5 FINE DI UNA COLONIA
5.1. L ’occupazione militare britannica: 1943
Con la sconfitta di Al-Alamein iniziò la ritirata delle forze dell‘Asse ed il 23 Gennaio del 1943 le truppe inglesi entrarono a Tripoli, istituendo la British
Military Administration (BMA) sulla Tripolitania e Cirenaica, mentre il Fezzan,
confinante col Ciad francese, fu occupato dalle truppe di De Gaulle.
La Libia diventò sulle carte geografiche ―Libya‖ e fu divisa tra inglesi e francesi. Gli americani, all‘inizio della guerra fredda con la Russia, rilevarono sulla costa libica un punto strategico per poter controllare il Medio Oriente, saldamente in mano britannica e francese e ottennero dagli inglesi la base aerea del Wheelus Field, a pochi chilometri da Tripoli.
La base serviva a mettere l‘Occidente sotto l‘ombrello atomico degli Stati Uniti. Il canone d‘affitto avrebbe contribuito a sostenere la disperata situazione economica del Paese, che usciva dalla guerra tra i più poveri del mondo.
La popolazione italiana in Libia, che all‘inizio della Seconda Guerra Mondiale era di oltre centododicimila persone, si assottigliò. Non solo era cessato l‘arrivo dei coloni, ma molti italiani si erano rifugiati in Italia, ritenuta più sicura e molti non ritornarono.
Gli italiani avevano già dovuto abbandonare la Cirenaica o rimpatriando o rifugiandosi a Tripoli, sotto l‘incalzare delle truppe britanniche.
“Quando poi scoppiò la guerra, la Seconda Guerra Mondiale, il 10 Giugno del ’40, dopo poco gli inglesi cominciarono a bombardare e insomma … , chi conosce la storia, sa che già all’inizio del ’41, gli italiani dovettero ritirarsi, perché Graziani era stato sconfitto e dovette ritirarsi. Era già entrato in territorio egiziano, ma poi … dovette ritirarsi.
Nel Febbraio del ’41, le donne e i bambini dovettero fuggire, diciamo, abbandonare la città e quindi, mia nonna, mia mamma, io e un mio fratello più piccolo,… che nel frattempo era nato, ci imbarcarono su un aereo che ci portò da Bengasi a Catania …
Pensa che gli aerei che erano partiti prima di noi furono abbattuti. Erano aerei militari.
Invece gli uomini rimasero lì … sì, rimasero lì … Mio nonno e uno dei sui figli, mio padre, che era funzionario della Banca D’Italia rimasero lì con
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tutti gli altri uomini. L’altro fratello, mio zio, che era appena laureato in ingegneria aeronautica era stato subito richiamato alle armi, … arruolato. Mio padre, come funzionario della Banca d’Italia dovette
necessariamente seguire le truppe in ritirata, perché dovevano pagare i soldati, a Tripoli.
Mio nonno[materno], anche lui si trasferì a Tripoli perché non voleva lasciare la Libia. Era al massimo della sua attività di fotografo, era conosciutissimo”.
Intervista a Francesco P.
Anche in Tripolitania molti avevano mandato le famiglie in salvo in Italia, mai pensando che sarebbe stata invasa dalle forze alleate.
“Avevo sei, sette anni e venimmo in villeggiatura in Italia e al momento del rientro a Tripoli scoppiò la guerra e fecero una legge che, per sicurezza, non consentiva ai bambini al di sotto dei dieci anni di viaggiare in aereo. Restai in Italia da uno zio paterno, ingegnere, che dirigeva uno zuccherificio e ci restai tre o quattro anni della mia vita.
Abitava in una villa di sogno in un paese che si chiamava Jolanda di Savoia, nel ferrarese”.
Intervista a Sandro M. C
All‘arrivo delle truppe inglesi la collettività italiana di Tripoli, più che preoccupata, era terrorizzata e se ne stava rintanata nelle case.
Si sentiva parlare in giro di un‘armata, che più che britannica era costituita dalla ―feccia del mondo‖ e si temeva che Tripoli sarebbe stata saccheggiata da questi ―barbari‖; si temeva che ci sarebbero state violenze e rappresaglie da parte degli arabi verso gli italiani, i colonialisti, i vecchi padroni.
