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Il petrolio: nascita di una borghesia e nuove gerarchie social

5 FINE DI UNA COLONIA

7. LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETA’ LIBICA NEGLI ANNI SESSANTA

7.3. Il petrolio: nascita di una borghesia e nuove gerarchie social

La ricchezza derivata dal petrolio dava l‘opportunità a tutti i livelli sociali di godere di benessere e su questo benessere gli italiani si adagiarono.

Tripoli era una città scandalosamente opulenta, i petrodollari indirettamente avevano influito su tutte le collettività e c‘era lavoro e guadagno facile per tutti coloro che lo volessero, sia presso le compagnie petrolifere che nel terziario. Ovunque si aprivano cantieri edili, si demolivano le catapecchie per costruire palazzi con appartamenti da affittare agli ―importati‖ e complessi residenziali ed alberghieri.

Negli anni ‘60, inglesi e americani non stavano più reclusi volontariamente negli alloggi del campo, ma affittavano villette e appartamenti in città, partecipando alla vita sociale. Sorsero così interi quartieri residenziali nei sobborghi di Tripoli: di Giorgimpopoli, di Gargaresh, di Gurgi, ma anche i quartieri residenziali della media e alta borghesia di Città Giardino e del centro della città nuova si popolavano di stranieri ―importati‖.

Le case bombardate, quelle vecchie occupate dagli sfollati durante la guerra, vennero rase al suolo e sulle aree vennero costruiti importanti complessi alberghieri.

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“Là dopo la fabbrica di gazzose che dicevi prima [che era stata bombardata e i ruderi occupati dagli sfollati+ e l’osteria di Michele all’angolo [… ]andando avanti c’era la Villa Salvo. Era un agglomerato di vecchie case cadenti. Inizialmente doveva essere veramente una gran villa

Così c’era scritto nel fregio sul portale, ma poi durante la guerra fu bombardata e gli alloggi occupati dagli sfollati. Non ricordo quando fu demolita, né che palazzo ci costruirono negli anni sessanta …

Negli anni sessanta cambiò completamente l’aspetto della zona. In quell’ampio slargo, dove si andava a giocare a pallone e che prima era un deposito d’ auto, ci costruirono un albergo elegante: l’Hotel Mediterraneo”.

Intervista a Domenico E.

“Appena diplomato me ne sono andato a lavorare nel deserto *i geometri italiani erano molto richiesti e ben pagati dalle compagnie petrolifere che operavano in Libia].

Lavoravo con la Termec Libya e in quest’occasione ho conosciuto la Libia vera.

È stata un’esperienza positiva anche se dura. A me piaceva quella Libia, un po’ selvaggia.

Prima di andare nel deserto avevo lavorato in un ufficio progettazione di case e villette da G. , ma questo lavoro era troppo statico, meno

remunerato e non mi appassionava.

Non che non desse soddisfazioni: abbiamo progettato la villa di un principe e la casa del direttore generale della Esso Oil.

Sai chi prese il mio posto quando me ne andai a lavorare nel deserto? Cercavano un sostituto. Salvo R., che sai che era molto bravo e siccome loro avevano bisogno di coprire il mio incarico gli indirizzai Salvo” .

Intervista a Gilberto C.

Scrive Alberto Paratore sullo stato d‘animo della collettività italiana negli anni sessanta: «La facilità del guadagno, il tenore di vita semplice, ma agiato, la coscienza di sentirsi realizzati , l‘assaporare una vita così diversa da quella che veniva riferito esservi in Italia, facevano credere alla maggioranza dei connazionali residenti, che quella terra non sarebbe stata giammai ingrata con essi. Naturale quindi che essi reinvestissero in loco i loro guadagni, le loro economie, anche perché l‘investimento dava loro un interesse del 100% sicuro ed in breve termine» (Paratore 1984, p.116).

Il ―pozzo di petrolio‖ non era dietro l‘angolo e bisognava addentrarsi in aereo nel deserto e in posti che sembravano ―alla fine del mondo‖, su aerei della Seconda Guerra Mondiale, ma i soldi cominciavano a circolare e tanti.

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Quando studente universitario squattrinato, anche se di famiglia agiata, tornavo per le vacanze estive a Tripoli mi dovevo confrontare con i miei compagni di scuola, che lavoravano ―col petrolio‖ e giravano con macchine sportive di grossa cilindrata; loro erano spesso a cena nei locali eleganti e godevano di un alto tenore di vita.

“Cominciai a lavorare ed il mio primo lavoro fu il “batti lamiera”, così si chiamavano là i carrozzieri. Lavorai per un breve periodo di tempo da C., che aveva l’officina di carrozziere vicino all’Uaddan, sotto la Ḓahra e ci andavo a lavorare in bicicletta. Poi andai a lavorare con mio fratello che aveva una grandissima officina meccanica sulla strada di Bab Al-Aziziya e con lui iniziai l’attività con varie compagnie petrolifere per la

manutenzione dei motori delle pompe che estraevano nel deserto il petrolio.

