5 FINE DI UNA COLONIA
7. LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETA’ LIBICA NEGLI ANNI SESSANTA
7.7. Il benessere e i nuovi rapporti con la madrepatria
Alle preesistenti collettività straniere di Tripoli, italiana, maltese, greca ora si aggiungeva un numero sempre crescente di inglesi, americani e di tecnici di altre nazionalità: dagli slavi ai cinesi, dai palestinesi ai francesi, belgi, olandesi e danesi.
Gli anni sessanta furono un periodo di benessere e se ne assaporava il gusto, cambiavano i costumi, le abitudini ed i comportamenti.
“Noi ci si lamentava della vita che facevamo in Libia, ma pensandoci bene facevamo quello che volevamo, si stava bene economicamente, gli amici erano sempre a portata di mano, non ci mancavano né gli amici né le conoscenze. Forse ci mancava un po’ di libertà, ma non più di tanto. Almeno personalmente non sentivo tanto una mancanza di libertà. Forse le novità che venivano dall’Italia arrivavano in ritardo e la politica non ci interessava, né quella locale e tantomeno quella italiana.
Quando siamo tornati nel settanta in Italia, ci siamo trovati male, era un mondo che non era il nostro *l’impatto con la politica italiana è stato traumatico perché erano gli anni di piombo], il nostro era un mondo sereno e tranquillo. Abituati a condurre una certa vita a Tripoli, qua in Italia, almeno io, mi sono trovato spaesato.
Tu sai meglio di me quello che ci siamo trovati davanti in Italia.
Sì, ma io vorrei sapere a Tripoli …?
Beh! I cinema non ci mancavano, arrivavano quasi subito dopo l’uscita in Italia, si facevano feste, si andava a ballare presso le case degli amici, ogni motivo ci permetteva di riunirci [tra noi] e stare insieme tutti quanti E poi c’era quel mare, facevamo i bagni anche a Settembre inoltrato, fino al Ghibli dei datteri “ 108.
Intervista a Renato A.
“Ti ricordi della caccia al tesoro? All’Underwater io e Tinina C. fummo nominate Life Guard, ci misero due magliette bianche con la scritta e dovevamo stare attente ai bambini, ovviamente non pagate.
A me piaceva il mare, mi piaceva nuotare, i tuffi. Mi mettevo sul trampolino da tre metri e mezzo, quello più alto e mi piaceva molleggiare, anche se la piscina era vuota e d’inverno … giocavamo male a tennis, ci volevano insegnare, ma era un disastro … avevamo amici di tutte le razze,
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Il “ghibli dei datteri” era un caldo torrido, un vento proveniente da sud-est (scirocco), che generalmente arrivava a fine estate. L’aria era irrespirabile, tutto si sporcava di sabbia del deserto e l’unico refrigerio era restare chiusi in casa o mettersi “all’ammollo” in mare.
Era l’ultimo scampolo d’estate che terminava con piogge torrenziali e l’arrivo degli uadi, corsi d’acqua impetuosi che sporcavano di detriti e sabbia l’acqua limpida del mare.
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ebrei, pochi arabi, certamente erano quelli più abbienti .. c’erano i campi da tennis, il mare con le piazzole sugli scogli per prendere il sole. Non si stava certo male ed era un ambiente protetto”.
Intervista a Concetta B.
Se prima ci si rinchiudeva in cerchie impenetrabili ora si cercava l‘esotico, la novità che proveniva dall‘Occidente e si era stimolati a organizzare eventi mondani. Prendendo l‘ispirazione dai successi delle corse automobilistiche e rallistiche europee, fu organizzato il rally Tripoli-Tobruk-Tripoli che divenne anche occasione di mondanità con una sfilata di moda sullo scenario notturno del Lungomare Adrian Pelt, illuminato a giorno.
“… il Golf era dall’altra parte, vicino al Bowling … , mentre all’Underwater abbiamo trascorso una parte di vita molto bella, molto serena, si organizzavano feste, spettacoli, io e qualche altra amica abbiamo partecipato ad una sfilata di moda, dove ognuna si doveva comprare il vestito peraltro. C’era questa signora, Najya Narif che era una bellissima signora marocchina, alta bella, che vendeva abiti alla moda e dove ovviamente ero cliente, mi vendette un abito da sera che era un kaftano destinato alla casa reale marocchina. Io sfilai con quello e vinsi un viaggio Tripoli – Cairo, ma scoppiò la Guerra dei Sei Giorni tra Egitto ed Israele e non se ne fece niente. Non so te la ricordi questa gran sfilata con le ragazze in abito da sera, che scendevano da lussuose macchine … nel Lungomare illuminato a giorno fino a Piazza della Gazzella”.
