4. LA COLONIA DURANTE IL REGIME FASCISTA
4.5. Tripoli: dalla vecchia città alla nuova progettazione coloniale
Nelle nuove città, costruite accanto alle vecchie ―Medine‖, i quartieri si svilupparono con i criteri tipici di ogni città del mondo, con una separazione di tipo socio-economico: i poveri abitavano nei quartieri popolari e gli abbienti in quelli residenziali.
In altri termini non c‘erano barriere ―dall‘alto‖ di tipo razziale nella progettazione urbanistica, c‘era commistione di gruppi etnici, semmai c‘era separazione tra le classi sociali .
Alla domanda se c‘era una discriminazione urbana ―razziale‖, confessionale o nazionale, una forma di apartheid, ho registrato risposte ferme ed infastidite , non solo d‘italiani, ma anche di maltesi ed ebrei.
“Assolutamente falso. Avevamo tutti i possibili vicini di casa”. Intervista a Pietro G.
“È falso, falso, falso, non ho mai visto qualsiasi tipo di barriere.
Convivevano negli stessi quartieri, arabi, italiani, maltesi, ebrei anzi tra di loro era difficile distinguerli perche si vestivano alla stessa maniera, ma anche gli italiani e i maltesi in Città Vecchia.
Noi certo ci vestivamo all’europea, mangiavamo all’europea …
Per me arabi ed ebrei si vestivano nella stessa maniera: gli arabi avevano la classica taqīyā, una specie di calotta di lana rossa o feltro con una nappa di lana e gli ebrei lo zuccotto. *…+. Per me la distinzione era la caratteristica erre moscia …”.
Intervista a Sandro M.C.
“ Per niente! Falso! Noi vivevamo insieme a loro, in mezzo a loro dal tempo dei turchi. *Noi maltesi+ eravamo là prima dell’arrivo degli italiani. Mio padre ne ha visto lo sbarco. Allora si viveva in Città Vecchia dove
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c’erano arabi ed ebrei, siciliani, greci e maltesi.
Noi eravamo stati sempre lì. Pensa che nella chiesa di Santa Maria degli Angeli è sepolto anche un nostro parente”.
Intervista a Carlo G.
Balbo accelerò i programmi delle infrastrutture. Si costruirono strade, in particolare la litoranea dal confine tunisino a quello egiziano, la Via Balbia 65 e a delimitare i limiti tra le due province Tripolitania e Cirenaica fece costruire l‘arco dei Fileni, progettato dall‘architetto Florestano Di Fausto.
Il monumentale arco indicava il punto in cui, secondo la leggendaria storia dei fratelli Fileni, maratoneti di Cartagine nella gara per il confine dei territori con la greca Cirene, furono sepolti vivi 66.
Nel 1973, il rifiuto della storia della sua stessa nazione e la negazione del valore dell‘incontro di varie civiltà e culture, indusse Gheddafi a radere al suolo l‘arco.
“ … per questo, anche l’arco dei Fileni l’hanno demolito, che era parte della storia della Libia e che col colonialismo aveva a che fare, solo per il fatto che lo fece costruire Balbo. L’ha fatto demolire Gheddafi nel 1973, come simbolo del colonialismo.
A parte tutte le altre cazzate che ha fatto quest’uomo, io gli rimprovero sempre la rimozione dei simboli della Storia della Libia … è stato un miope
proprio …
Voleva trasformarlo in un paese senza storia […]. Già sotto Idris era sparita la “Lupa coi Gemelli”. Va bene che era un simbolo inflazionato del fascismo […] ma era la storia della Libia. Hanno messo il cavaliere arabo […], ma togliere anche Settimio Severo, imperatore berbero di Roma, uno di loro, di noi … un libico !
In Etiopia ci sono dei caffè, alberghi storici, che mantengono la scritta in italiano e sono stati restaurati con i finanziamenti del governo etiope. Quelli non sono mica scemi! Questi [i libici] vogliono dimostrare che hanno avuto un oppressore barbaro”.
Intervista a Sandro M. C.
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Così fu chiamata dopo la sua morte.
