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Confini sociali nella post-colonia:“lo scambio delle donne”

5 FINE DI UNA COLONIA

7. LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETA’ LIBICA NEGLI ANNI SESSANTA

7.5. Confini sociali nella post-colonia:“lo scambio delle donne”

Il concetto di comunità è tradizionalmente correlato ad un luogo di convivenza definito entro confini spaziali, dove si istaurano legami di fratellanza, scambio, esperienze di vita comune e rapporti d‘ogni tipo.

Friedrick Barth introduce un nuovo approccio. Un‘etnia si definisce in base alle dinamiche pratiche e simboliche che i gruppi umani stabiliscono per la loro separazione identitaria.

Ciascun gruppo pone tra sé e gli altri dei confini: gli stili di vita, il tipo

d‘abitazione, d‘abbigliamento, la morale, il giudizio che dà degli atti compiuti. In altri termini crea delle barriere strategiche attraverso le pratiche sociali (Barth 1969; Fabietti 2010, pp.342-343).

Il principale ostacolo, la barriera che separava la popolazione giovanile tripolina era quello di genere.

La vita sociale dei giovani era regolata dalla tradizione, molto rigida tra gli arabi, ma anche tra gli europei. Fin dalla scuola primaria erano distinte le sezioni in maschili e femminili; solo nelle superiori esistevano classi miste.

Nel tempo libero gli incontri e le frequentazioni tra maschi e femmine si limitavano esclusivamente agli europei, ebrei compresi.

Si potevano praticare sport frequentare insieme ritrovi, ma le diverse religioni limitavano gli scambi sentimentali ed escludevano quelli matrimoniali.

Tra i ragazzi italiani la vita ―mondana‖ avveniva in festicciole organizzate in case private, per lo più nel pomeriggio del sabato, giornata di festa, ponte nel lungo week end, tra il Venerdì, festa mussulmana, la Domenica festa cristiana, il Sabato festa ebraica.

Il problema principale di relazione tra i gruppi era che i mussulmani, volevano o meglio dovevano partecipare senza le loro donne.

“Frequentavo le festicciole dei ragazzi italiani, dove c’erano si anche sia alcuni ragazzi arabi, che di religione ebraica. Oddio! Magari ci scocciava se qualche ragazza italiana si metteva con qualche arabo o forse di più il

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fatto che i ragazzi arabi, non avendo la possibilità di portarsi le loro donne, non potendo noi avvicinare le loro donne osassero di più con le nostre.

Questo in qualche maniera ci ha potuto dare fastidio, era una questione di gelosia etnica, diciamo così, ma mai uno scontro.

I locali che si frequentavano erano il Bowlarena, dove si giocava a Bowling, che aveva sotto la discoteca.

Si passavano i pomeriggi lì oppure si facevano le cosiddette feste organizzate in casa, in cui si metteva un pochino a testa, non so 10 piastre, o c’erano anche dei club dove si ballava, parlo di club privati casalinghi, di compagnie di ragazzi. C’erano in città garage, cantine, che si arredavano con mobili di fortuna, con poster che magari qualcheduno aveva portato da Londra, copertine di dischi a 33 giri con la foto di cantanti ecc. C’è da dire che c’era dei gruppi di quartiere, di ragazzi dello stesso quartiere e faceva delle difficoltà a far entrare gente che non fosse nella cerchia del quartiere.

Vorresti dire che c’era una vita di quartiere ?

Sì, i quartieri erano la Ḓhara, città Giardino, la zona di Corso Sicilia, della Madonna della Guardia, del Lido, dei Fratelli Cristiani, del Palazzo Reale, del Corso Vittorio, di Shāar’a Makīna103 ecc”.

Intervista a Paolo C.

Le donne libiche erano inavvicinabili, non frequentavano ambienti promiscui, vestivano secondo la tradizione, lasciando scoperto un solo occhio dal barracano e questo costituiva un limite alla frequentazione tra le collettività.

Ciò indipendentemente dal livello sociale nel quale fossero collocate.

“Sì, si può dire che eravamo abbastanza integrati tra di noi, uscivamo insieme, ebrei, greci, maltesi, qualche raro libico, per il problema delle donne loro.

Sì, ma se tu avessi detto a tuo padre che volevi sposare un ebreo cosa ti avrebbe detto?

