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Grafico 3.2. Spesa per l’istruzione elementare in percentuale sulla spesa totale effettiva, 1873.

7. Scuola e popolazione: un rapporto difficile.

Le inadempienze del comune non erano chiaramente le uniche a cui andava attribuita la lentezza dello sviluppo dell’istruzione primaria. Molti comportamenti diffusi tra la popolazione rendevano estremamente difficile la realizzazione di una vita scolastica regolare e ordinata, quale sarebbe stata prevista dai regolamenti comunali e statali. In effetti, se non mancavano segnali di un desiderio più o meno diffuso di essere istruiti, testimoniato anche dalle petizioni che arrivavano al consiglio comunale per l’apertura di nuove scuole65, è anche vero che con molta fatica la maggioranza delle persone si adeguava al complesso di norme che avrebbero dovuto regolare e scandire il ritmo e il funzionamento delle scuole. Si deve tenere presente a questo proposito che per secoli,

fatta eccezione per le classi più elevate, le quali affidavano normalmente la formazione dei bambini ad istitutori privati o a collegi e altri istituti educativi d’eccellenza, l’istruzione non era stata considerata dalla maggior parte della popolazione come una prerogativa dell’infanzia e che coloro che, tra le classi popolari, si avvicinavano all’alfabeto non lo facevano, come si è sottolineato nel capitolo precedente, attraverso percorsi regolari, sistematici e costanti nel tempo. Gli attriti maggiori nel rapporto tra la nuova scuola istituzionalizzata, come andava formandosi grazie all’intervento delle autorità pubbliche locali e centrali, e le classi popolari non stavano tanto nel rifiuto di essere istruiti e di entrare in possesso di strumenti, come la capacità di leggere e scrivere, che anzi potevano risultare utili nella vita quotidiana, quanto nella difficoltà di uniformarsi a standard comportamentali considerati estranei alla vita comune, come il dover escludere i bambini dal contributo che potevano dare all’economia domestica a causa di una partecipazione scolastica che avrebbe dovuto essere costante e assidua, la permanenza in classe per 4 o 5 ore più o meno consecutive, la pulizia del corpo e dei vestiti66, l’essere oggetto di attese di apprendimento formalizzato, il rispondere alle consegne e ai compiti da svolgere67.

La frequenza saltuaria.

Queste difficoltà si traducevano in primo luogo nella saltuarietà della frequenza scolastica. Dario Ragazzini ha sottolineato come una delle novità strutturali più evidenti derivate dall’affermazione della scuola istituzionalizzata ed ancor più dall’introduzione di un obbligo scolastico formalmente stabilito sia stato il passaggio da una frequenza scolastica occasionale ad una partecipazione diffusa e costante in cui la non frequenza o la frequenza saltuaria sono considerate “un’eccezione sociale e una violazione illegittima”68. Orbene, il passaggio dall’una all’altra forma di partecipazione scolastica

66 Il regolamento comunale approvato il 21 marzo 1861 prevedeva che i bambini fossero “puliti di carne e

di testa”, vaccinati contro il vaiolo e privi di altre malattie contagiose, vestiti dignitosamente. Una settimana di assenza senza giustificazione, inoltre, avrebbe comportato l’espulsione. I bambini avrebbero dovuto inoltre rimanere a scuola per due ore e mezza la mattina e due ore il pomeriggio, entrare ed uscire dalla classe in assoluto silenzio e rimanervi per tutta la durata delle lezioni. Le punizioni previste per gli alunni disobbedienti andavano dall’essere redarguiti da soli o in pubblico all’essere costretti a ripetere un certo numero di volte la parte di lezione non imparata o non studiata, dall’essere allontanati dai compagni stando in piedi in un determinato luogo all’essere redarguiti pubblicamente dall’ispettore, dall’essere sospesi all’essere espulsi. (SASP, Comune, filza n° 811, Atti del consiglio, Regolamento per le scuole comunali, 21 marzo 1861).

67 Cfr. Ragazzini D., 1997, p. 22. 68 Ivi, pp. 14-15.

si è realizzata a Prato in un arco di tempo assai lungo, non solo perché l’impianto della scuola pubblica non fu qui, per la mancata applicazione della Casati, subito affiancato dalla proclamazione dell’obbligo scolastico, che avvenne soltanto nel 1887 quando era stato raggiunto il numero di insegnanti previsti dalla legge, ma anche per il fatto che a Prato, come del resto in larghissima parte della penisola italiana, la normativa sull’obbligo, anche quando venne formalmente introdotta, rimase a lungo lettera morta69.

