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Grafico 2.4. Tasso di alfabetizzazione degli individui secondo la loro appartenenza a famiglie di diversa dimensione, 1841 (%).

11. L’alfabetizzazione in campagna.

Si è già sottolineato come la comunità pratese non sfuggisse a quella tendenza generalizzata nelle società d’Ancien Régime per la quale la conoscenza e l’uso della parola scritta si concentrava essenzialmente nell’ambiente urbano, grazie al fatto che in quest’ultimo si trovava la maggior parte di quelle condizioni alle quali era tendenzialmente associato un più alto livello di alfabetizzazione: l’esistenza di scuole, la presenza di attività, come quelle burocratiche, commerciali o artigianali, che

90 Cfr. Contini G. e Ravenni G.B., 1987, pp. 149 e sgg. e Roggero M., 1999, pp. 113 e sgg. Non doveva

essere tra l’altro senza effetto sull’emarginazione alfabetica dei bambini l’elevata mortalità infantile e la precarietà generale della vita in una società economicamente non ancora sviluppata. L’istruzione, e nel nostro caso specifico l’apprendimento dell’uso della scrittura, è un bene la cui acquisizione produce i suoi effetti soprattutto nel futuro, attraverso tutti i possibili usi che di esso si potranno fare giorno per giorno. Suchit Arora (2001) ha suggerito a questo proposito che la crescita del benessere economico e il miglioramento delle condizioni di salute complessive dei paesi occidentali abbiano agito positivamente sui livelli di istruzione della popolazione, dal momento che una speranza di vita più elevata induce gli individui a fare progetti a lungo termine e a includere più facilmente tra gli strumenti per raggiungerli la formazione scolastica. Quest’ultima, poi, agirebbe a sua volta positivamente sugli standard sanitari fornendo alle persone mezzi adeguati per controllare e difendere il proprio stato di salute. Su questi argomenti si tornerà nell’ultimo capitolo, quando si analizzeranno le relazioni tra l’alfabetizzazione e alcuni indici demografici, come la natalità e la mortalità.

richiedevano o facilitavano l’uso della scrittura, nonché di quegli individui che per appartenenza a classi sociali più elevate erano naturalmente più istruiti91. Si è anche osservato, ma vale la pena di ricordarlo, che la prossimità alla città non costituiva motivo sufficiente per avere maggiori possibilità di ricevere qualche forma di istruzione: il tasso di alfabetizzazione subiva un immediato crollo non appena venivano varcate le mura urbane, quasi che il “dentro le mura” e il “fuori le mura” costituissero due microcosmi separati, regolati, per ciò che concerneva la diffusione della cultura scritta, da leggi interne radicalmente alternative.

Tuttavia, la campagna pratese presentava alcuni tratti specifici rispetto a gran parte della realtà toscana, a cui in parte si è accennato all’inizio di questo capitolo. Era infatti caratterizzata da una notevole dinamicità, dalla presenza di un fitto tessuto viario che facilitava le comunicazioni e gli scambi, dalla penetrazione, fin dall’Ancien Régime, di attività commerciali e manifatturiere.

Si è potuto parlare, a questo proposito, del contado pratese come “dell’altra città”92, ovvero un mondo rurale che se per un verso era legato ai canoni classici del mondo mezzadrile toscano, per l’altro era caratterizzato da un eccezionale intreccio tra attività agricole e attività manifatturiere e commerciali, che si rivelava, per esempio, nei numerosi casi di pluriattività all’interno delle stesse famiglie contadine. Già alla metà dell’800, come si è visto, colpiva l’attenzione di molti osservatori il fatto che la campagna pratese fosse disseminata di attività manifatturiere, che assumevano anche la forma del lavoro a domicilio, soprattutto nel settore della paglia e in quello tessile. Ed è un dato che andò accentuandosi per tutto il corso del diciannovesimo secolo.