M’avrebbe ammazzato!” Intervista a Ignazia A.

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Questo è un classico esempio di gergo tripolino, cioè un caso d’arabizzazione di una parola italiana. Negli anni venti, a Tripoli si intensificò la circolazione di automobili e vari veicoli a motore. I locali guardavano e in campagna con paura con curiosità queste novità. La città ed il suo commercio era fino ad allora confinato all’interno della città vecchia, ma le sue strette vie non permettevano l’arrivo di grandi quantità di merci., fino ad allora portate a dorso d’asino o mulo o con piccoli carretti. Nella nuova Tripoli viene costruita una strada, larga per quei tempi e soprattutto asfaltata. Collega Piazza Cattedrale a Shār’a Mizrān. Gli arabi la battezzano Shār’a Machīna e tale rimarrà per sempre.

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“C’era quindi questa apartheid tra confessioni religiose, voluta non tanto da noi, ma dagli ebrei … , ma comunque se avessi detto a mio padre che ero fidanzata con un arabo o un ebreo … a un padre che la parola flirt non si poteva pronunciare … Fidanzata? Apriti cielo … non l’avrebbe gradito molto … “

Intervista a Concetta B

“Andavamo alle feste private in casa, ognuno si portava la ragazza sua. Anche l’arabo voleva venire, ma non si portava la ragazza e voleva le ragazze degli altri.

Questo fatto che le sue donne non venivano era un fatto assai antipatico e così anche al Circolo Italia, dove sì, certo, potevano entrare anche gli arabi, non si poteva negare loro d’entrare, perché pur essendo un circolo degli italiani, la festa era pubblica.

Hanno fatto un piccolo escamotage e cioè che potevano entrare solo le coppie. Non si poteva impedire ai libici di venire alle feste, ma si dovevano portare le donne. Loro le donne non le portavano per la loro forma di religione e quindi loro con chi ballavano?

A quei tempi si usava così.

Anche mio padre quando andava fuori con libici, non portava mia madre, perché loro le mogli non le portavano fuori … andavano a mangiare insieme, al cinema a divertirsi solo gli uomini e le donne loro e quindi anche le nostre stavano per i fatti loro … a casa.

Non c’era discriminazione verso di loro, ma se tu non ti porti la tua ragazza, vieni a stare con la mia?

E che noi vogliamo farli diventare democratici come noi, ma ce ne vogliono di morti …!

Un giorno mi sono confessato con un sacerdote nigeriano.

Gli ho detto che io non odio gli uomini di colore, delle altre razze, ma il mio DNA non è ancora cambiato e ce ne vuole perché possa cambiare per accettarli …

Per me è istintivo, che ti viene quando vedi uno … diverso, non è colpa

nostra .

Io vado tutti i giorni in chiesa e faccio la comunione, ma queste cose te le trovi nel sangue.

È inutile che diciamo bugie, che non sentiamo la differenza del colore e della religione , che siamo tutti uguali e diamo subito la cittadinanza a tutti gli emigrati *…+. Se non cambiamo noi qui dentro, ma anche loro devono cambiare *…+. Noi pensiamo che siamo democratici, ma la nostra mentalità è ancora arretrata … non si può da un giorno all’altro cambiare mentalità: è difficile!”.

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Il radicamento culturale appariva talmente impenetrabile da essere scambiato come un fatto genetico, ―te lo trovi nel sangue‖, un fatto naturale di separazione che avrebbe richiesto un cambiamento culturale radicale, totale e universale.

“ *gli arabi+ ...soprattutto c’era il fatto che venivano senza donne Come ti presenti ad una festa, da uomo solo e basta e senza donna? E con chi balli?

Loro sapevano di questo fatto, per cui non insistevano … Sapevano che non avevano le donne, perché le loro donne stavano a casa, le tenevano chiuse dentro e non te le facevano avvicinare.

E poi le nostre donne si vestivano così, le loro donne avevano sotto i pantaloni e la gonna sopra. La ragazze giovani non mettevano il barracano, ma … senza un centimetro scoperto. Quindi le nostre donne non è che giravano nude ma vestite così … e le loro erano combinate in quella maniera. Guarda però che anche le ebree, che erano come noi … anche se con un’ebrea non ti sposavi mica … matrimoni misti né con arabe né con ebree”.

