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3. LA COSTRUZIONE DELLA COLONIA

3.1. Libia: “una dote tanto attesa”

Il colonialismo italiano in Libia è compreso in un segmento storico che va dall‘apertura delle ostilità nella guerra italo - turca il 28 Settembre del 1911, fino al 29 Gennaio del 1943, quando nella Seconda Guerra Mondiale gli Alleati entrarono a Tripoli.

Affidandosi per gli approfondimenti storici e militari a testi più vasti (Baldinetti 2010; Del Boca1988; Goglia, Grassi 2008; Labanca 2002 e 2012; Mezran,Varvelli 2012; Pasqualini 1999; Romano 2005; GL Rossi 2012; Segrè 1978) si può concordare con Del Boca che il progetto tanto accarezzato per trent‘anni dall‘Italia d‘entrare nel ―club coloniale‖, si realizzava proprio quando quel plurisecolare fenomeno che aveva portato gli stati europei a dominare il mondo era al suo epilogo.

L‘Europa ormai governava il 40% delle terre emerse e il 30% delle loro popolazioni, lo scramble, la grande avventura militare era alla fine. Tutto quello che poteva essere conquistato, spartito, diviso era stato conquistato, spartito e diviso (Labanca 2012, pp.15-19). Non tutto però.

Rimaneva la Libia, provincia araba occupata dal moribondo Impero Ottomano. Si era persa a favore della Francia la vicina Tunisia, «la nostra terra promessa» (Bontempi 2012, p.54), perché già ci vivevano e lavoravano poco meno di centomila italiani. Per ritrovare quella ―chiave del Mare Nostrum‖38

, persa dai tempi delle Repubbliche Marinare, l‘Italia se non voleva ―restare arenata‖ sulle tre coste della Penisola, doveva portarsi su quella che poi fu inventata come «Quarta Sponda».

Non la si prendeva ai libici, naturali proprietari, ma ad un'altra occupazione, quella turca e addirittura si credeva che i libici sarebbero stati particolarmente felici di diventare colonia italiana, liberati dal giogo ottomano.

L‘Italia era nella Triplice Alleanza 39

, ma si faceva allettare dai consigli inglesi

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Così la definì Stanislao Mancini, insigne giurista e uomo politico di sinistra, deputato per più legislature.

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che suggerivano d‘ occupare Tripoli, dopo l‘annessione della Tunisia alla Francia, così arginandone il potere acquisito nell‘Africa nord–occidentale.

E per lo stesso motivo Parigi aveva adottato la politica internazionale del «lassez-

faire» (Labanca 2012, p. 35) sostenendo che Tripoli «era predestinata all‘Italia»

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(Del Boca 1988, p.8).

Ma cosa si sapeva della Libia?.

Praticamente niente! «Era completamente sconosciuta agli italiani [...] Tripoli era un punto vago sulla costa africana dal quale giungevano di tanto in tanto le piume di struzzo […], a differenza di altre regioni dell‘Africa, la Libia non era oggetto di attenzione neanche degli esploratori» 41 (Del Boca 1988, p. 4).

A Roma si nutrivano pregiudizi errati e si sottovalutava l‘Impero Ottomano, gigante moribondo, prossimo alla rovina. Ci si crogiolava nell‘idea d‘aver il consenso dell‘intero ―club europeo‖, Russia compresa 42

e del fatto che, se

quell‘ultimo tratto di costa europea fosse caduto in altre mani, ci sarebbe stata l‘asfissia dell‘Italia.

Ci s‘illudeva che la Libia fosse una miniera di materie prime. L‘Italia ne «era priva […] e non possedeva un retroterra imperiale dove attingerle […], dipendeva quasi completamente dall‘estero» (Carocci 1975, p.175) e quelle sterminate terre incolte della Libia erano soprattutto una grande risorsa «per le migliaia di braccia contadine, soprattutto del sud» (Manca 2011, p.17).

Sotto la spinta a Destra dei Nazionalisti, di politici, letterati, giornalisti, poeti 43, con grande soddisfazione dell‘industria siderurgica pesante, l‘Ansaldo, che influenzava la scelta presso lo Stato Maggiore, con il tacito assenso della Chiesa che da un lato sosteneva ufficialmente che la guerra « è solo un problema politico e col quale la religione non ha nulla a che fare …» (Manca 2011, p.17) e dall‘altro benediva i gagliardetti per la nuova crociata il 29 Settembre del 1911, l‘Italia pose

40 Nel 1880, il ministro degli esteri francese consigliava all’ambasciatore d’Italia di “ …. non

ostinarsi a pensare a Tunisi, dove la concorrenza avrebbe potuto guastare i buoni rapporti *…+, ma volgere gli occhi su Tripoli, nel qual luogo non avreste a lottare con noi, né con altri ….” e l’esploratore africano Frederick Gerhard Rohlfs sosteneva “la possessione di Tunisi non valeva neanche la decima parte di Tripoli” .

