGIME FASCISTA

4.1. La colonizzazione della Libia

Nel 1922 la situazione cambiò drasticamente sia in Italia con la ―Marcia su Roma‖, che in Libia dove gli statuti, ancor prima di diventare operativi, furono abrogati e verrà abbandonata la politica conciliatoria.

Nei poco più di trent‘anni di dominazione italiana, molti degli intervistati per quest‘elaborato hanno avuto un nonno, un padre arrivato in Libia come militare, che dopo si è fermato là per qualche ragione. I primi arrivarono nel 1911, nella Guerra di Libia:

“La prima che andò in Libia fu mia madre, in quanto il mio nonno materno era ufficiale di carriera e partì alla conquista della Libia, così come nel 1911 chiamavamo la guerra coloniale. Lo seguì tutta la famiglia con mia madre dodicenne.

Gli ufficiali di carriera avevano il diritto a un’abitazione decorosa e di portarsi dietro la famiglia.

Per seguire mio nonno, la mia nonna materna e dodici figli partirono alla volta della Libia. Una volta congedato, mio nonno aprì un ufficio di import - export e si mise a lavorare là *…+.

Mio padre a 18 anni scappò di casa e si arruolò negli Arditi Bersaglieri nella guerra 1915-18 e tornò carico di medaglie.

Era uno dei “ragazzi del novantanove” che alla fine furono mandati allo sbaraglio e che decisero le sorti della guerra.

Arrivò in Libia come militare, perché allora la ferma era di ben tre anni e come tale partecipò alla conquista, disfatta e riconquista della Libia. Arrivò nel diciannove *…+. Si fece due anni di guerra e poi si congedò e lì rimase “

Intervista a Sandro M. C..

Oltre ai pionieri della prima ora, i più giunsero negli anni Trenta. Dopo il congedo militare, intrapresero a Tripoli e Bengasi varie attività civili e misero su famiglia in Libia o la richiamarono dalla madrepatria.

“Mio padre andò giù in Libia, a Bengasi nei primi anni trenta. Andò giù come militare e, come capitava spesso, una volta congedato decise di rimanere in Libia. Mia madre lo raggiunse nell’Agosto del 1939, con un figlio piccolo di due anni, nato a Treviso, da dove siamo originari.

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di persone avvolte nei barracani all’ombra dei portici. Mia madre si spaventò. Pensava che ci fosse un’epidemia e che fossero morti. Invece era il Ramadan, era Agosto, faceva un caldo torrido e dormivano buttati in terra per strada.

Venivamo da tutt’altra realtà “. Intervista a Paolo C.

“… tornando a mio padre, fece il militare a Tripoli, poi ci rimase, si sposò e nacquero cinque figli, due femmine e tre maschi. Io sono il penultimo”. Intervista a Letterio A.

“Mio padre era andato con l’esercito, sicuramente intorno al 1930, non ricordo esattamente l’anno: 1932 -33 … Mio padre era maresciallo d’artiglieria antiarea e fu mandato al forte “Duca Amedeo di Savoia” di Sghedeida che era su una collinetta. Era a circa 13 chilometri, uscendo da Tripoli verso Tagiura, dopo Sidi Mesri, ‘Ain Zara. Ci passava anche la ferrovia. Ricordo che ero un bambino di 3 anni e l’attendente di mio padre mi portava sulla collinetta sopra un asino.

A Sghedeida c’erano degli alloggi per i militari e le loro famiglie.

Poi siamo andati ad abitare alle case operaie, là dove c’era il mercato di

sūq ath-thleth”.

Intervista a Alberto P.

Altre famiglie si stabilizzarono in Libia a fine anni Trenta, poco prima della Seconda Guerra Mondiale, questa li colse in Libia e lì rimasero anche se il capofamiglia dovette seguire le truppe per gli eventi della guerra.

“I miei genitori erano originari di Trieste *…+. Siamo andati in Libia perché il papà era maresciallo pilota di aerei militari ed era di stanza all’ aeroporto di Castel Benito.

*…+ Mio padre non s’è visto più, perché è andato via da Tripoli con le truppe italiane, era con l’aeronautica. Vedi quante robe ha scombinato una guerra? Ha creato un caos di cose.

Mia madre, invece, era farmacista e ha trovato lavoro, nel 1937, in una farmacia della Città Vecchia, la cosiddetta hara, nella Farmacia Economica” .

Intervista a Marisa B.

“I miei andarono in Libia prima della guerra nel 1938. Papà, si chiamava Realino ed era di San Pietro Vernotico, in provincia di Brindisi. Vi andò come militare, fece la guerra, era radiotelegrafista sugli aerei e poi in caserma *…+ mia madre conobbe mio padre e in Libia ci rimase. Si fecero tutta la guerra e nel 1944 si sposarono. Nel ’45 nacque mio fratello

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Fernando … “. Intervista a Pietro G.

“Mio padre fu mandato in Libia a 18 anni per il servizio militare, nel 1939, poco prima dello scoppio della guerra, che ha fatto nella zona tra Tripoli e Zuara. Siamo originari di Floridia nella provincia di Siracusa, in Sicilia. Era stato richiamato alle armi nel 1938, si era sposato con mia madre …” Intervista Quinto Q.

Chi aveva vissuto sempre sul mare o imbarcato su navi militari, trovava facile e proficua occupazione dedicandosi alla pesca nei ricchi banchi di spugne di Zuara, vicino alla Tunisia.