66Per stabilire i limiti del territorio delle due città costiere africane, Cartagine e Cirene si
accordarono che due maratoneti cartaginesi e due cirenei partissero da ciascuna città diretti rispettivamente a est ed a ovest lungo la costa. sul punto d’incontro si sarebbe tracciato il confine. I fratelli Fileni di Cartagine non fecero soste e percorsero un tratto così di gran lunga maggiore dei cirenei, che furono tacciati di truffa, ovvero d’essere partiti prima. Come dimostrare la loro onesta? Sallustio nel Bellum Iugurtinum racconta che accettarono d’essere sepolti vivi, proprio sul confine, come prova della loro onestà.
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La Via Balbia si estendeva per 1800 chilometri e secondo Graziani avrebbe «dovuto precedere la fusione delle due colonie[…] vi erano ragioni di carattere turistico e militare […] fu possibile completare l‘opera entro il Gennaio del 1937, cioè in meno di 14 mesi[…] compreso il terribile tratto del deserto sirtico, della lunghezza di 600 chilometri, lontano dai centri abitati, privo d‘acqua potabile e dove, durante l‘estate la temperatura sfiorava i 50° all‘ombra. […] Oltre alla costruzione della strada, con le varie opere d‘arte necessarie (ponti, muri di sostegno, tombini ecc) […] anche la costruzione di 65 case cantoniere da adibire alla manutenzione …» (Prestopino 1999, p.180).
“*Homs + Era una città bellissima con un mare di un colore smeraldo, come non ce n’è sono altri in tutto il mondo. Mio fratello Carlo invece di andare a scuola andava in spiaggia. Io ero piccolina e me lo vedevo arrivare a tavola coi miei con le alghe sul viso e tra i capelli. Lui finite le scuole era sempre al mare di Homs e si faceva tre mesi. Io invece ci andavo con mamma mia e con zio Ubaldo ed era un viaggio bellissimo. Centoventi chilometri …
Ma che si facevano in due ore , due ore a mezza, anche di più …
Esatto, … ci si fermava al sessantesimo chilometro, a Garabulli, dove c’era un caffè tenuto da italiani. Garabulli era un villaggio piccolissimo, credo che là ci fosse questo unico ritrovo , dove facevano anche trattoria, facevano da mangiare …
Ricordo molto bene Garabulli. Come sai avevamo una grande campagna a Garabulli … da dove finiva il villaggio e dopo per chilometri e chilometri … anche noi facevamo tappa dove ti fermavi tu. Una strada bellissima.
La Balbia … Sì, delimitata ai margini da eucalipti a perdita d’occhio e c’erano le pietre che indicavano ogni chilometro”.
Intervista a Patrizia G.
Scrive Elisabetta Longari sulla rivista d‘architettura ―Domus, dell‘ 11 Marzo 2011 : «L'architettura e le arti visive registrano infatti già al principio degli anni Venti un rilevante impulso, soprattutto dal punto di vista edile e urbanistico si sono recati in Libia a progettare ed edificare, tra gli altri, Armando Brasini, Alessandro Limongelli, Florestano Di Fausto, Alberto Alpago Novello, Ottavio Cabiati e Marcello Piacentini, ma è negli anni Trenta, specie sotto il governatorato di Italo Balbo, che verso la Libia è avventa una vera e propria migrazione di opere e di artisti . Nella seconda metà degli anni Trenta i cantieri aperti in tutto il
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territorio libico non si contavano, tra essi quelli per la costruzione dei Villaggi Rurali progettati globalmente e nel dettaglio, "rifiniti" con estrema cura fin nel decoro e nella mobilia da parte di architetti , pittori, scultori e artigiani italiani che creavano stili adatti alle finalità e al contesto. Un tratto linguistico distintivo, "metafisico", che accomunava la maggior parte delle costruzioni era il lungo porticato, immancabilmente presente, che sviluppava la fuga delle proprie arcate bianche …» 67
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Balbo avrebbe voluto trasformare quello ―scatolone di sabbia‖ in un ―bel suol d‘amore‖.