I motivi di questa situazione andavano ricercati nella contraddizione che il Direttore generale dell’istruzione primaria e popolare, Camillo Corradini, avrebbe individuato all’inizio del ‘900, ovvero nel fatto che l’istituzione preposta alla vigilanza sul rispetto delle normative scolastiche, il comune, era anche quella che doveva accollarsi l’onere finanziario derivante da una piena applicazione della legge70. In mancanza di una reale coercitività, le consuetudini diffuse tra la popolazione, tra cui quella di considerare il tempo da dedicare all’istruzione come residuale rispetto al tempo destinato ad altre attività, in particolare quelle lavorative, ma anche l’usanza dell’iscrizione tardiva dei bambini, continuarono ad incidere pesantemente sul funzionamento del sistema scolastico e furono di fatto largamente accettate dalle stesse autorità comunali.

Benché sia evidentemente molto difficile fornire l’esatta dimensione quantitativa delle periodiche diserzioni scolastiche, si trattò di un fenomeno di cui non mancano numerose testimonianze, che attraversò tutto il periodo preso in esame da questo lavoro, senza accennare a ridursi neanche agli inizi del 1900, e che deve essere considerato la costante di fondo alla luce della quale valutare lo sviluppo della scolarizzazione. Interessava tanto la città quanto la campagna, dove, semmai, assumeva maggiormente il

69 Non così avvenne in altri paesi europei dove l’introduzione dell’obbligo determinò il moltiplicarsi delle

cause giudiziarie per evasione scolastica. Fu il caso, per esempio, della Gran Bretagna dove pure la legislazione sull’obbligo venne introdotta relativamente tardi, a partire dal 1870, quando ormai la grande maggioranza della popolazione era alfabetizzata. L’intervento statuale in quel caso mirava non tanto a debellare l’analfabetismo, quanto ad imporre una frequenza più regolare. E la lotta tra le famiglie e lo stato si giocò proprio sul piano della regolarità della frequenza, dal momento che la maggior parte dei bambini, anche prima dell’introduzione delle nuove normative, aveva in qualche modo frequentato la scuola, ma lo aveva fatto secondo le esigenze e i ritmi della vita familiare. In alcune città industriali dell’Essex, nei primi venti mesi successivi all’introduzione dell’obbligo circa un terzo delle famiglie furono coinvolte nel meccanismo coercitivo. Talvolta le famiglie riuscivano a contrattare con le autorità giudiziarie una partecipazione parzialmente ridotta dei figli (per esempio se la madre vedova riusciva a dimostrare di avere un assoluto bisogno del lavoro dei bambini); ma il più delle volte, nei tre quarti dei casi, le cause si chiudevano con una condanna dei genitori. Cfr. Belfiore G.M., 1986.

70Corradini C., “L’ISTRUZIONE PRIMARIA E POPOLARE IN ITALIA CON SPECIALE RIGUARDO ALLANNO

carattere di stagionalità71 e le scuole si vedevano “empirsi e vuotarsi a seconda dei giorni e delle stagioni”72, in relazione ai lavori campestri.

Una statistica relativa all’anno scolastico 1861-62, ci dà un quadro indicativo delle variazioni stagionali nel numero degli studenti nelle scuole comunali, come si può osservare nella tabella 3.3.

Tabella 3.3. Variazioni nella frequenza degli alunni. Anno scolastico 1861-62. Scuola Maestro massimo Numero Numero minimo

Grammatica, storia e

geografia Bertini 50 38 Aritmetica calligrafia

disegno lineare Sieni 52 40 Elementare 1° grado Caramelli 72 60 Scuola sussidiaria di lettura Tempestini 60 25 Disegno Torrini 32 20 Musica Ciardi 26 18 Violino Nuti 7 7 Vaiano Ferroni 62 40 S. Giorgio Ceri 30 18 Figline Corsani 32 20 Galciana Castelli 41 22 Tavola Gabbiani 14 10

Scuola degli adulti Sieni 69 20-30

Fonte: SASP, Comune, filza n° 811, Officiali, Statistiche delle scuole comunali 1861-62.