Ma non ci fu un episodio di molestia, vendetta, aggressione, neanche nelle campagne dove i coloni italiani vivevano isolati, anzi dalle testimonianze raccolte, ci furono episodi di rammarico e solidarietà e di difesa dei civili italiani. Ma a dispetto degli inglesi che, più che temere, forse avrebbero voluto una reazione da parte dei libici, ci furono atti di solidarietà e correttezza da parte dei libici.
La vita proseguiva, continuavano a nascere i bambini: come in un presepe, in una grotta, al posto dei pastori i pescatori libici, che avevano avuto una pesca miracolosa, vennero a felicitarsi con la puerpera e il suo neonato e a regalare un pesce ciascuno.
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“Mio padre, visto che le cose si mettevano male, i bombardamenti e l’avanzata delle truppe angloamericane, sistemò due enormi grotte a Zanzur , anzi vicino a Zanzur, a Bivio Gheran72, anzi si diceva ‘eràn. Mi hanno raccontato mio padre e mia madre che mio padre ed altri le divisero in stanze, ognuna occupata da una famiglia, quella nostra la abbellì, addirittura facendo il pavimento con i tappi delle bottiglie... … Mia madre mi raccontava che il giorno che nacqui io, il giorno delle Palme, i pescatori che da dieci giorni non prendevano pesce tornarono con le barche piene.
Era il giorno delle Palme e per questo mi chiamo Palmiro *…+ e le barche che arrivarono a terra erano così strapiene di pesce che da lontano sembravano a pelo d’acqua, semiaffondate.
Avendo saputo che era nato un bambino, i pescatori arabi, venivano dai miei e ognuno gli lasciava un pesce davanti alla grotta.
Il pesce è il mio amuleto, il mio portafortuna e quando le cose vanno male io compro e mangio pesce” 73.
Intervista a Letterio A.
Nella simbologia locale il pesce indica fortuna ed è contro il malocchio, la fattura ed è molto diffuso come portafortuna sia tra i libici che in altre comunità presenti. È di malaugurio dire ad una madre che il suo neonato è un bel bambino. .
La risposta risentita è: « Ḥamsa fi ajunek, cinque (dita) nei tuoi occhi» per scongiurare ―l‘occhio pesante‖, il malocchio.
Cinque, come il numero della dita nell‘amuleto della ―mano di Fatima.
Tra gli arabi si usava uno scongiuro, volutamente nascosto nel contesto del discorso, ma doppiamente efficace: nominare il numero cinque e il pesce e tutto si sarebbe ritorto ―negli occhi‖ del possibile ma‟aian, iettatore.
Spesso lo scongiuro era seguito da una sommessa preghiera esorcistica: «Allah
iekfina shèrra!, Dio ci liberi del male che ci può recare! » (Rovere 1969, p.221-
222).
Dipingere un occhio, un pesce sull‘uscio di casa protegge dall‘ ―occhio pesante‖. La religione e la superstizione si uniscono in un incredibile connubio.
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Bivio Gheran era un importante snodo ferroviario sulla linea Tripoli - Zuara vicino al confine tunisino. La costruzione delle ferrovie in Libia iniziò nel 1912 partendo da Tripoli verso est, comprendendo varie diramazioni e stazioni , mentre a ovest raggiungeva Tagiura. In Cirenaica la rete ferroviaria da Bengasi raggiungeva Soluch e Barce. La rete ferroviaria venne dismessa dal governo libico perché giudicata inefficiente.
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Altri modi di dire sono per esempio: ”Ieri a cena io ho mangiato cinque pesci fritti …“ oppure: “Questo bambino da grande mangerà almeno cinque pesci alla settimana …”.
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Alcuni anni fa ho ricevuto in dono un portachiavi in cui, associata all‘immagine di Maryam, la Madonna madre di Gesù, che ci protegge dal male, c‘è un grosso occhio. L‘ho appeso alle chiavi di casa!
