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5 FINE DI UNA COLONIA

5.2. I rapporti tra le collettività sotto la BMA

I maltesi ed anche i greci, da decenni, anzi da secoli erano legati agli italiani, per fede, vicinanza, parentela, ma soprattutto da numerosi matrimoni misti, contratti in varie generazioni. Molti italiani di Tripoli avevano nella loro genealogia una zia, una nonna, magari un prozio maltese o anche greco.

“… so che un mio avo, italiano, aveva sposato una spagnola che si chiamava Maria Dolores e poi so che un mio bisnonno, che morì a 97 Tripoli. Contestato per le simpatie per il fascismo, in realtà fu un mediatore tra Chiesa e Regime, nel ’38 si batté in difesa degli ebrei e durante la guerra diede aiuto e sostegno alla popolazione. Fu decorato dall’Italia con medaglia d’oro per la sua opera.

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anni, era nato a Tripoli e poi così mio nonno e mio padre è nato a Tripoli e anche io sono nata a Tripoli. Siamo di Tripoli almeno da cinque generazioni …

I turchi volevano che mio nonno si convertisse, che si facesse mussulmano, altrimenti … ma lui … sai cosa ha fatto, ma se n’è andato a Malta ed è diventato maltese. Poi è tornato e, quando Malta è passata sotto l’Inghilterra, siamo diventati sudditi inglesi. Quando Malta è diventata indipendente, avevamo passaporto inglese. Poi io ho sposato un italiano e sono diventata cittadina italiana”.

Intervista a Lucia S.

“Il mio trisavolo si è stabilito in Libia alla fine dell’800; ne sono sicura perché abbiamo trovato al cimitero di Tripoli una J. morta nel 1886. La nonna di una mia amica, che tu ben conosci, Pia Z. mi raccontava che aveva conosciuto un J.75, greco che era titolare di un negozio di oreficeria nella Città Vecchia, dove vivevano tutti arabi, greci, maltesi e siciliani. Questo mio trisavolo vestiva come vanno vestite le guardie greche che stanno davanti all’ ex palazzo reale e al parlamento di Atene.

Questo trisavolo era sposato con una maltese, mentre mio nonno che nacque a Tripoli era sposato con un’italiana, catanese

Di che periodo parliamo?

Il nonno morì prima che scoppiasse la Seconda Guerra Mondiale ed era nato nelle ultime decadi dell’Ottocento. Mio padre invece era nato nel 1905 e si è sposato con mia madre che veniva dal Friuli nel 1930.

Quindi mio padre era greco, mia madre italiana ed eravamo gli unici greci cattolici, perché mia nonna catanese, mia madre friulana cattolici. In casa si professava il cattolicesimo anche se seguivamo anche le feste ortodosse”.

Intervista a Milena J.

Durante la guerra i cittadini stranieri maschi adulti ―nemici‖ erano stati deportati in Italia, in campi civili e a fine conflitto rientrarono a Tripoli.

C‘erano da sempre tali e tante commistioni nelle famiglie tra questi e gli italiani che non potevano esserci sentimenti ostili al momento del ricongiungimento. Malgrado ciò, i maltesi erano dichiaratamente filo inglesi e pertanto durante la BMA si verificarono attriti anche nell‘ambito della parentela stretta, perché come sudditi di Sua Maestà Britannica, erano favoriti nella ricerca d‘occupazione e negli appalti.

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E’ interessante rilevare che il cognome dell’interlocutrice che terminava come quasi tutti i nomi greci in “…s”, in seguito perse la “s” finale, italianizzandosi.

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“… Tutti *…+ i maltesi erano nati e cresciuti là, anche i suoi genitori erano nati lì [del marito Romeo].

Loro avevano nazionalità inglese, perché i maltesi avevano questa nazionalità, perché Malta era inglese. … tutta gente che s’è fatta il campo di concentramento … anche Romeo, durante la guerra, s’è fatto il campo di concentramento perché risultava un nemico degli italiani.