Accanto a questo dato generale, però, si deve affiancare quello delle differenze e delle specificità delle diverse aree del contado. Si possono tracciare due linee di demarcazione. Una, limitata alle caratteristiche territoriali, suddivide il contado pratese tra una zona settentrionale montuosa e collinare, e una meridionale pianeggiante. A tale preliminare distinzione fa seguito, con alcune eccezioni, quella delle caratteristiche abitative: prevalenza di case sparse nella zona collinare montuosa (con l’eccezione di alcuni borghi situati sulla riva destra del Bisenzio, come Vaiano o Figline), insediamenti più fitti nella pianura (eccettuate alcune zone, prevalentemente situate nella estremità

91 Houston R., 1991, p. 19; De Fort E., 1995, p. 47. 92 Pazzagli C., 1988, p. 188.

sud-orientale del territorio).93 Si deve subito notare come queste caratteristiche rimangano stabili per tutto il periodo da me considerato. Ovvero, se vi fu una crescita costante della popolazione pratese e del tessuto abitativo, è anche vero che le proporzioni tra popolazione sparsa e popolazione agglomerata rimase sostanzialmente costante dalla prima metà dell’800 agli inizi del 190094.

La seconda linea di demarcazione è invece legata alle caratteristiche socio- economiche e passa per il Bisenzio, che, tagliando quasi a metà la comunità pratese, delimita una zona occidentale decisamente più dinamica e una orientale più statica.

Nella zona a destra del Bisenzio si rilevano le tracce di attività manifatturiere fin dalla prima metà dell’800, con la presenza di mulini, gualchiere, tiratoi, ramiere, cartiere, cave di argilla e fornaci, soprattutto nella parte settentrionale (nei borghi di S. Lucia, Coiano, Figline, per esempio)95. Le altre attività manifatturiere diffuse nella campagna pratese erano legate al settore tessile, ed in particolare alla lavorazione della lana e della paglia. Spesso queste attività si configuravano come forme di integrazione del reddito derivato da lavori agricoli, ed erano diffuse tra la popolazione rurale nella forma del lavoro a domicilio, sia tra gli uomini che tra le donne. Anche in questo caso, però, se ne rilevava la maggiore concentrazione nella zona occidentale della comunità. In quella orientale, da nord a sud, predominavano infatti le famiglie mezzadrili, in cui il fenomeno della pluriattività era meno esteso rispetto alle altre famiglie contadine (piccoli proprietari, fittavoli, braccianti), come dimostrano i dati del censimento riguardo ai maschi adulti che svolgevano un’attività diversa rispetto a quella del capofamiglia96. Ovunque, semmai, erano le donne le più largamente coinvolte in questo tipo di attività manifatturiera, ed in particolare nella manifattura della paglia. Era comunque soprattutto nella zona immediatamente ad ovest della città, nei borghi di Soccorso, Capezzana, Galciana, Chiesanuova, che l’intreccio tra attività agricole e attività manifatturiere era più accentuato.

Questa campagna, così densa di attività e di vie di comunicazione, era invece quasi completamente sprovvista di scuole: mancavano totalmente quelle pubbliche e le

93 Ivi, p. 136 e sgg. 94 Ivi, p. 188. 95 Ivi, p. 140.

96 Ivi, p. 203. Anche in questo caso, il confronto tra il censimento del 1841 e quello del 1936 mostra il

permanere nel lungo periodo di una netta linea di separazione tra le famiglie mezzadrili e quelle degli altri coltivatori.

iniziative private erano limitate e di scarsissimo livello qualitativo. Le persone si istruivano prevalentemente per mezzo dei parroci, dei maestri ambulanti97 o attraverso l’opera prestata da privati cittadini ai quali, però, non era richiesta nessuna specifica abilitazione all’insegnamento. Si trattava di scuole spesso occasionali, che non fornivano nessuna garanzia di continuità negli anni. Delle complessive 24 scuole rilevate tra il 1856 e il 1858 dai deputati comunitativi, per esempio, soltanto 8 facevano parte dell’elenco di tutti e tre gli anni98, a dimostrazione del fatto che si era di fronte per lo più a iniziative caratterizzate da un elevato grado di caducità. Se a questo di aggiunge che gli insegnamenti impartiti alle bambine, nel migliore dei casi, si limitavano alla lettura, quando non prevedevano solo la dottrina cristiana e i lavori femminili, si