“… Partiamo dal mio nonno materno Giuseppe S., che è nato nell’isola di Favignana nel 1889 *…+ Dopo arrivò la Prima Guerra Mondiale e fu richiamato col grado di Nocchiere. Riuscì a salvare la pelle nella Prima e nel 1940 nella Seconda, su un dragamine e per una coraggiosa azione ebbe la medaglia di bronzo al valor militare. A fine guerra fu congedato con il grado di Maresciallo Capo e venne ad abitare a Zuara e poi in Shār’a

Manfredo Camperio, nel Rione del Lido, che tu conosci bene...

Quella medaglia me la regalò e io la conservavo in un barattolo di vetro come una preziosa reliquia, ma fu requisita a mia madre quando fummo costretti a rimpatriare. Per me in quel barattolo c’erano tutti i suoi racconti che avevano accompagnato la mia infanzia *…+ mio nonno Giuseppe, ex maresciallo capo di Marina e medaglia di bronzo al valor militare, comandava due bastimenti per la pesca delle spugne. A Zuara mio nonno aveva un villino tutto bianco ad un piano, con una terrazza, da dove si vedeva il mare e che si trovava a metà strada, sul rettilineo asfaltato e quasi deserto, che andava da Zuara Marina a Zuara Città. Nel mezzo del giardino c’era un vecchio limone e intorno palme di datteri”. Intervista a Domenico E.

Qualcuno ci capitò per caso, ufficiale di marina imbarcato su una nave militare in visita a Tripoli, intravide la possibilità d‘intraprendere un‘attività imprenditoriale molto remunerativa. Avvocato nella vita civile, si rese conto che era meglio abbandonare l‘attività forense, per quella tradizionalmente praticata dalla famiglia della produzione casearia in una città che era in forte viluppo, ma dove ancora mancavano le strutture essenziali.

“Mio padre era ufficiale di marina ed era imbarcato su una nave. Era avvocato, ma non ha mai esercitato. Stava appresso all’attività di famiglia

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da sette generazioni.

Si trovarono a Tripoli in due o tre navi, nel ventinove o trenta. Ci rimasero per due o tre giorni e così mio padre si rese conto che in quella città, che era in costruzione, ma si cominciava a vedere che sarebbe diventata una grande città, … un bel po’ era stata fatta però … , ti dicevo che si rese conto che non ci stava un negozio che vendesse latticini, formaggi, ricotta, mozzarelle ed altri derivati del latte. Allora cosa fece? Quando rientrò in Italia e si congedò, la prima cosa che fece, ritorno a Tripoli con quello che allora si chiamava il postale, cioè una nave che trasportava passeggeri e merci e ogni dieci giorni, faceva avanti e indietro con Tripoli. Rimase a Tripoli per un certo periodo, quanto non posso dirtelo, forse qualche mese *…+ Poi rientrò in Italia e si comprò tutta l’attrezzatura per quanto riguarda l’attività di un caseificio: caldaie, schiumarole, matrici, zangole, tutto, tutto, tutto e le portò a Tripoli. Là non c’era

assolutamente niente. E così nacque questo piccolo caseificio.

Cominciò a farsi tanti amici, perché era laureato in legge e lui dava spesso consigli a quelli che glieli chiedevano.

Se qualcuno aveva da sbrogliare delle faccende, lui gli preparava qualche promemoria per aiutarlo”.

Intervista a Mario R.

Altri invece dovettero emigrare per necessità. Nel 1938, in Italia, furono decretate le leggi razziali. Gli ebrei vennero discriminati, dovettero dimettersi dalla carriera militare e dagli incarichi pubblici e, come fece un altro civile d‘idee socialiste, a cui i fascisti bruciarono per due volte il pastificio, emigrarono per ―mimetizzarsi‖ in Libia, dove l‘ambiente era meno estremista.

“Mio padre è nato a Genova, era ufficiale degli alpini. Avrebbe voluto volentieri continuare la carriera militare, ma colle leggi razziali fasciste del 1938 55 venne a Tripoli, conobbe mia madre, si sposarono ed io sono il primogenito … “

Intervista a Angi C. P.

“ … *mio nonno+ era socialista, però di quelli giusti però e non si voleva iscrivere al partito fascista. Diceva che le idee erano sue e sicuramente non erano quelle di Mussolini e delle sue squadracce: se lui rispettava gli altri, perché gli altri s’immischiavano nelle sue, giuste o sbagliate che fossero.

Non si iscrisse al partito e quelli gli diedero fuoco al pastificio.

A questo punto disse che gli bastava d’aver a che fare con quella gentaglia. Si stava mettendo male la situazione, aveva preso una brutta

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piega. Soprattutto per i miei figli non voglio più stare qua.

C’era la possibilità d’andare in colonia. Là, magari c’erano anche i fascisti, ma più che altro bastava essere italiani e non c’era quella rabbia che avevano nell’Alta Italia.

Sì, forse c’era qualcuno che si metteva la camicia nera, ma non c’erano quelli che ti venivano a bastonare col manganello, ti davano fuoco alla casa, perché sapevano che eri socialista o che non eri inscritto al partito. A Tripoli potevi passare più inosservato, soprattutto se ti facevi i fatti tuoi” .

Intervista a Sofia G.

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