Intervista a Carlo G.

“Qualcuno *dei libici+ era nelle nostre compagnie, ma c’era ‘sto fatto che le donne loro non venivano.

Figurati se veniva in compagnia un ragazzo arabo e voleva ballare con una ragazza italiana …

L’italiano diceva: «Scusami sai, portati la donna tua e non venire a fregare la mia ….» Ti pare?

Intervista a Sofia G.

La differenza culturale si manifestava soprattutto quando si doveva affrontare un problema di genere. I matrimoni avvenivano solo all‘interno dei gruppi di appartenenza. Ognuno nel suo gruppo e, tra gli italiani c‘erano preferenze anche tra sottogruppi regionali e di ceto sociale.

Come sostiene Levi-Strauss ne «Les structures élémentaires de la parenté» (Levi- Strauss, 2003), senza lo ―scambio delle donne‖ non ci può essere integrazione, ma divisione, non alleanza, ma contrasto.

E ciò in ambiente multiculturale l‘ho osservato ―sul campo‖.

Il modus vivendi degli occidentali incuriosiva e provocava i libici, ma la concezione sulla donna della tradizione islamica li inibiva, li irritava e «li stuzzicava» e, come dice un interlocutore, erano oggetto di particolare attenzione le ragazze ebree, perché associavano alla condizione «d‘ essere donna»,

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l‘antagonismo verso gli ebrei.

“Non tutti i ragazzi libici si sono comportati con correttezza verso le ragazze italiane e specialmente verso le ragazze ebree.

C’era la caccia alla ragazza ebrea , prima di tutto perché era ebrea e poi perché le ragazze vestite all’europea li stuzzicavano sessualmente e ancor di più se potevano fare una cosa scorretta contro gli ebrei *…+.

Questa storia di stuzzicare le ragazze da parte dei ragazzi libici era dovuto al fatto che erano repressi con le loro donne, per dirti il fatto che avessimo delle fidanzate che tenevi per mano, non dico baciavi in pubblico, per loro era quasi uno sfregio, ma anche un motivo d’invidia “. Intervista a Paolo C.

Una forma di puritanesimo, indotto da una reazione ai costumi occidentali, avverso alle manifestazioni di familiarità tra persone di sesso diverso istaurava un rigido controllo dei luoghi pubblici dove, invece, il nuovo benessere proiettava la vita sociale verso una modernità, che rifiutava i divieti e superava la tradizione. Negli stabilimenti balneari, aperti al pubblico, circolavano maldestri agenti di polizia urbana che fermavano e portavano al merkez, la stazione di polizia, senza alcun plausibile motivo, coppie che si scambiavano effusioni e, paradossalmente e venivano fermate anche quelle regolarmente sposate e con comportamenti composti.

“Una volta è venuto uno, mentre io e mia moglie, prendevamo il sole [ai Bagni Sulfurei] e ci ha detto che facevamo atti osceni e ci voleva

arrestare.

È logico che se le loro donne vanno tutte coperte e la tua è in costume da bagno, gli viene voglia di guardare e di darti fastidio. Ma noi non facevamo niente di male, proprio niente …. Erano fatti così.

Ma anche adesso questi che sono qua e senza donne, se si devono sfogare e devono andare con una prostituta e questa come minimo vuole 50 euro e a lui chi glieli dà i 50 euro?

E così la prima che ci capita sotto con la minigonna se la prendono con lei [… ] Poi c’è chi sta zitta e chi reclama e aumenta l’odio verso questi qua e così anche allora, se tu avevi una donna, neanche svestita più di tanto, solo una donna vestita normale, loro si sentivano autorizzati … a

molestare”.

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Le coppie dovevano quindi evitare anche le più innocenti affettuosità per non essere arrestate per ―atti osceni‖.

Scrive Alma Abate: « Il peggio che potesse capitare, a gente smaliziata come noi, era di passare una notte in guardina se si veniva sorpresi a limonare infrattati dentro una macchina, se nella penombra del cinema Lux finiva per scapparci un‘effusione di troppo, se un marito uscendo dal Grand Hotel del Uaddan, con Casinò incluso, cingeva con eccessivo entusiasmo la vita o le spalle della propria consorte[…] chiaro indizio di abuso di sostanze alcoliche, più che di oltraggio al pudore, trattandosi di consorte legittima» (Abate 2011, p.13).