La costa era splendida e valorizzabile sotto il profilo turistico. Incantevoli spiagge bianche di sabbia finissima, mare trasparente color smeraldo solcato da pesci coloratissimi, scavi archeologici e un clima ideale per tutte le stagioni.
“… Homs era il nostro regno, una città dove vivevano tanti arabi, ma c’erano dei notabili italiani.
Ricordo la casa della nonna che aveva una cucina in muratura stupenda. Anzi c’erano due cucine, una esterna ed una interna e poi c’era anche la stanza del carbone.
La casa era una tipica casa araba. Colle stanze che circondavano l’interno di un cortile con una vasca ed i papiri.
Poi c’era il giardino che mia nonna trasformava in un paradiso e non so quante piante ci fossero, degli alberi di fichi rigogliosi di frutti enormi. E poi, il giardino dava sul mare. Bastava scendere da casa di nonna ed eravamo proprio sul mare. La spiaggia vergine sarà stata estesa diversi chilometri. Era profonda e ricca di sabbia e si estendeva a perdita d’occhio per chilometri e chilometri …”.
Intervista a Patrizia G.
Bisognava richiamare i turisti con manifestazioni e strutture adeguate a riceverli. Nel 1935 fu creata l‘ETAL (Ente Turistico ed Alberghiero della Libia).
Alberghi a ―cinque stelle‖: a Tripoli il Grande Albergo Teatro Casinò Uaddan, il Grand Hotel ed il Mehari che si affacciavano sul lungomare Conte Volpi; il Berenice a Bengasi, un hotel a Derna e, a Cirene, il Grande Albergo degli Scavi. Gli scavi di Leptis Magna, Sabrata, Cirene, Tolemaide, Ghirza ed altri siti
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Sito della rivista d’architettura “Domus” :
http://www.domusweb.it/it/opinioni/2011/03/15/rivoluzione-in-libia-se-la-guerra-cancella-la- storia.html.
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archeologici ebbero nuovo e grande impulso. A Tripoli, il Museo Archeologico del Castello, già attivo dal 1919, fu affiancato da quello di Storia Naturale. Come sovraintendente fu nominato Ardito Desio e per collaboratori furono chiamati vari intellettuali italiani nel campo della scienza e della cultura.
Lo stesso Castello fu restaurato e Balbo ne fece la sede del suo ufficio di rappresentanza, mentre nel Palazzo del Governatore, vicino alla Cattedrale, si tenevano i ricevimenti ufficiali della ―sua corte‖.
A completare l‘opera, la Fiera Internazionale di Tripoli, una struttura di servizi adeguata ad accogliere ed attrarre operatori economici dall‘estero riportando la città alla sua antica vocazione commerciale nel Mediterraneo.
Ci furono i rally tra la Tripolitania e la Cirenaica ed era famoso il gran premio automobilistico ―Lotteria di Tripoli‖, sul circuito della Mellaha.
C‘era l‘ippodromo della ―Busetta‖, con un settore per le gare d‘equitazione; complessi termali, i Bagni Sulfurei e stabilimenti balneari, il Lido delle Palme su tutti, che con le sue strutture d‘accoglienza e ricreative era il luogo d‘aggregazione della società bene tripolina. Si affacciava sul Lungomare Conte Volpi, accanto al Castello, il Real Teatro Miramare, con i suoi smerli da mille e una notte. Il Teatro Alhambra era in Piazza Italia e numerose sale e arene cinematografiche animavano la vita della città.
La propaganda fascista organizzò manifestazioni trionfalistiche come quella dell‘inaugurazione dell‘Arco dei Fileni e l‘autoproclamazione di Mussolini come
saif al-islām , spada dell‘islam, in occasione della quale percorse a cavallo il
Lungomare Conte Volpi alla testa di duemila cavalieri berberi. (Prestopino 1999, pp.177-187).
Tripoli era realmente diventata il ―bel suol d‘amore‖, da sogno. E la sognavano così anche i libici: bella, grande, con le case dipinte di bianco come aveva prescritto Balbo68, ordinata, pulita.
I libici vedevano nella figura di Balbo una mano tesa verso di loro, il riscatto dalla loro secolare miseria, il lavoro, l‘apertura di un dialogo tra culture, il rispetto delle loro tradizioni e soprattutto della loro religione.