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Tra il 1811 ed il 1875 solo quattro esploratori avevano riferito sulla Libia: il geografo Guido Cora, i medici Agostino Cervelli e Paolo della Cella, al servizio dei Qaramanli ed il frate mıssıonarıo Filippo da Segni.

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Accordo di Racconigi del 1909.

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l‘ultimatum alla Turchia. E la Sinistra?

Anche allora la Sinistra si è divisa. Come ora, c‘erano correnti ― pro‖ e ―contro‖ a polemizzare tra loro e, paradossalmente, tra i ―contro‖ c‘era anche Benito Mussolini.

Così, senza neanche tener nel dovuto conto « delle popolazioni della Tripolitania, della Cirenaica […] e del Fezzan, quasi ignorato e risolto dall‘annotazione di deserto libico » (Labanca 2012, p.37), la «grande proletaria si è mossa» 44, con l‘approssimazione dell‘Italietta Giolittiana, dotando le truppe in partenza per il fronte di un casco coloniale e di un «Manualetto per l‘ufficiale in Tripolitania» di poche decine di pagine (Labanca 2012, p.38).

Due anni più tardi gli ufficiali furono dotati anche di quel piccolo vocabolario Griffini, che lo stesso Autore definì un semplice « compagno di viaggio per chi volesse avviarsi a quel chiuso sacrario di cose, dove, ci si dice, nessuno è introdotto che non ne possegga almeno la lingua …» (Griffini, 1913).

E dire che a quel progetto era da tanto che si pensava!

Dal 1907 il Governo Giolitti aveva individuato nel Banco di Roma ―il cavallo di Troia‖ per una penetrazione pacifica in Libia. Infatti, la grande banca vicina alla finanza vaticana, presente già in altre città africane e del Medio Oriente, si era fusa con l‘azienda di credito dei fratelli Arbib, ricchi ebrei italiani d‘origine Livornese, residenti da tempo in Libia 45, aprendo una filiale a Tripoli e poi a Bengasi e Derna.

Ho avuto l‘occasione di intervistare una dei discendenti della famiglia Arbib e di rievocare quegli avvenimenti.

“Dopo i miei studi avevo lavorato in banca *…+.. Ero al Banco di Roma,

dove non ti spiegavano niente ed io giravo da un piano all’altro con una cartelletta, dove non tenevo niente, se non dei fogli bianchi. Muovendomi su e giù pensavano che lavorassi.

Mi sono poi licenziata *…+. Tieni presente che non è che al Banco di Roma volessero licenziarmi … Ero ebrea e come sai la banca aveva tanti

44 Dal discorso favorevole all’intervento del repubblicano poeta Giovanni Pascoli. 45

C’è da considerare che su circa un migliaio di italiani residenti a Tripoli, c’erano molti ebrei che avevano acquisito la cittadinanza italiana dal tempo del Granducato di Toscana. Gestivano notevoli risorse finanziarie.

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correntisti ebrei,lavorava tantissimo con gli ebrei.

Pensavano che licenziando l’ebrea avrebbero ricevuto ritorsioni da parte degli ebrei.

Lo sai che c’è una storia sul Banco di Roma, che è nata ai tempi dei turchi da un agenzia di prestito degli Arbib, che erano ebrei livornesi.

Quale ramo degli Arbib, perché ci sono tanti Arbib?

Questo non lo so, so che l’agenzia di prestito degli Arbib, ebrei italiani, funzionò come testa di ponte commerciale per il Banco Di Roma e da base per lo sbarco e la conquista della Tripolitania da parte degli italiani.

… proprio la settimana scorsa sono stata a visitare il Palazzo Arbib del 1870. Come sai, mia madre è una dei 107 eredi sparsi per il mondo e mio nonno materno, che è nato nel 1850 era di Livorno e così tutta la famiglia di mia madre.

Il ramo di mia madre è di Livorno dove c’è un Palazzo Arbib. Quello era degli antenati di mia madre *…+.

Anni fa il Banco di Roma aveva fatto una pubblicazione, che non so che fine ha fatto, sulla storia del Banco di Roma che diceva che la sede di Tripoli è nata dai nobili di Roma, del Vaticano, che avendo saputo che c’era una comunità ebraica a Tripoli si è fusa e ha formato il Banco di Roma “.

Intervista a Etty B.

In tal modo l‘Italia compiva «una penetrazione all‘arma bianca»(Bontempi 2012, p.55), monopolizzando in breve tutta la finanza, intervenendo sulle attività commerciali (Goglia, Grassi 2008, p.140) ed imprenditoriali dirette o indirette dei cittadini italiani in Libia46 «sfruttando una situazione di monopolio per tramutare l‘economia libica in un terreno di forti speculazioni …» (Bontempi 2012, p.55) . Tutto questo col favore della piccola borghesia e dei notabili libici.