Appartarsi in luoghi isolati «infrattati nelle macchine» era non solo sconsigliabile per la ―notte in guardina‖, ma da metà degli anni sessanta c‘era anche il rischio di aggressioni.

“Sì, l’unica cosa da fare era tenere la macchina in moto ed il vetro chiuso, se no ti infilavano la mano dentro e ti strappavano la chiave. Però questo verso la fine degli anni sessanta. Prima non c’erano stati problemi. Parliamo degli anni dopo il ’65, prima non c’erano stati problemi”.

Intervista ad Alberto P.

Per poter godere di attimi d‘intimità col partner ci si trovava in feste o nei club privati, molto esclusivi, per poter ―vivere all‘europea‖, come si diceva. All‘esterno, in un luogo pubblico appartarsi in coppia a scambiarsi effusioni era decisamente sconsigliabile.

“… le feste, ma che si facevano in casa degli amici ed era l’unico momento buono che si poteva andare a limonare con la tua ragazza perché fuori non era possibile“.

Intervista a Silvio V.

“Per noi ragazze, la vita a Tripoli era un po’ difficile, perché non potevamo uscire da sole, non solo perché, a quei tempi avevamo una educazione molto rigida, ma perché gli arabi ci molestavano e ciò non permetteva alle ragazze di circolare liberamente … le infastidivano, le molestavano e quindi ad una certa ora dovevamo tornare a casa. Il venerdì, non so se telo ricordi c’era il coprifuoco per noi, c’erano solo loro uomini arabi in giro.

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c’erano e loro davano fastidio a noi.

Noi non potevamo andare in bicicletta, perché in bicicletta mi allontanavo e appena mi vedevano da sola diventavo preda di questi molestatori. Così anche le mie amiche, Liliana e le altre amiche non andavano in bicicletta se no finiva male … Figurati se i miei genitori, quelli di Liliana o di altre ragazze ti compravano la bicicletta. L’abbiamo chiesta tante volte, ma non ce la compravano.

Se uscivamo anche in gruppo di sole ragazze, lo sai cosa facevano, cominciavano a circondare e cercavano di …”.

Intervista a Ignazia A.

Le ragazze europee giravano per lo più accompagnate, soprattutto nelle ore serali. Il partner doveva stare ad opportuna distanza. Andare a ―braccetto‖ era chiaro indice di un regolare matrimonio.

L‘abbigliamento non doveva essere provocante. Erano gli anni Sessanta, era l‘epoca delle minigonne, dei pantaloni aderenti, dei primi bikini in spiaggia. Ma non in luoghi pubblici in un paese governato dalla morale e dall‘etica religiosa della Senussia, solo nei club privati molto esclusivi: in pubblico il costume intero. E le ragazze libiche? Chiuse nelle loro case o coperte dal barracano precedute a breve distanza da un familiare maschio.

“Una ragazza non poteva assolutamente andare in giro da sola.

Se non venivate voi a prenderci e portarci a casa la sera non si poteva proprio uscire. Figuriamoci di notte. Non sarebbe stato possibile.

Altra cosa è che non si potevano mettere le minigonne, né i pantaloni e solo nei club si poteva stare col bikini, perché al Lido e nelle spiagge normali, almeno negli ultimi dieci anni, si doveva stare col costume intero. Queste frizioni in effetti c’erano.

Se venivano amici dall’Italia, a questi pareva un comportamento anomalo non poter camminare mano nella mano o fare qualche innocente effusione. C’erano delle sanzioni se succedeva.

Ricordo che mio padre una volta dovette intervenire per difendere Giovanna che stava parlando per strada con un ragazzo, non so se fosse Marcello o meno. Il ragazzo stava in macchina e lei invece era fuori e chiacchieravano.

Mio padre dovette intervenire , perché arrivò uno in borghese che disse che era un poliziotto e che non era modo di comportarsi e voleva arrestarli”.

Intervista a Milena J.

“Appartarsi! Anche al cinema da sole non si poteva andare. Se andavi al cinema da sola … Bisognava andare in compagnia e non solo donne. E i

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bar, quando mai hai visto una ragazza in un bar. Per carità! Si doveva uscire in gruppi e sempre accompagnate, mai da sole o andare nei club, fare vita di club, Beach, Underwater, Circolo Italia, Uaddan “ .