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Un’ordinanza del 1937 prescriveva che tutte le facciate delle costruzioni di Tripoli fossero dipinte di bianco.
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Balbo li aveva conquistati perché rispettava la loro fiera dignità . Fuad Kabazi, fine poeta e saggista libico di grazia e d‘ingegno69
in un intervista raccontò che Balbo «…non aveva soltanto plagiato gli italiani, ma anche i libici e a molti di loro aveva fatto dimenticare che avevano una loro patria. E quando era scoppiata la guerra i libici che erano alle armi avevano guardato a Balbo, come al loro condottiero e avevano sperato di conquistare, ai suoi ordini le fertili terre del Delta …» (Del Boca 1988, p. 298).
Tripoli «la bianca, bella come un miraggio con le sue albe che sapevano di vaniglia e le sue notti al profumo di gelsomino» (Abate 2011, p. 47) e così anche la più piccola Bengasi.
“… c’erano imprenditori, c’erano, … diciamo … attività commerciali, ma poi hanno anche cominciato a costruire … attività imprenditoriali edili : hanno cominciato a costruire in città, le strade e, soprattutto la parte industriale. E a Bengasi quando arrivò mio nonno non c’era acqua potabile e l’acqua veniva distribuita da ragazzini con i somari, che portavano delle ghirbe che prendevano l’acqua dai pozzi 70 e la distribuivano per le strade .
Ovviamente bisognava bollirla, perché immagina l’igiene che c’era. Poi gli italiani hanno fatto, costruito l’acquedotto, dei pozzi negli anni ’30, hanno messo l’elettricità nelle strade, nelle case, sono arrivati gli apparecchi elettrici, certo ovviamente degli anni ’30, non certo come quelli odierni. Al posto del frigorifero, c’era la ghiacciaia”.
Intervista a Francesco P.
Rispetto al nostro disperato Meridione era un paese privilegiato.
A Tripoli la vita era brillante, salotti, teatri, cinema, opere ed operette, caffè all‘aperto, cafè chantant, il Lido, un complesso turistico balneare elegante;
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«Che Dio gli dia la pace!»” Ex allievo dei Fratelli delle Scuole Cristiane, per due volte ministro del petrolio nel governo di Idris. Ho avuto il privilegio di conoscerlo.
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Stralcio dalla mia tesi triennale in Lingue Orientali, LICEM, Ca Foscari, Venezia,“Italia-Libia: tra storiografia e ricordi: «Il pozzo non sempre era esclusivo della piccola proprietà perché aveva bisogno di ampi spazi. Accanto alla bocca del pozzo, veniva scavato nel terreno un piano inclinato a lieve pendenza. Questo serviva per alleviare la fatica di un bue o un asino, “motore” del sistema. Quando l’animale scendeva lungo il piano tirava una corda, con all’estremità una ghirba riempita d’acqua nel pozzo, attraverso una grossa carrucola in legno, generalmente ottenuta da una sezione di tronco di palma con un solco scavato sulla circonferenza per guidare la corda. La risalita del piano inclinato avveniva con la ghirba vuota. L’acqua veniva scaricata, manovrando piccole funi sulla ghirba, in una cisterna dai muri d’argilla e poi nei canali».
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musica, spettacoli teatrali, balli, una vita sociale molto viva, unita ad un clima ideale. Ma anche a Bengasi, Homs, Misurata, Zuara e altre città della costa.
“*A Bengasi+… all’inizio c’era solo il circolo militare, così, poi, man mano hanno fatto i caffè, poi sono arrivati il cafè chantant, all’aperto la sera d’estate, … ma lì era sempre estate … d’inverno anche pioveva … , ma … il tempo generalmente era buono e c’erano i caffè all’aperto, dove si esibivano le violiniste, allora erano di moda …, le orchestre, i cantanti, cominciarono ad arrivare le operette, il teatro di compagnie dall’Italia. Il fascismo ci teneva molto: venivano a recitare nei teatri, c’era l’opera … Sì, alla fine, si viveva sicuramente meglio a Bengasi e a maggior ragione a Tripoli … che in Italia, meglio che in moltissime città italiane. Perché in Italia c’erano ancora tanti paesi dove non c’era l’acqua dei rubinetti , quella potabile, non c’era l’elettricità, mentre invece una città come Bengasi era una cittadina allegra, dove da un certo anno in poi, si viveva spensieratamente e non c’erano problemi di conflitto con gli arabi”. Intervista a Francesco P.
