5 FINE DI UNA COLONIA
8. LA SCUOLA E I LUOGHI D’AGGREGAZIONE E DI RITROVO
8.2. La scuole superiori: Il Liceo Scientifico “Dante Alighieri” e l’Istituto Tecnico “Guglielmo Marconi”.
A Tripoli e tantomeno a Bengasi, non c‘era molta possibilità di scelta per gli italiani e altri europei che volevano avere una preparazione superiore spendibile in Italia.
Verso la fine degli anni Cinquanta rimase l‘Istituto Tecnico, fu eliminata la sezione del Liceo Classico e rimase solo quello Scientifico. Erano dislocati in due costruzioni dirimpettaie, in Shār‟a Mizrān cinte anteriormente da muri e ringhiere. Alle loro spalle c‘era la Scuola dell‘Avviamento Professionale.
Il Liceo era in un palazzo di due piani, relativamente moderno. L‘Istituto Tecnico era stato ricavato, invece, da un vecchio ospedale detto :―Ospedaletto di Onorato‖. Era stato fatto costruire dal Professore Raffaele Onorato, cattedratico di Chirurgia a Genova, che aveva abbandonato la carriera accademica per esercitare nella nuova colonia. Era una costruzione di due piani a pianta quadrata, tipo casa ―all‘araba‖, con un grande cortile interno circondato su tre lati da un loggiato, sul quale si affacciavano le classi.
Al primo piano le cinque sezioni della ragioneria, al secondo i geometri. Nella scelta della scuola secondaria influivano più fattori. Il primo era ―di censo‖. Il liceo era frequentato da coloro che avendo più mezzi sarebbero andati all‘università in Italia, mentre all‘Istituto, così veniva chiamato, s‘iscrivevano coloro che erano allettati da un redditizio impiego nel settore petrolifero o in banca.
―I gruppi giovanili, erano molto coesi, molto chiuse le compagnie, non c’era molta apertura verso gli altri, gli estranei e molto dipendeva dal tipo di studi che si faceva. Io, per esempio, per il fatto d’aver fatto l’Istituto Tecnico mi sentivo spesso emarginata.
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In realtà mi “emarginavano” le ragazze e qualcuno mi ha detto che era perché ero carina e quindi ero un problema rispetto ai corteggiamenti … per tutte quelle dinamiche che accadevano alle feste, però non è che mi abbia procurato non so quale shock “
Intervista a Concetta B.
Io fui iscritto al corso geometri. Era morto mio nonno, importante imprenditore edile. In famiglia, per quanto ci fossero idee diverse sul mio futuro: farmacista, ingegnere, medico, agrario, io scelsi la via che credevo più breve. Continuare al più presto l‘attività del nonno, gestire la sua impresa, costruire palazzi. Ma non fu così.
Prediligevo le materie letterarie a quelle ―matematiche‖, amavo leggere e riuscivo bene in italiano, ero il pupillo della professoressa di Lettere e per alcuni anni ottenni un premio dell‘Istituto di Cultura ―Dante Alighieri‖.
Frequentavo nelle ore extrascolastiche anche gli studenti del Liceo e dopo il diploma con alcuni di loro venni all‘università.
All‘uscita da scuola si fraternizzava, c‘era una cordiale competizione sportiva in molte discipline, dal calcio e basket, all‘atletica leggera e si facevano gare tra studenti di scuole diverse e con quelli della base americana del Wheelus Field. Per i meno dotati fisicamente, ma ―bravi a scuola‖ si facevano rappresentazioni teatrali, competizioni ―culturali‖, come il Venerdì Quiz, inventato da Roberto Longo e Rosetta Martelli, poi futuri coniugi. Per alcuni anni condussero al Circolo Italia una gara tra i due istituti, allietata da intervalli musicali e da sketch comici: ―tutto fatto in casa‖ dalla gioventù tripolina.
I partecipanti al quiz, gli esperti, erano indicati dai compagni e scelti dai professori. I selezionati dovevano studiare, ne andava dell‘onore della scuola. Un‘interrogazione in meno in matematica, ma si doveva sapere tutto su come era chiamato Antonio Allegri, in quale museo si trovava il suo quadro ―La Leda‖… chi fece dipingere a Michelangelo la Cappella Sistina, ma anche chi aveva vinto il Tour de France.
Il premio era simbolico: ai partecipanti un pupazzetto, alla scuola il prestigio. Ebbi il mio momento di gloria: l‘istituto vinse per due volte la gara e la terza volta l‘eliminazione avvenne di misura. Ne fui uno dei protagonisti.
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Con gli insegnanti c‘era familiarità. Molti frequentavano gli stessi ambienti dei genitori per cui ―guai a sgarrare‖. ―Marinare‖ la scuola significava, per non farsi vedere, trascorrere una mattinata a prendere il sole al mare o sugli spalti del Castello o d‘inverno, nei suoi musei.