Si diceva che «se l‘elemento turco si è preoccupato dell‘espansione economica italiana, quello arabo se ne è compiaciuto, perché ne ha goduto fin da principio i benefici e non c‘è capo arabo che non viva al contatto con il capitale italiano» (Goglia, Grassi 2008, p.141).

Si inaugurò così la «politica dei capi […], un sistema per governare attraverso i

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Stralcio dalla mia Tesi di Laurea in Lingue Orientali, Italia e Libia: tra storiografia e ricordi. Università Ca’ Foscari, di Venezia, a.a. 2008-2009: “*… il Banco di Roma+ promosse esperimenti di coltura agraria, la costruzione di fabbriche di ghiaccio per la conservazione dei prodotti

alimentari, di moderni mulini meccanici per grano e olive per produrre l’olio d’oliva. Finanziò una linea di navigazione con collegamento con Siracusa, Napoli e poi tra Tripoli, Malta, Bengasi, Alessandria d’Egitto, gli ancoraggi di Homs, Derna e il porto di Tobruk. “Raìs” di tonnara e “salinari” 46 della provincia di Trapani, si spostarono in Libia e grazie alle garanzie bancarie poterono aprire tonnare e saline, a Tripoli, Zanzur, Zuara, Homs, Misurata, Sirte e …”.

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capi, ma ricalcando le divisioni nella struttura politico-sociale della società, allo scopo di trarre vantaggio dalle reciproche rivalità …» (Loschi 2010, p.22).

A parte questa furbizia tattica, c‘era «una profonda mancanza di conoscenza degli aspetti sociali e politici della popolazione libica» (Baldinetti 2010, p.36) ed una notevole approssimazione organizzativa.

3.2. La conquista

Non s‘intende in quest‘elaborato riportare avvenimenti militari, già trattati da altre opere, ma per completezza verranno accennati solo alcuni fatti essenziali. Era stata predisposta un‘armata di tutto rispetto, soprattutto se rapportata ad una popolazione totale di 876.563 abitanti47 (Baldinetti 2012, p.4): 34 mila uomini, 6300 quadrupedi, 1050 carri, 48 cannoni da campagna, 28 pezzi da montagna e 4 stazioni radio, ma per la mancata coordinazione tra Marina ed Esercito le truppe non arrivarono, bloccate nei porti di Palermo e Napoli (Del Boca 1988, p.98). Ad iniziare le ostilità fu la sola flotta, desiderosa ―di menare le mani‖, con un bombardamento di due giorni, ma i turchi avevano già lasciato la città, spostandosi nelle piazzeforti interne. Tripoli era città aperta e gli italiani ne furono informati dal console di Germania che, temendo i saccheggi dei beduini, sotto bandiera bianca si presentò su una lancia alla nave ammiraglia italiana per sollecitare lo sbarco.

Così, per amor d‘ordine pubblico e rassicurati che i turchi si erano ritirati, la mattina del 5 Ottobre, fu fatto sbarcare il capitano di vascello Umberto Cagni, con 1732 marinai, senza incontrare resistenza.

Due giorni dopo, il contrammiraglio Raffaele Borea Ricci, al suono della marcia reale entrò nel Castello, assumendo il possesso della ―Colonia‖ come governatore provvisorio.

Alla presenza dei corrispondenti dei giornali italiani ed esteri, ricevette le credenziali dei diplomatici, accolse i rappresentanti della collettività italiana,ebrea e maltese, nominò il sindaco (Del Boca 1988, p.98) e rivolto ai notabili , ―i capi‖

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In Tripolitania e Fezzan 576. 546 abitanti, in Cirenaica 198.345, escludendo l’oasi di Cufra che si trova a 1000 chilometri a sud di Bengasi nel Sahara.

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libici invitati, affermò che si sarebbero rispettati i diritti, la religione e soprattutto le donne libiche, perchè «...se mai qualcuno azzardasse a toccare il vostro onore, sappia che ha leso il nostro onore [....] Voi siete ormai i nostri figli e avrete gli stessi diritti di tutti gli italiani, dai quali non è lecito distinguervi» (Del Boca 1988, p.101). Ma così non fu!

Ho letto un discorso simile del 1952, da parte di Re Idris che, contrariamente agli italiani, mantenne la promessa ed ho ascoltato alla radio quello del colonnello Mu‘ammar Gheddafi del 1969, che rivolgendosi ai poco più dei ventimila italiani rimasti in Libia, li chiamò «āȗled el-bled, akhūān, figli del paese», fratelli.

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