4. LA COLONIA DURANTE IL REGIME FASCISTA
4.3. I piani di colonizzazione
4.4.1. I “Ventimila” di Italo Balbo
Lo Stato affidò all‘INFPS un territorio da distribuire ai coloni.
Scrive Francesco Prestopino che alla fine del 1940 la superficie del terreno dato in concessione per scopi agricoli ammontava in 231.704 ettari, in Tripolitania e103.704 in Cirenaica. In Tripolitania furono creati 3.675 poderi per 3.960 famiglie coloniche, per un totale di 23.919 persone. In Cirenaica furono distribuiti 2.000 poderi per un totale di 45.832 ettari, a 2.206 famiglie coloniche di 15.014 persone. (Prestopino 2011, p.188-189).
«Il piano dei Ventimila prevedeva l‘arrivo di 100.000 coloni nell‘arco di 5 anni per giungere all‘insediamento di 500.000 persone e realizzando nel 1950 un‘autosufficienza alimentare della colonia tramite un‘agricoltura intensiva» (Ghiotto,Trivellato 2013, p.86).
Nel 1938 emigrarono 20.000 coloni, nel 1939 ne partirono 11.000, ma il programma si dovette interrompere nel 1940 con l‘inizio della Seconda Guerra Mondiale e la morte di Italo Balbo nel cielo di Tobruk, abbattuto col suo aereo dal ―fuoco amico‖ della nave militare italiana San Giorgio.
I coloni per poter emigrare dovevano presentare una documentazione attestante il numero dei familiari e il loro grado di istruzione. Un criterio di selezione positivo era il numero delle ―braccia‖ lavoro, cioè dei figli e negativo l‘analfabetismo; successivamente ai giovani venne richiesta la pagella scolastica per permettere loro la prosecuzione degli studi. Era richiesto il certificato penale e di buona condotta e la militanza politica:l‘iscrizione al Partito Fascista, alla Gioventù Italiana del Littorio (GIL) o alle Massaie Rurali.
Veniva effettuata una visita medica attestante sana e robusta costituzione, accertata l‘ottemperanza agli obblighi militari e la volontà dei più giovani a prepararsi «sotto il profilo spirituale, sportivo e militare ad assolvere gli obblighi di leva. […] Alla partenza dall‘Italia ogni familiare poteva portare solo gli effetti personali, la biancheria da letto e da tavola, il corredo di sposa di ogni brava
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massaia rurale e […] le masserizie dei coloni non dovranno superare la misura di m. 1,30 ed il peso di 3 quintali per ogni singola famiglia [ …] e tutto il resto l‘avrebbero trovato nella casa colonica» (Ghiotto,Trivellato 2013, pp.81-96). Il 28 Ottobre del 1938 61 i coloni del Settentrione si imbarcarono a Genova su 9 navi, quelli del Sud a Napoli su 6 navi. Tutti i piroscafi arrivarono nel porto di Tripoli il 2 Novembre (Prestopino, 1995).
Si radunarono in Piazza Castello e festeggiavano sotto il bastione della fortezza . Inneggiando al governatore gridavano: «Balbo, Balbo !» e i libici, che assistevano alla manifestazione, da allora chiamarono ―Bulbul‖quei coloni, arabizzando con un processo di fonosimbolismo il nome Balbo. Tale soprannome rimase ai Ventimila anche in epoca post coloniale. Non che questo nomignolo avesse un senso dispregiativo, ma come spesso accade in tutte le comunità migratorie in cui possono sussistere problemi d‘integrazione tra vecchi e nuovi immigrati (Audenino, Tirabassi 2013), aveva un significato distintivo nella collettività tripolina.
Paolo, figlio del governatore Italo Balbo, fu testimone dell‘oceanica manifestazione in piazza Castello, a cui assistette dagli spalti dello stesso, in compagnia dello zio. È ancora vivo in lui il ricordo della folla assiepata nella piazza che fu in seguito avviata su camion alle destinazioni preposte.