E con risvolti ―da dolce vita‖.
“*a Homs+ … mia mamma era molto bella ed elegante. Nonna Pia era in realtà la seconda moglie di mio nonno. In prime nozze aveva sposato una certa G. di nobili origini veneziane, che dicevano essere austriaca.
In verità di austriaco c’era che Venezia era stata sotto l’Austria ed era venuta a Tripoli come figlia del Console d’Austria d’allora.
Probabilmente erano nobili squattrinati ed essendo lei molto brutta, poveretta, probabilmente la fecero sposare col ricco borghese di mio nonno … che invece era molto bello ed aveva l’amante ebrea.
Non si sapeva perché, ma a quei tempi le amanti erano tutte ebree ed erano bellissime: occhi neri, formose, seni abbondanti, gambe … fianchi. Queste sefardite erano bellissime ed era chic, di moda, avere l’amante ebrea. Si diceva che mia madre avesse un fratellastro ebreo illegittimo. La G. si ammalò di tisi e fu mandata a Malta come un’appestata, dove morì …
A Homs si faceva vita mondana, a nonna Pia piaceva la vita brillante, andava a cavallo alla maniera amazzone sulla spiaggia di Leptis Magna, tra le rovine romane.
Mia madre era una ragazza fatta già a 14 anni, era molto precoce, bella e frequentava coi genitori i balli della società homsina, del circolo ufficiali e già a quell’età faceva vita di società per cercare marito.
In verità mia madre era già nella fase d’innamoramento di mio padre, che era un suo cugino e che andava a trovarla da Tripoli a Homs, via mare 71. Si sposò a 18 anni.
Che a Homs si facesse una vita brillante lo seppi da mio suocero, ufficiale
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d’artiglieria a Homs, che mi raccontava di una festa in maschera in cui il padrone di casa si era travestito da indiano e sul turbante aveva uno smeraldo vero”.
Intervista a Patrizia G.
―L‘ epopea delle strade‖, le grandi opere della colonizzazione, la costruzione di città, il lavoro per rendere fertile il deserto, tutte quelle ―cose belle‖, non possono comunque assolvere dalle colpe dell‘occupazione, delle stragi e deportazioni, perpetrate dal potere coloniale italiano.
“ Mio nonno emigrò perché il regime fascista prometteva lavoro e benessere in Libia.
Quando ti dicono che a Tripoli si stava meglio che in Calabria e Basilicata è vero, perché il Regime ci teneva a popolare le colonie e soprattutto ad invogliare gli italiani ad emigrare per superare i problemi della
disoccupazione.
Comunque vivevamo in un epoca coloniale e indipendentemente dal fatto che c’era il fascismo, l’idea d’andare a conquistare una colonia ci sarebbe stata lo stesso *… + non sono stati i fascisti a colonizzare la Libia, ma i liberali...
Sicuramente il regime fascista aveva molto e più a cuore il benessere dei cittadini nelle colonie, piuttosto di quelli del sud sottosviluppato.
Ci credo che si stava meglio in Libia che nel Meridione!
Tanto per dirtene una a Tripoli avevamo tutti l’acqua corrente dall’acquedotto che in Sicilia ancora oggi manca *…+ . C’è ancora qualcuno chi dice che il fascismo ha fatto anche delle cose buone …, ma …
Ti dirò che … se uno è delinquente, può aver anche fatto delle cose buone, ma sempre delinquente è.
Io lo giudico per quello che è … *un delinquente+.
Che poi in Africa stessimo meglio e là ci fossero dei benefici che in Italia non c’erano, è vero. Il fascismo all’inizio aveva una configurazione sociale. Per esempio, mi risulta che la Previdenza Sociale sia nata proprio sotto il fascismo”.
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