Gli studenti con capacità musicali formavano complessi alla moda dei Beatles o di tipo melodico ispitrati a Peppino Di Capri. Diventavano dei divi, ammirati dalla ragazze, ma anche dai professori.
“Ricordo con tanto affetto i nostri professori *…+, la professoressa V. di Arabo …
Ho parlato della V. , tanto per citarne una, ma Ben F. di Arabo e poi J., quello d’inglese che e aveva sempre caldo e girava inverno ed estate coi pantaloni corti, sahariana e ciabatte, quelle arabe. Poteva far freddo, ma sempre con i pantaloncini corti …
Ricordo che dai Fratelli Cristiani gli hanno imposto [per decoro della scuola ] di vestirsi coi pantaloni lunghi … e voleva licenziarsi …
Lui soffriva a portare sulla pelle i vestiti e perciò girava sempre semivestito, anche in classe …
Ricordi un’altra professoressa di arabo che girava sempre in bicicletta …, era pugliese …?
Sì, la ricordo io; era la professoressa Ida C
Poi ti ricordi quella di Chimica portava sempre le braccia coperte perché le aveva tatuato sul braccio il numero di Auschwitz *…+ i coniugi C., lei di lettere e lui di matematica? Tutti erano persone perbene e valide.
C. lui, per esempio, era un ufficiale della Nato, uno di quelli, non so come si chiamano.
Della Nato? E com’è che è finito a fare il professore di matematica e fisica alle Superiori?
Lui era laureato in Fisica e specialista in Astrofisica, mi pare. Una vera autorità nel settore. Si era staccato per un paio d’anni per insegnare. ogni anno valeva per due, ai fini pensionistici. Quindi potevano andare in pensione con il massimo di contribuzione [e con un numero minore di anni].
Quel posto era ambito.
Ricordo la foto ricordo della festa d’addio all’Uaddan … Chi andava a lavorare, chi all’università... Avevano veramente amore verso di noi.
Ricordo un episodio bellissimo. Alla festa di Natale della scuola, c’eri tu che facevi parte dell’orchestra e noi non ti trovavamo. Non trovavamo più te, né la F., né nessuno delle altre professoresse.
«Dove sono? Dove sono finiti?» Siamo entrati in un aula e c’eri tu, con non so chi che suonava, che cantavi «Notte di luna calante», la canzone di Peppino di Capri. La professoressa F. aveva le lacrime agli occhi per la
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commozione …
Era una gran donna, validissima, preparatissima …” Intervista a Letterio A.
“Posso dirti però che la professoressa F. è rimasta nel nostro cuore. Eh sì. Sai che quando ancora lavoravo con la British Petroleum , facevo l’ispettore commerciale e giravo per la Sicilia nei distributori di carburante; avevo le zone di Catania, Siracusa e Ragusa.
Un giorno stavo mangiando in un ristorante a Donna Lucata , un posto favoloso, il golfo dove c’è un unico albergo ed un solo ristorante, ma dove si mangia favolosamente bene. Ebbene, io quel giorno, forse perché era pieno il ristorante sono andato a mangiare in albergo. C’era una bella veranda e mi metto lì, da solo perché naturalmente lavoravo e sento parlare alle mie spalle.
È stato come un pugno nello stomaco. Ho riconosciuto la sua voce. Mi sono girato e gli ho detto: Professoressa !
Oh, a lei gli occhi le sono luccicati … : «Gilberto, C., venga! ». C’era questo suo marito, che io sapevo che non era il marito, ma si comportavano come se lo fossero.
Gli ha raccontato che eravamo una classe terribile, ma dal cuore d’oro …: «Questi alunni sono quelli che ricordo con maggiore affetto, perché erano una classe terribile dal punto di vista della disciplina, ma di una bontà d’animo incredibile …» Credimi, una mamma!
Volevamo organizzare qualcosa di grande per lei, volevamo incontrarci con lei come abbiamo fatto con M. [il professore di ginnastica e allenatore delle squadre di basket ]. Tu non sei venuto ?
Non ne sapevo niente …
Volevamo farlo anche per la professoressa F., ma poi abbiamo saputo che non era più con noi …
Per questo io non amo questi “amarcord”, per me sono sempre tristi . Molti continuano a riunirsi, a trovarsi nei raduni, ma per me sono di una tristezza terribile vedere il tempo su quelle facce, sono uno specchio nel quale vedi te stesso, per non parlare di quelli che sono morti, che se ne sono andati e non ci sono più … che siamo sempre di meno … No, no ai raduni non vado più …
Intervista a Gilberto C.