97 SASP, Comune, filza n° 811, Officiali, Statistica delle scuole della comunità di Prato, 1861.

98 ASF, Ministero della Pubblica Istruzione e Beneficenza, filza n° 616, Rapporti relativi alle scuole del

Granducato, fascicolo “Stato delle scuole di Prato” 1856 e 1857; e Ivi, filza n° 620, Rapporti relativi alle scuole del Granducato, fascicolo “Stato delle scuole di Prato”, 1858. Di seguito si riportano i nomi degli insegnanti rilevati per tre anni consecutivi dai deputati comunitativi. Quelli in neretto sono i nomi di coloro che furono rilevati per tutti e tre gli anni.

Borgo 1856 1857 1858

Chiesanuova Masolini Teresa

Coiano Vannucchi Luisa Vannucchi Luisa Vannucchi Luisa

Coiano Bacchetti felice

Coiano Franchi Caterina Franchi Caterina Franchi Caterina

Coiano Mattei Clementina Mattei Clementina Mattei Clementina

Figline Puccini Lorenzo Puccini Lorenzo Puccini Lorenzo

Galciana Vannucchi Smeralda coniugi Giuseppe e Gonfienti Pugi Evangelista Pugi Evangelista

Iolo Leoncini Maria Leoncini Maria Leoncini Maria

Iolo Presentelli Andrea Presentelli Andrea Presentelli Andrea

Mezzana Bettarini Teresa

Mezzana Marini Gaetano

Mezzana Vestri Gaspero Vestri Gaspero Narnali giacomelli liduina

Narnali Nuti Giovacchino Nuti Giovacchino Nuti Giovacchino

Pizzidimonte Benucci Francesco Benucci Francesco Benucci Francesco

S. Giorgio a Colonica Bacci Vincenzio Bacci Vincenzio

S. Giorgio a Colonica Becagli Angelo Becagli Angelo

S. Lucia Gelli Maria

Soccorso Badiani Maria

Soccorso Filippini Anna

Tavola Gabbiani sacerdote Luigi

Tobbiana Macarelli Faustina

comprende il livello complessivo dell’insegnamento di cui la popolazione rurale poteva usufruire, oltretutto dietro pagamento di un compenso, per quanto piccolo, al maestro.

Nonostante la bassa qualità di questo tipo di scuole, il loro costante benché lento aumento negli ultimi anni del regime granducale (passarono da 12 nel 1856 a 14 nel 1857, a 18 nel 1858) era probabilmente l’effetto di una progressiva espansione anche nel contado pratese di una domanda di istruzione, di cui, come si è visto, non erano mancati segnali a livello dell’intero compartimento fiorentino in quello stesso periodo. Tuttavia si tratta di un trend che non è verificabile per gli anni precedenti, e che in ogni caso non determinò, prima dell’Unità italiana, nessun sostanziale aumento della diffusione dell’alfabetizzazione.

Quest’ultima assumeva per altro alcuni dei tratti che sono già stati esaminati per la città e per l’intera comunità, e che si presentavano però nel contado in maniera più accentuata. La differenza tra i sessi, per esempio, era più marcata in campagna (dove l’alfabetizzazione maschile era, come si è visto, pari al 18,4% e quella femminile al 3,8%, per una differenza di 14,5 punti percentuali ) che in città (dove invece la differenza era di 9,6 punti). Anche l’analfabetismo infantile era significativamente più alto nel contado: qui solo 4 bambini dai 6 ai 10 anni su 100 entravano in contatto con l’alfabeto, mentre per le bambine l’esclusione era assoluta, a riprova del fatto che in campagna, ancor più che in città, l’istruzione scolastica formalmente impartita era un canale del tutto marginale di apprendimento.