Un campo di concentramento civile. Tutte le famiglie maltesi, durante la guerra, le hanno caricate sulle navi e le hanno portate ad Aversa ed in Emilia.

Non erano trattate male, gli davano da mangiare e da bere ma essendo una nazione in guerra con l’Italia, dovevano stare confinati, perché nemici dell’Italia”.

Intervista a Marisa B.C.

“Con la guerra76 abbiamo perso un po’ tutto, le case di Shār’a Shat furono bombardate. Prima mio padre poi tutta la mia famiglia e anche noi che eravamo sfollati a Homs, fummo deportati in Italia perché eravamo inglesi *maltesi+ e quindi nemici ”.

Intervista a Carlo G.

“… quando a iniziò guerra, i fascisti deportarono i maschi della mia famiglia perché inglesi e le femmine che avevano tutte sposato italiani si misero dalla parte dei G. [della famiglia originaria, sudditi inglesi] perseguitati dagli italiani.

Mia mamma fu deportata a Fossoli, che nessuno conosceva … se non quando Prodi, allora capo del governo non portò una corona di fiori”. Intervista a Patrizia G.

Diversa fu la situazione cogli ebrei. Alcuni, qualunque fosse la loro origine, erano italiani a tutti gli effetti e molti avevano avuto importanti incarichi nelle strutture dello stato italiano ed anche nelle forze armate. Gli italiani di religione ebraica e gli altri ebrei di diversa provenienza e cittadinanza costituivano un'unica collettività religiosa.

“Mia madre è nata a Tripoli, mia nonna materna veniva da Alessandria d’Egitto, mentre mio nonno materno era già a Tripoli, in quanto suo padre, il mio bisnonno era turco ed era ufficiale medico dell’esercito di stanza a Tripoli.

Mio padre invece è nato a Genova ed era ufficiale degli alpini 77”. Intervista ad Angi C. P.

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Seconda Guerra Mondiale.

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Durante il fascismo non subirono comunque le violenze, le deportazioni nei campi di sterminio dei loro correligionari e connazionali in Italia anche se, come in Italia gli ebrei furono discriminati dalle leggi razziali del ‘38: divieto di frequentare le scuole pubbliche, salire sui mezzi di trasporto cogli altri italiani, far parte dell‘amministrazione, ma la cosa più intollerabile per loro era l‘obbligo di tenere aperte le attività il sabato e chiuse la domenica.

Finita la guerra, memori delle leggi razziali, alcuni diventarono collaborazionisti degli inglesi per far vendetta sui persecutori fascisti, per tutelare i patrimoni e fare buoni affari con gli inglesi.

La BMA a Tripoli aveva iniziato fin dal primo momento, una ―caccia ai fascisti‖ ed il loro internamento. Gli irriducibili tra gli italiani e anche tra i libici che avevano appoggiato il regime e che non volevano ―collaborare‖ coi britannici, furono portati in campi di ―persuasione‖ in loco e nel caso di resistenza internati in campi lontani dell‘Impero britannico.

“Gli ebrei che erano numerosissimi, avevano un rapporto alla pari con gli arabi, non c’era nessuna differenza tra arabi ed ebrei.

Prima dell’arrivo degli italiani abitavano insieme a maltesi e greci nella Città Vecchia, in un quartiere la Hara, mentre nel quartiere della Ḓahra, un estesissimo quartiere, c’erano per lo più famiglie arabe e maltesi. Tra l’altro parlavano gli uni e gli altri pressappoco alla stessa maniera, la stessa lingua.

L’ebreo libico non aveva lo stesso livello culturale degli ebrei europei, tedeschi, polacchi, slavi. Gran parte degli ebrei libici avevano lo stesso livello culturale e sociale dei libici.