Intervista a Ignazia A.

Un giorno, qualcuno ebbe la malaugurata idea di pubblicare sul Giornale di Tripoli, foglio in lingua italiana, un articolo in cui denunciava che si erano verificate molestie a ragazze italiane da parte di non meglio identificati ―pappagalli della strada‖.

Il giornalista si riferiva evidentemente ai libici, per la situazione che ho descritto , ma il giorno successivo fecero una retata, portando in guardina ―la meglio gioventù‖ europea tripolina e qualche libico ―italianizzato‖ che chiacchieravano davanti ai locali frequentati dagli italiani.

“ … Ti ricordi Mario, che una volta hanno arrestato e portato in polizia un folto gruppo di studenti italiani, della Tripoli bene … che stavano a chiacchierare là davanti [al tuo locale]?

Sul Corriere di Tripoli qualcuno aveva scritto che le donne venivano molestate dai “pappagalli della strada“. Il riferimento erano gli arabi, ma la polizia arrestò per ripicca i ragazzi italiani.

Quel giorno io l’ho scansata perché davanti alla Latteria non c’ero.

Come vuoi che non mi ricordi? Li tirai fuori io! Ero molto amico del Governatore Muntasser e questo non sopportava di vedere gruppetti di persone, non lo sopportava proprio … specialmente quando erano italiani.

Senti, non voglio peccare di vanità e presunzione. Sai che parlo benissimo l’arabo, proprio come un arabo ed ero amico non solo suo, ma di tutte le Autorità libiche. Venivano nel mio locale a fare colazione, si scherzava e anche il Governatore Muntasser era diventato amico di famiglia. Tu mi conosci, io scherzo con tutti, mai scherzi pesanti per carità, sono un amicone di tutti , un barzellettiere …. Ero amico di tutti, quando ho potuto ho favorito chi aveva bisogno, ragazzo giovane e uomo di compagnia. Mi conoscevano tutti italiani e arabi.

Intrattenitore? Sono cose che mi sono trovato nel tempo, ma erano dentro di me da sempre. E per questo mi volevano tutti bene : tanti amici italiani , arabi, ebrei di tutte le razze, di tutti i colori che si conoscono”. Intervista a Mario R.

Anche oggi nelle nostre città, nelle quali si è riversata un‘immigrazione epocale eterogenea per cultura, religioni e differenti concezioni della donna, i problemi di convivenza tra modernità di costumi e tradizione, divengono d‘attualità.

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Appaiono tutte le contraddizioni, ambiguità e conflitti non risolti che si ripropongono.

“ C’è una cosa che voglio dire a proposito delle molestie ed è accostabile all’attuale situazione *in Italia]. Noi ragazze cresciute a Tripoli, conoscevamo gli usi e costumi, le tradizioni culturali e religiose degli arabi per cui se uscivi con la minigonna era chiaro che potevi avere molestie, perché le donne arabe non si scoprivano .

In un certo a Tripoli c’era una certa compostezza nel vestire e nel comportamento era una forma di prevenzione, perché sapevamo ciò che poteva provocare.

Le ragazze cresciute oggi in Italia in ambiente multietnico e multirazziale questa forma di cautela non ce l’hanno, per cui vanno incontro ad atti talvolta anche di violenza. Sono senza autodifesa.

A parte l’ambiente siciliano che non era particolarmente liberale, noi sapevamo a Tripoli come gli arabi consideravano la donna. Noi sapevamo che era rischioso andare in giro con vestiti scollati e con gonne troppo corte .

Sapendo le loro idee sulla donna, non ti dovevi permettere certe cose . Se una andava girando vestita in una certa maniera o aveva un comportamento leggero era una poco di buono … So bene che non è corretta una teoria del genere.

Delle volte io mi domando, vedendo certe ragazze, com’è che non capiscano che questo può suscitare reazioni … Poi viene fuori che il tunisino gli ha fatto questo, che il marocchino l’ha molestata …

In quei paesi hanno una mentalità completamente diversa dalla nostra, la donna è in un’altra dimensione sociale, è sottomessa, gira col barracano con un solo occhio fuori.

Quante ragazze libiche, anche le più evolute vedevi in minigonna? A Tripoli noi lo sapevamo.

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