Anche la dimensione sociale o familiare, piuttosto che individuale, dell’alfabetizzazione è confermata per il contesto rurale, con la specificazione che ciò valeva in misura maggiore per le famiglie prevalentemente orientate ad attività di tipo agricolo rispetto a quelle in cui il capofamiglia era invece dedito ad attività del settore manifatturiero, come dimostra l’analisi dell’alfabetizzazione alla luce di una scomposizione della popolazione per categorie socio-professionali. La limitatezza numerica dei dati del campione non consente un’analisi sufficientemente dettagliata della distribuzione socio-professionale. Mi sono quindi limitata a raggruppare tre categorie: quella degli addetti al settore agricolo (agricoltori e contadini generici non possidenti, coloni, affittuari, e livellari), gli addetti al settore manifatturiero di varie

categorie (tessile, edile, alimentare, edile, legno, metalli etc..) e quella dei lavoranti a giornata e dei salariati (pigionali, operanti, giornalieri, garzoni)99.

La tabella 2.7 rileva come la distinzione tra alfabetizzazione calcolata su base individuale e familiare, acquisti rilievo soprattutto per le famiglie agrarie (o in cui comunque il capo-famiglia è agricoltore100) rispetto a quelle in cui il capo-famiglia è un artigiano o è comunque addetto al settore manifatturiero, e che in altri termini, proprio tra le prime l’alfabetizzazione assume più valore a livello aggregato, che non di singola persona101.

Tabella 2.7. Alfabetizzazione su base individuale e familiare, secondo la categoria socio – professionale (rispettivamente dell’individuo o del capofamiglia) in campagna, 1841 (%).

Settore di

attività Femmine Maschi Famiglie*

Addetti all’agricoltura 3,70 24,21 37,07 Lavoranti a giornata e salariati 0,00 9,74 19,00 Addetti alla manifattura 7,07 41,79 43,48

Fonte: La stessa della tabella 2.2.

* Percentuale di famiglie con almeno un membro in grado di leggere e scrivere.

Dalla tabella emerge, per inciso, anche una significativa distinzione tra i tassi di alfabetizzazione, pur molto bassi, delle donne rilevate come addette al settore agricolo (confermato da quello delle atte a casa – 5,36% - e di quelle per le quali non vi è indicazione – 1,64 %102) e di quelle addette al settore manifatturiero (trecciaiole, in primo luogo, ma anche tessitrici, filatrici, calzettaie, sarte), il che sta ad indicare il più stretto collegamento tra quest’ultimo settore e l’alfabeto, registrato anche tra gli uomini.

99 Per quanto riguarda gli addetti a questo ultimo gruppo, Pazzagli (1988, p. 64) ha sottolineato come non

possano essere totalmente ricondotti al settore agricolo, dal momento che si trattava di persone che prestavano le loro braccia ai settori più diversi, secondo le necessità del momento.

100 E questo vale sia per le famiglie mezzadrili che per quelle definite genericamente come di contadini o

agricoltori.

101 E’ per altro questo un dato verificato da indagini compiute in periodi diversi e anche piuttosto recenti

su famiglie mezzadrili. Cfr. De Fort, p. 96 e Manotavi F. Bilanci di Trenta famiglie di contadini in

provincia di Treviso, in “La riforma sociale”, anno V, vol. VIII, 1898.

102 Tra queste ultime due categorie, molte donne erano in verità addette proprio al lavoro dei campi, cfr.

Il quadro fin qui delineato va infine completato alla luce di quella differenziazione esistente all’interno del territorio pratese, a cui precedentemente si è accennato, tra una parte collinare alla destra del Bisenzio economicamente più dinamica rispetto alla riva sinistra, nonché tra la parte collinare e la zona pianeggiante della comunità.