Passai dieci anni della mia vita nel deserto. È stato un periodo molto bello nonostante i disagi . Ambiente nuovo, molti americani, tanti italiani ma i i dirigenti erano americani. Ho imparato l’inglese.

La maggioranza degli americani erano texani e avevano fatto amicizia con noi, ci trattavano con molto cameratismo, la sera ci si riuniva al bar del campo, si beveva e si stava insieme.

L’atmosfera era buona in ambedue i campi dove sono stato.

I campi erano in Cirenaica, uno si chiamava Naphoora 51 e l’altro Beda 47. Lavoravo con l’Amosys che era Amoco Corporation 99. Il lavoro non era semplice e non era leggero, ma era ben organizzato, come orari, come tempi di lavoro, come istruzioni di come si doveva lavorare. Venivamo istruiti su cose che sembrerebbero banali, ma che invece erano d’importanza fondamentale: come alzare un peso, come spostarsi su un terreno accidentato e c’erano anche ore di lezione di comportamento, cosa si doveva fare e cosa non si doveva fare …

Come raggiungevate i campi?

Si partiva dall’aeroporto di Castel Benito (Ben Gashir), con un DC-3 della compagnia abbastanza scalcinato, talvolta con un DC- 6. C’erano alcuni Fokker, ma venivano usati per i dirigenti.

Noi si partiva con questi aerei, residuati bellici, a pistoni e si atterrava direttamente al campo petrolifero, su una pista fatta di petrolio battuto. La sabbia del deserto col petrolio s’induriva e formava una pista regolare. I piloti erano bravissimi, trasportavano di tutto e atterravano con facilità. La mia prima aragosta la mangiai a migliaia di chilometri dalla costa. I campi erano localizzati tra l’oasi di Kuffra e Marada, nella Cirenaica del sud, al confine con il Sudan e l’Egitto. Di strada ce n’era da fare in aereo”. Intervista a Paolo C.

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La Amoco Corporation, originariamente nota come Standard Oil Company (Indiana), era una compagnia petrolifera statunitense oggi BP.

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Anche nell‘imprenditoria privata c‘erano grosse possibilità di lavoro.

Tripoli era tutta un cantiere edile: ovunque si costruivano palazzi, si sventravano vecchi quartieri di catapecchie; si radevano al suolo i campi famiglia presentandosi di primo mattino colle ruspe e la polizia in assetto antisommossa. Quello enorme della Ḓahra fu raso al suolo ―senza tanti complimenti‖ e gli occupanti beduini trasferiti in alloggi costruiti nelle estreme periferie.

Il bidū, il beduino, volente o nolente, si riciclava in un nuovo lavoro artigiano, si doveva abituare a vivere in ambienti chiusi e a orari di lavoro prestabiliti, a limitare la propria libertà, a sedentarizzarsi con grande fatica.

Talvolta destinava la casa agli animali e preferiva dormire in una tenda nel giardino.

Anche Gheddafi in visita ufficiale a Roma, volle dormire in tenda.

I nativi italiani avevano relazioni sociali di familiarità e rispetto con i libici, mentre i lavoratori stranieri temporanei, gli importati, provenienti da ―paesi evoluti‖, etichettavano i locali come zaurdi 100

.

“ Sì, ci accontentavamo proprio di poco ed il poco per noi era sufficiente. Ci accontentavamo di poco, andare al mare, giocare al tamburello, la passeggiata, quattro soldi in tasca … salvo qualche raro caso …

Sì, qualche stronzetto c’era anche tra di noi, ma eravamo veramente della gente semplice e senza grilli per la testa. Eravamo tutti amici. In classe avevamo un solo ebreo, Isacco M. e c’era anche un libico Muhammad T.

Il mio relatore mi ha chiesto se la nostra collettività era in relazione solo con l’alta borghesia libica …

No, non è assolutamente vero… Io per esempio avevo nella mia impresa 43 dipendenti e c’era il manovale, il muratore, la mezza cazzuola e tutti si stava con i libici come con gli italiani [senza differenze di classe o etnia]. Sarà anche vero che avevamo rapporti con alti ufficiali di polizia e ci trattavamo anche con il governatore di Tarhuna e la moglie, ma anche colle famiglie degli operai”.

Intervista a Letterio A.

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È un termine di incerta derivazione forse un incrocio tra il siciliano e il libico. Indicava persone incolte, primitive, poco evolute ed educate. Dare dello zaurdo ad una persona equivaleva a dargli del cafone, che non sa vivere.

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7.4. Forme di socialità a Tripoli. I rapporti con la cultura e l’economia

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