Intervista a Concetta B.
Ora che il denaro circolava copioso, si stava quasi tutti bene, c‘era abbondanza, raffinatezza, divertimenti, anche lusso.
Ma bisognava sicuramente lavorare e si lavorava tutti, bastava avere iniziativa, capacità, senso pratico e si potevano godere i benefici del petrolio.
Ormai l‘età del latifondo si era esaurita, chi possedeva capitali non poteva più investirli in beni immobili di qualunque tipo, perché dal 1960, per legge, non era possibile acquistarne, a meno che non si facessero società con prestanome libici. Il denaro degli italiani quindi era impiegato in attività imprenditoriali: investivano sul loro lavoro. La ricchezza era la capacità, la competenza, l‘intuizione, la voglia di lavorare.
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“ *…+ si doveva lavorare sodo per mandare avanti la famiglia. Non avevamo certo il pozzo di petrolio dietro l’angolo. Ora sembra che a Tripoli bucassimo in giardino e scaturisse petrolio, che fossimo tutti straricchi, pieni di soldi con enormi proprietà. E invece eravamo veramente grandi lavoratori che sudavano per andare avanti …, però lavoravamo tutti” .
Intervista a Letterio A.
All‘Uaddan arrivavano cantanti e spettacoli da mezzo mondo: dal Lido di Parigi coloratissimi spettacoli musicali nel ―Giardino d‘inverno‖, un‘enorme ed elegante sala tutta a vetri, sullo splendido mare dove si specchiavano anche d‘inverno le stelle e le luci del Lungomare. Ray Charles cantava «Giorgia» e «I can‘t stop loving you». Ai bordi della splendida piscina, smoking e abiti da sera si muovevano al ritmo sfrenato di «Nessuno mi può giudicare» di Caterina Caselli o ai lenti ―guancia a guancia‖ delle melodie romantiche napoletane di Peppino di Capri, «Voce e notte», e appassionate canzoni di Ornella Vanoni e Gino Paoli. E tanto e tanti altri ancora: cantanti, grandi orchestre. Il Giovedì sera ai vincitori del ―Bingo‖ venivano distribuiti viaggi aerei in mezzo mondo, anche perché l‘imprenditore proprietario dell‘Uaddan, Mohammed Nga, era il maggior azionista della neonata compagnia aerea, Lybian Arab Airlines. In pool con l‘Alitalia, collegava Tripoli e Bengasi con Roma, ma anche il Cairo e Malta. Una cena all‘Uaddan costava 17-18 sterline libiche, pari a 35.000 lire, che all‘epoca, era circa un terzo dello stipendio mensile di un insegnante di scuola media in Italia. Ed era un‘impresa prenotare un tavolo e talvolta bisognava ricorrere alla raccomandazione di un conoscente. Al Casinò scorrevano fiumi di sterline libiche ai tavoli della roulette e del blackjack.
Scrive Alma Abate: « … il nostro bozzolo ce l‘eravamo tessuto a nostra misura, protetto a dovere e ci stavamo dentro non male, volendo. Le nostre belle villette basse e intonacate di bianco, i nostri giardini fioriti, le nostre scuole, i nostri cinema, il nostro Circolo Italia affacciato sul lungomare più bello al mondo, il nostro Corso Vittorio Emanuele per lo struscio serale, che non l‘avremmo chiamato col suo nuovo nome, Giaddat Istiqlāl, neppure sotto prolungata tortura» (Abate 2011, p.15).
La gioventù di Tripoli godeva di grande benessere, d‘opportunità, di svaghi che per la maggior parte dei coetanei in Italia erano preclusi.
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“Arrivata all’età della scuola, quando stai meno con la mamma, ci sono le prime compagnie *…+ cominci a fare le scemenze *giovanili+….
Avevamo una compagnia detta “settemmezzo” perche i nostri ragazzi erano in sette, più Nino M. che essendo piccolino dicevamo che valeva mezzo …
C’era Umberto P. che già guidava e aveva una Cadillac e allora noi facevamo le scorte: due lambrette davanti, due dietro e la Cadillac in mezzo.
Bum, bum, bum e ci sentivamo i padroni di Tripoli.
Ci sentivamo culturalmente più evoluti vuoi per censo, per il nostro ceto sociale, vuoi per la nostra italianità in un paese che comunque, da parte italiana, non era più povero, perché anche se la ricchezza del petrolio gli era arrivata per via indiretta, il benessere c’era.