La tabella 2.8 rileva come la distribuzione dei tassi di alfabetizzazione segua piuttosto precisamente la maggiore o minore vivacità economico-sociale delle diverse aeree del territorio. Sono da sottolineare, per esempio, i livelli decisamente più elevati (anche rispetto alla pianura) della riva destra del Bisenzio, dove, come si è visto, già nella prima metà dell’800 era particolarmente fitta la rete di attività manifatturiere ed artigianali, e a cui corrisponde una situazione capovolta se si guarda alla riva sinistra, caratterizzata dall’assenza di siffatte attività - se si eccettua la parrocchia di Sofignano, posta all’estremità nord-orientale del comune, in cui vi era un discreto numero di fornaci103 - e dal maggior peso relativo dell’agricoltura e della mezzadria: una staticità che inciderà sullo sviluppo della zona fino agli inizi del ‘900104.

Tabella 2.8. Alfabetizzazione per aree territoriali e per sesso, in campagna, 1841 (%).

Maschi Femmine Totale

Zona collinare a destra

del Bisenzio 30,69 5,32 18,09

Zona collinare a

sinistra del Bisenzio 10,81 0,00 5,88

Pianura 17,30 3,52 10,64

Fonte: la stessa della tabella 2.2.

Non incide invece molto sui livelli di alfabetizzazione in questo periodo la distribuzione delle case: i livelli di alfabetismo della zona sud-orientale della pianura in cui erano prevalenti le case sparse erano complessivamente molto simili (intorno all’11%) a quelli dell’area occidentale in cui (esclusa la parrocchia di S. Ippolito) erano prevalenti le abitazioni concentrate nei borghi (intorno al 10,5%). Ciò conferma, tra l’altro, quello che abbiamo già sottolineato più volte e cioè che l’alfabetizzazione in quell’epoca non passava prevalentemente per i locali scolastici, ma piuttosto per conoscenti o parenti in possesso di qualche nozione o abilità, la presenza dei quali non

103 Pazzagli, 1988, p. 140-141 104 Ivi, p. 188.

era evidentemente legata al tipo di caratteristiche abitative del territorio. Semmai la distinzione tra le due zone ha dato luogo ad un altro risultato, e cioè a una diversa distribuzione dell’alfabetizzazione tra i due sessi: di circa il 20% per gli uomini e dello 0,7 % tra le donne nella parte sud-orientale, del 16% tra gli uomini e del 4% tra le donne nel resto della pianura. Il dato è forse spiegabile con la prevalenza nell’area sud- orientale della conduzione mezzadrile, ed è probabile che nelle famiglie mezzadrili la selezione degli individui che erano destinati ad essere istruiti ricadesse in modo ancora più accentuato che altrove sui maschi piuttosto che sulle femmine (risultato confermato anche dai dati relativi alla riva sinistra del Bisenzio nella zona collinare, dove pure erano largamente prevalenti le famiglie mezzadrili).

12. Conclusioni.

Il panorama dell’istruzione popolare in Toscana e in particolare a Prato negli ultimi decenni del periodo preunitario fu improntato ad una fondamentale staticità. Dal lato dell’offerta pubblica, le spinte riformistiche emerse prima durante il Granducato di Pietro Leopoldo e poi negli anni della dominazione francese, mirate soprattutto a sostituire il monopolio ecclesiastico in ambito scolastico o quantomeno a sottoporlo ad un più stretto controllo del governo, produssero effetti di scarsa entità, sia per le opposizioni del clero e delle élites locali all’intervento dello stato in campo educativo, sia per la ristrettezza del tempo e dei mezzi che i riformatori ebbero a disposizione.