Nelle case coloniche e nei poderi tutto era stato predisposto, nei minimi particolari, per soggiornare e per iniziare a lavorare già dal giorno successivo all‘arrivo.
“I familiari di mia moglie erano i veri coloni. La famiglia di mio suocero faceva parte dei Ventimila. La buonanima di mia suocera mi raccontava che quando con i camion la portarono ad Oliveti per assegnare loro la concessione, entrarono con la candela e trovarono tutto, persino i fiammiferi per accendere il fuoco e anche gli spaghetti e le provviste per un certo periodo. La casa era arredata di tutto punto. Poterono dormire fin dalla prima notte. Erano una famiglia numerosa. Oltre ai miei suoceri c’erano quattro figlie femmine, il nonno e la nonna.
C’era tutto in quella casa.
Erano di Caltagirone . Ogni podere era di 10.000 mq e loro il giorno dopo, zappa e pala, si misero a scavare le buche per mettere gli alberi. C’erano ulivi, alberi d’agrumi, di frutta, c’era tutto. Gli animali, gli attrezzi. Loro la
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guerra e la fame non l’hanno sentite per niente, anzi hanno dato aiuto ad altre famiglie”.
Intervista a Gilberto C.
Lo Stato, per la valorizzazione agraria, si accollava l‘onere delle infrastrutture: strade, acquedotti, edifici, scuole, chiese, madrase e moschee per i libici, servizi pubblici. I lavori delle opere per i Ventimila richiesero la manodopera di 10.000 operai italiani ed oltre 23.000 libici.
I nomi dei ―villaggi rurali‖ ricordavano la storia d‘Italia, personaggi del Risorgimento, della Grande Guerra e del Fascismo: Bianchi, Breviglieri, Oliveti, Giordani, Crispi, Micca, Corradini, Tazzoli, Marconi, Garibaldi, Miani in Tripolitania ; Beda Littoria, Maddalena, Luigi Razza, Luigi di Savoia, Giovanni Berta, Francesco Baracca, Gabriele D‘annunzio, Cesare Battisti, Fabio Filzi, Goffredo Mameli, Nazario Sauro in Cirenaica (Labanca 2002, p.320).
Il villaggio doveva servire da polo di un gruppo di poderi ed ognuno doveva essere un nodo di una rete di centri urbani, collegato da strade asfaltate che, come dicevano le disposizioni dell‘INFPS:«…per favorire le attività commerciali ed industriali complementari a quelle agricole, potrà fornire ai coloni tutti quei servizi individuali e collettivi necessari alla vita di una forte comunità, mentre dal lato etnico e morale servirà a creare un vincolo di cameratismo comunale e paesano» (Loschi 2010, p.34).
“….Bianchi era un villaggio modello e moderno. C’era un grande piazza, dove si teneva il mercato e intorno un porticato doppio che consentiva alla gente di camminare all’ombra, riparandosi dal sole che nelle ore più calde poteva dare fastidio. C’era una bella chiesa, il cinema … La mia azienda era a cinque chilometri da Bianchi, Giordani a sei, Micca a tre chilometri. Io stavo al centro di questo grande triangolo. Confinavo con sei sette famiglie coloniche: quella a sud che gravitavano su Micca, quelle a ponente erano di Bianchi e quelle a sud-ovest di Giordani. Bianchi era il villaggio più grande.
In quell’epoca si adottava la strategia degli antichi romani.
C’erano strade perfette e ben tenute, a parte la famosa Balbia, un’opera ciclopica … “.
Intervista a Sandro M.C.
“ … era una forma di socialismo. Lo Stato costruiva i villaggi, le case, le scuole, la posta, la chiesa, la moschea e tutti lavoravano per diventare col tempo piccoli proprietari. I poderi erano fuori del villaggio. Erano un
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esempio di organizzazione agricola avanzata Forse gli ebrei di Israele …, ma nemmeno così …”.
Intervista a Carlo G.