In sostanza ci sentivamo padroni di Tripoli, autorizzati a fare tutto quello che volevamo, salvo il sesso, perché ci terrorizzava la famosa polizia, che se ti scopriva in parte a scambiarti effusioni ... erano guai.
Tra di noi nella nostra compagnia, c’era anche il figlio dell’ambasciatore italiano e con la macchina di servizio entravamo anche alla base americana del Wheelus Field .
I dischi e la musica americana precedeva la sua diffusione in Italia; noi giocavamo già a bowling , quando in Italia non sapevano neanche che cos’era …
Ti ricordi la radio della base con le canzoni con le dediche? Ci copiarono poi anche in Italia …
Certo, però devo dire che alle dette festine di cui parlavamo prima, c’era qualche maleducato della Tripoli bene, che magari si portava dietro la bottiglietta col whisky nella giacca e faceva lo spiritoso. Non è che tutti fossero per bene … anche se erano della Tripoli bene.
Per dirti io, per carattere, non è che mi divertissi molto, soprattutto se c’erano queste mascalzonate … “
Intervista a Patrizia G.
Soprattutto c‘era la sicurezza che terminati gli studi non si doveva fare fatica per inserirsi nel mondo del lavoro per trovare un impiego o continuare un‘attività ben avviata dai genitori.
I giovani di un certo ambiente avevano la possibilità di studiare all‘estero, anche al di fuori dei percorsi universitari. Londra era la meta più ambita perché offriva la possibilità di perfezionare l‘inglese che stava sostituendo l‘italiano come seconda lingua. Venivano selezionati i migliori collegi.
―Io dovetti dare una mano a mio padre [nel suo lavoro], mi diplomai in ragioneria, lo seguivo nelle varie fiere, di Milano ecc.
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Lavoravo con lui.
Per questo della mia richiesta d’iscrizione all’università non si poteva parlare, ma mi concesse un anno d’istruzione a Londra … per l’inglese … in un collegio dove avevano studiato Soraya, una principessa di Svezia, una ragazza nobile siriana, libanese … Era un collegio che raccoglieva la creme di tutto il mondo delle ragazza bene …
Mia sorella Aurora aveva tutti amici scapestrati, anche se figli di consoli, ambasciatori e di persone altolocate …
Quando poi fu bocciata i miei la mandarono a Roma in un collegio dove una retta costava quanto una camera d’appartamento“.
Intervista a Concetta B.
Il prestigioso Istituto Filippin dei Fratelli delle Scuole Cristiane di Paderno del Grappa in Italia, dove avevano studiato principi e figli di grossi industriali italiani, dava la possibilità di ―recuperare‖ i caratteri ribelli e svogliati della Tripoli bene, non solo italiani, ma anche ebrei e libici.
“Io *…+, avevo nel DNA il caratteraccio dei F., di mio padre e di mio nonno. Fummo mandati in collegio al Filippin perchè a Tripoli, sempre dai Fratelli, avevo allagato la scuola. Gigi ed io giocavamo con l’acqua nei gabinetti della scuola. Poi il tombino di scarico si ostruì, non riuscivamo più a fermare l’acqua e dal piano superiore dell’istituto ci fu un’alluvione.
L’acqua arrivò fino in chiesa e così mi hanno espulso dalla scuola”. Intervista a Luciano F.
Sebbene ci fossero ancora sacche di povertà tra i libici, la maggior parte aveva trovato lavoro o come operai nel settore petrolifero oppure nelle attività collaterali.
Molti, pur abitando nei campi-famiglia disponevano di abbastanza denaro da potersi procurare quegli status symbol della modernità.
Davanti alla zarība qualcuno aveva la macchina, sul tetto di lamiera o eternit c‘era l‘antenna per la televisione e i più giovani circolavano per la città in auto colla radio a tutto volume o col transistor poggiato sulla spalla vicino all‘orecchio per meglio ascoltare musica o i discorsi di Nasser.
Lo Stato Sociale aveva raggiunto buoni livelli. La scuola pubblica era gratuita, tutti potevano e dovevano frequentarla e la Sanità godeva d‘ingenti fondi per migliorare strutture e attrezzature. Numerosi medici stranieri ―importati‖
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arricchivano gli organici degli ospedali e finito l‘orario ospedaliero, si arricchivano loro con la libera professione. Veniva curata da consulenti esterni l‘organizzazione sanitaria.
I giovani laureati libici venivano subito investiti di ruoli dirigenziali, inviati all‘estero per acquisire competenze e specializzazioni.