Dopo il 1815 l’atteggiamento prevalente dei sovrani restaurati nei confronti dell’istruzione popolare fu caratterizzato in un primo momento da un sostanziale disinteresse, che se da un lato lasciava la possibilità di promuovere esperimenti e tentativi di innovazione da parte dei privati, ebbe dall’altro come effetto un totale immobilismo per ciò che concerneva il settore pubblico. In seguito agli eventi rivoluzionari del 1848 prevalse la paura per i possibili effetti destabilizzanti dell’istruzione in quanto strumento di veicolazione di idee sovversive e gli unici interventi delle autorità pubbliche in campo scolastico furono quelli relativi al rafforzamento dei canali di controllo sull’attività degli insegnanti, sia pubblici che privati, attuato essenzialmente attraverso i rappresentanti del clero. Per quanto riguardava la quantità delle scuole primarie pubbliche, invece, alla vigilia dell’Unità

italiana la Toscana presentava un quadro non dissimile a quello di mezzo secolo prima, ovvero un pressoché completo deserto.

Nello stesso periodo cominciava ad emergere un timido coinvolgimento dei privati sul terreno educativo, attraverso due tipi di iniziative diverse. In primo luogo quelle di alcuni esponenti della classe dirigente toscana, che in quegli anni andavano assumendo una chiara consapevolezza del ruolo giocato dall’istruzione popolare nello sviluppo economico e civile della società. Tale consapevolezza si esprimeva da un lato nei dibattiti su periodici e riviste (L’Antologia per esempio, o la Guida all’Educatore) o nei circoli letterari (come quello del Viesseux) e nella riflessione teorica, da cui emersero i tratti dominanti di quella concezione della scuola, caratterizzata dal privilegio accordato al contributo dei privati rispetto al quale l’intervento statuale era sentito come un’indebita intrusione, che poi si sarebbe scontrata con l’impostazione centralistica del governo italiano; dall’altro nel fiorire di una serie di esperienze educative, come gli asili o le scuole di mutuo insegnamento, contrassegnate dall’assenza di una chiara struttura didattica e dal connubio istruzione-lavoro, considerato essenziale per la formazione di individui attivi nella costruzione del benessere comune e allo stesso tempo appagati della loro posizione sociale. Di tali esperienze è rimasta traccia anche nel caso di Prato, i cui esponenti politici o intellettuali erano perfettamente allineati, da questo punto di vista, con gli altri toscani, ed in particolare con i fiorentini. Si trattò per lo più di iniziative sporadiche, non inserite in un progetto di sistematica diffusione della cultura scritta tra le classi basse della società, e che di conseguenza ebbero un impatto quantitativo molto contenuto.

Accanto a questo genere di interventi, vi furono segnali di una crescita dell’attività educativa di singoli individui, che si inseriva, evidentemente, in un’espansione della domanda di istruzione attigua a quegli ambienti socio-economici in cui l’utilità pratica della conoscenza dell’alfabeto era sempre più percepita. Si trattava in questo caso di persone che trovavano di che guadagnare qualcosa offrendo una serie di competenze alfabetiche, talvolta anche molto limitate come avveniva più spesso nel caso delle donne, ed in ogni caso senza che fosse loro richiesta nessuna specifica qualifica per l’insegnamento. Anche in questo caso se ne è rilevata la presenza e l’incremento negli ultimi anni del regime granducale anche nel contesto pratese, tanto in città quanto in campagna.

Tuttavia le scuole, qualunque fossero la metodologia e il contenuto didattico di esperienze collocate nell’ambito dell’assenza quasi totale di un apparato istituzionale in grado di costruire delle griglie o degli standard educativi generalizzati, non erano gli unici e forse nemmeno i principali canali di apprendimento per la maggior parte delle persone che nel corso della loro vita avevano l’opportunità di acquisire qualche competenza alfabetica. I dati del censimento del 1841 relativi alla comunità pratese mettono infatti in luce un tratto della diffusione dell’alfabeto nell’Ancien Régime che meriterebbe di essere studiato anche per altri contesti, ovvero il fatto che i maggiori livelli di alfabetismo si concentravano tra le fasce d’età della popolazione adulta, dai 20

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