Gli inglesi perseguirono una politica volta a deitalianizzare il Paese ed il comandante britannico Maurizio Stanley Lush della BMA colpì duramente gli interessi degli italiani di Libia.
Scrive Roberto Nunes-Vais: «… l‘occupazione inglese provoca il capovolgimento di una realtà privilegiata e la fine di quei postulati d‘orgoglio, di sicurezza e di benessere, che gli italiani di Tripoli ritenevano d‘aver ormai acquisito» (Del Boca 1988, p.325).
Gli inglesi chiusero le banche, le assicurazioni, intralciarono le attività
commerciali ed imprenditoriali degli italiani e posero tutti gli ostacoli possibili per impedire la loro ripresa economica, così da sfibrarli nel morale ed indurli al rimpatrio.
La BMA adottò una politica che, come osservò il segretario generale del ministero degli esteri Vittorio Zoppi, fu «…in contrasto con i principi di diritto internazionale sui poteri e doveri di uno stato occupante, contenuti nel Regolamento allegato alla IV° convenzione dell‘Aia del 18 Ottobre del 1907, concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre». (Del Boca 1988, p.328). Cercarono anche d‘impedire ai rimpatriati per la guerra e ai reduci delle disciolte forze armate italiane di tornare a casa in Libia per ricongiungersi alle famiglie (Scoppola-Iacopini 2012, p.112), tanto che, appena finita la guerra, alcuni italiani la raggiunsero da clandestini su barconi, vecchie carrette e pescherecci.
Più tardi, i più fortunati tornarono su navi da trasporto militare.
“… ho fatto le medie in Italia e dopo la guerra, quando hanno consentito agli italiani di ricongiungersi con le famiglie, rientrai in Libia con tutta la famiglia a bordo di una nave enorme militare, una trasporta aerei. Li trasportava smontati nella pancia per poi rimontarli sul ponte a destinazione , che si chiamava “Miraglia”, nave Miraglia”.
Eravamo morti di paura, perché il mare era pieno di mine vaganti alla deriva.
C’era il Vescovo, Monsignor Facchinetti74 che officiava la Messa sul ponte.
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Nato a Gorlago 1883, ordinato sacerdote, plurilaureato all’Università Cattolica di Roma e di Milano e fondatore del Centro di Cultura Francescana. Nel1936 Pio XI lo nominò vescovo di
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Estrema commozione del ritrovarsi ancora vivi dopo le disgrazie della guerra. Ricordo mia madre che si abbracciava con signore della borghesia tripolina.
Di primo mattino, forse alle sei, avvistammo Tripoli, bianca e bellissima coi suoi palmeti. Entrammo in porto dove ebbi l’incontro con mio padre che non vedevo da oltre sei anni …. Ero commosso ed anche intimidito dalla figura di quest’uomo bellissimo, atletico, abbronzatissimo, pantaloni da cavallerizzo, che praticamente non conoscevo …
Ci trasferimmo in campagna perché la villetta che abitavamo a Tripoli, in Via Raffaello, era stata bombardata ed eravamo senza casa.
Ci siamo stati 5-6 mesi e per me fu una vita meravigliosa …”. Intervista a Sandro M. C
A Tripoli i rapporti coll‘Amministrazione Militare Britannica furono più che tesi e malgrado le restrizioni, escluse le guardie della Polizia dell‘Africa Italiana (PAI), licenziate perché di provata fede fascista, rimanevano ancora in servizio attivo 1.281 impiegati italiani nell‘amministrazione comunale, nei tribunali civili e penali, negli ospedali ed anche alcuni carabinieri per l‘ordine pubblico (Del Boca, 1988, p.328). Anche se era logica la loro graduale sostituzione, mantenevano ancora alcune leve della burocrazia. I liberi professionisti, notai, avvocati, medici, dentisti, ingegneri, insegnanti, inoltre gli artigiani che costituivano il tessuto socio-economico del Paese non potevano essere immediatamente esclusi, senza farne crollare la struttura.
Si poteva però rendere la vita difficile agli italiani e così, complice la siccità e la crisi economica molti, esasperati, chiesero di rimpatriare.