“Poi il petrolio ha fatto sentire la sua influenza ed è diventato un bel reparto. Tutto ciò che ci poteva servire dal punto di vista diagnostico ce lo compravano, da 5 che aravamo siamo diventati 22 *…+. L’organizzazione era di tipo dipartimentale, cioè molto avanzata. I dipartimenti in Italia sono arrivati nel 2000 e là c’erano già alla fine degli anni cinquanta ai primi del sessanta.
E questo perché? Come mai la Libia aveva questo tipo d’organizzazione più evoluta di quella italiana?.
Il dipartimento fu organizzato da un americano. L’organizzazione ospedaliera era stata affidata per la pianificazione a un medico americano, imprestato dalla base americana, dopo che il mio primo primario, dottor Enrico M. se n’era tornato in Italia.
Il reparto, che con 160 letti era enorme e sempre pieno di malati, si articolava in un dipartimento formato da quattro, chiamiamole unità. Era su due piani, con quattro grandi corsie. Al piano di sotto c’erano le donne e a quello di sopra gli uomini. Ognuno dei più anziani coordinava e aveva le responsabilità a turno di una delle quattro unità, delle corsie. A turno io ero il referente di una di queste sezioni. In questo reparto ognuno aveva la possibilità d’imparare di tutto, di fare una grandissima esperienza. Per dire, io credo d’aver fatto almeno seimila punture lombari, cosa che nessun neurologo in Italia faccia o abbia fatto”.
Intervista a Carlo M.
I proletari dei campi-famiglia, quando chiamavano il medico per una visita domiciliare volevano a tutti i costi pagare la visita perché volevano dimostrare che anche loro partecipavano all‘ascesa sociale.
Sceglievano i medici e rimaneva una certa predilezione e maggiore fiducia per gli italiani.
“Col petrolio c’era benessere. E la loro gratitudine fu commovente. Continuai ad essere chiamato per le visite agli ammalati, ma ora chi lavorava voleva pagare.
Ora sarebbe stata un’offesa alla loro dignità e anzi, memori del tempo in cui erano veramente poveri, mi mostravano le mani piene di soldi e
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dicevano: «Dottore prendi quello che vuoi, perché quando non potevo pagare la visita, tu non mi hai mai chiesto niente…».
Intervista a Carlo M.
Giovani medici libici, mandati a studiare all‘estero intraprendevano programmi di sanità privata molto ambiziosi, aprendo cliniche con tecnologie avanzate e personale d‘alto livello.
Vicino alla autostrada costiera, costruita dagli americani per collegare la base del Wheelus Field a Tripoli, sorse una splendida e modernissima clinica del dottor E., che aveva studiato in Inghilterra. Era un palazzo modernissimo, costruito da un impresa italiana.
“Io poi ho visto E. e mi ha detto che lui sognava un ospedale modernissimo costruito da un’impresa italiana, le attrezzature rigorosamente tedesche occidentali [a quell’epoca la Germania era divisa] e il personale esclusivamente inglese …”
Intervista a Luciano F.
Prima che l‘opera fosse completata arrivò uno staff qualificato di personale sanitario inglese che non riuscì ad entrare in servizio a causa della rivoluzione di Gheddafi.
“Al Palace Hotel abbiamo alloggiato per un mese, poi hanno preso due appartamenti in un grande residence.
Ha aperto poi la Clinica di E.? Chi c’era?
Sì, ha aperto, ma l’hanno requisita, c’erano jugoslavi e non so chi altri, e poi subito ha chiuso”.
Intervista a Carole Y.
In tutti i settori delle opere pubbliche venivano varati progetti di ampio respiro in una visione megalomane, all‘inseguimento degli altri paesi arabi petroliferi, per una ricerca ostentata ed ostinata d‘affermazione universale.
“… a loro basta che costruivano hosptal kabīr, mushtasfa, grandi ospedali e poi quello che facevano … , ma grandi ospedali, grandezze, autostrade, delle opere faraoniche …
Tu lo sai che quando è andato Berlusconi a Tripoli, Gheddafi davanti alla tenda gli ha fatto un cenno colla mano e gli ha detto : «Bresidenti, fai strada …» Il Berlusca pensava che gli desse la precedenza nell’ingresso alla tenda e l’ha
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ringraziato …
«No, no tu non gabito! Io detto te fai strada, autostrada, 3000 chilometri; mi raccomando otto corsie e biazole di sosta e anche autogrill con moschea …»[risata].
Berlusca gli ha detto: « Mi consenta … presidente Gheddafi… *per i danni del colonialismo] le posso fare cinque chilometri!»
E quello: «Scerto, cinque ghilometri ber volta …, no tutta insieme!».
Anche dopo il suo avvento, anche con Gheddafi per anni permaneva quest’idea delle opere faraoniche “.
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