* Poi+… c’erano le famiglie ricche, molto più evolute, ma certo non abitavano alla Hara, me nel centro della città, vivevano nei quartieri eleganti allo stesso livello sociale degli europei.

Vorresti dire che la differenza non era di tipo etnico o confessionale, ma sociale. I quartieri della Hara e della Dhara non erano dei ghetti di tipo etnico, ma sociale, come nelle nostre città esistono quartieri poveri e quartieri ricchi …

Devo anche dire che gli ebrei, quelli ricchi, sono stati gli unici ad applaudire gli inglesi al loro arrivo a Tripoli. I libici guardavano in silenzio, come noi, il passaggio dei mezzi corazzati inglesi, anzi si vedeva che erano molto dispiaciuti.

Gli ebrei viceversa sono scesi in piazza e applaudivano le truppe inglesi. Forse per le leggi razziali …?

Le leggi razziali che pur ci furono in Italia in Libia li sfiorarono …

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… fu proprio un ebreo che denunciò mio padre in quanto fascista e mio padre fu internato come prigioniero civile fascista.

Dopo l’8 Settembre, visto che a Tripoli c’erano migliaia di prigionieri italiani, sia militari che civili, questi prigionieri sono stati invitati a diventare, come li chiamavano, “cooperatori”.

Mio padre rifiutò di firmare un atto in cui di dichiarava d’essere “cooperatore” di coloro che fino a poco prima erano considerati nemici. Soltanto quarantaquattro non si sono assoggettati e non si sono dichiarati cooperatori dell’Inghilterra e uno di questi era mio padre.

Furono portati tutti in Kenya su camion scoperti, col caldo ed il freddo della notte, attraverso il deserto.

Praticamente nel giro di pochi anni sono morti tutti, tranne uno, che … non ricordo come si chiamasse e che mi ha raccontato la storia, i patimenti, le sofferenze, le angherie che hanno subito per

addomesticarli.

Mio padre, cardiopatico, mori dopo qualche anno.

Gli ebrei di Tripoli, non i poveri disgraziati della Hara, ma i ricchi non si sono comportati bene con gli italiani”.

Intervista a Carlo M.

5.3. «O Italia, o Italia del mio cuore, tu ci vieni a liberar … »

Gli italiani di Libia amavano l‘Italia di un amore immenso, inimmaginabile e si commuovevano fino alle lacrime alla vista di un tricolore che sventolava oppure esplodevano di gioia e nostalgia al ritornello de ―Le campane di San Giusto‖, che cantava: « O Italia, o Italia del mio cuore, tu ci vieni a liberar !»

Nel 1947 le stime ufficiali riportavano un drastico ridimensionamento della presenza italiana: in Tripolitania vivevano 49.536 italiani, praticamente nessuno era rimasto in Cirenaica, perché erano fuggiti coll‘ invasione delle truppe inglesi (Scoppola-Iacopini 2012, p.112).

Gli italiani rimasti in Libia erano coesi ed affratellati dalla loro storia. L‘umiliazione per la sconfitta militare, i soprusi e l‘arroganza inglese rendeva più viva ―l‘italianità‖. Non c‘era occasione, dalla recita scolastica in cui si cantava l‘Inno di Mameli, alla vittoria della Nazionale di calcio ascoltata alla radio della latteria Girus, in Corso Vittorio Emanuele III, a quella di Gino Bartali quando vinse il Tour de France che non la facesse esplodere d‘entusiasmo.

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canzone in mano Jugoslava. L‘Italia era lontana, ma amata.

“L’Italia da noi era un po’ lontana, ma io dell’Italia avevo una grande nostalgia. Dicevo sempre: Se metto il piede in Italia, non torno più a Tripoli, voglio stare lì. Avevo proprio questo desiderio di vivere a casa mia, ma da lì la vedevamo da lontano, certo c’eravamo ben organizzati dove stavamo, anche perché a quei tempi non avevamo tanti soldi da poter fare viaggi”.

Intervista a Gilberto C.

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