Da questa statistica, che tenta di fotografare in modo statico un fenomeno che senza dubbio era caratterizzato da un elevato grado di variabilità, parrebbe che la diserzione delle aule scolastiche fosse in realtà abbastanza contenuta, ma la realtà quotidiana doveva essere con tutta probabilità più vicina alla rappresentazione data direttamente dal maestro di Figline per l’anno scolastico 1878-79, cioè dopo quasi 20 anni, a dimostrazione del fatto che il fenomeno non accennava minimamente a ridursi. Egli

71 Era questo per altro un dato riscontrato a livello nazionale e anche per un lungo arco di tempo. Ancora

all’inizio del 1900: “Per l’unanime attestazione degli ispettori si può affermare che nelle scuole delle nostre campagne la frequenza nel corso d’un anno scolastico è sparsa e intermittente nelle prime settimane (verso la fine dell’autunno); piena durante l’inverno e va poi scemando fino a diventare nulla nella primavera e nell’estate, cioè al tempo dei lavori campestri, poi dei raccolti”, in Ravà V., Attuazione

delle disposizioni legislative sull’istruzione obbligatoria, in Bollettino ufficiale del Ministero della

Pubblica Istruzione, XXXIII, 1906, vol. I., pp. 1731-1745.

72 SASP, Comune, filza n° 811, Atti del Consiglio, inserto 73, Relazione dei deputati sulle scuole

voleva infatti evitare che gli alunni con troppe assenze fossero considerati nelle medie dei promossi e dei bocciati, perché, in caso contrario, “il maestro non può che sfigurare, e la negligenza degli alunni ricade a suo danno, senza che ne abbia la menoma colpa, essendoché egli non ha alcuna autorità per ottenere che, o gli alunni frequentino la scuola o l’abbandonino affatto”73. Così il maestro aveva fatto presente che dei 45 iscritti 10 si erano segnati alla scuola in novembre, cioè con due mesi di ritardo, mentre 20 avevano frequentato due o al più tre volte alla settimana, o si erano assentati per mesi interi.

All’inizio del ‘900 il rapporto tra iscritti e frequentanti non era di fatto mutato, benché fosse aumentato notevolmente il numero degli iscritti, come mostra tabella 3.4 in cui il numero di iscritti nel 1901-02 viene messo a confronto con il numero di coloro che frequentavano assiduamente nel 190474.

Il lavoro minorile.

Il lavoro minorile era chiaramente la causa principale del fenomeno. Anche se difficilmente quantificabile in termini precisi75, esso non solo era largamente diffuso, ma anche socialmente legittimato come parte naturale della vita infantile76.

73 ACP, Carteggio degli affari comunali, filza n° 212, fascicolo 2, Esami di riparazione ed esami finali

dell’anno scolastico 1878-89.

74 Benché il confronto venga fatto tra due anni diversi, si può con certezza affermare che esso sia

indicativo della frequenza saltuaria o al più la sottostimi, dal momento che nel primo decennio del 1900 si verificò una crescita costante degli iscritti e che quindi semmai gli iscritti nel 1903-04 erano in numero maggiore rispetto a quelli del 1901-02. Le rilevazioni mostrano anche la presenza di quattro rilevanti eccezioni alla regola nelle scuole di Coiano, Mezzana, Paperino e Vaiano. Esse non possono essere spiegate con fattori territoriali, poiché le quattro scuole si trovavano nelle aree più diverse del territorio pratese (Vaiano nell’estremo nord, Coiano immediatamente a Nord di Prato, Mezzana a ovest della città e Paperino nella piana sud-orientale), né con il radicamento delle scuole nella comunità, dato che, per esempio, mentre quella di Vaiano era una delle scuole di più antica data, quella di Paperino era di recente istituzione. Le eccezioni vanno probabilmente attribuite al graduale diffondersi di un comportamento più regolare, che rimaneva tuttavia ancora il dato fortemente minoritario rispetto alla radicata consuetudine di una partecipazione intermittente.

75 Le statistiche ufficiali raramente riescono a catturare nelle sue vere dimensioni la diffusione del lavoro

minorile, e normalmente lo sottovalutano, dato il suo carattere informale e non ufficiale. Cfr. Pescarolo, 1988, p. 88.

76 Cfr. De Fort, E. 1995, p. 167. Il lavoro minorile, d’altronde, costituì in tutta Europa la regola anziché

l’eccezione per tutta l’epoca moderna e per grandissima parte del XIX secolo, tanto che alcuni hanno sottolineato come sia di gran lunga più problematico spiegarne il declino nel ‘900 piuttosto che l’esistenza in epoche precedenti (Cunningham H. 2000). La rivoluzione industriale non costituì un vero spartiacque nel coinvolgimento dei più piccoli, visto che in quel periodo, soprattutto in Inghilterra, si verificò un incremento della domanda di lavoro infantile che trovava però la sua capacità di espansione nella persistenza di attitudini pre-industriali nei confronti dell’occupazione dei bambini (Horrel S. e Humphries J., 1995). Semmai il sistema di fabbrica comportò l’incremento di una forma di lavoro più regolare e intensa rispetto a quella prevalente in epoca pre-industriale, tendenzialmente caratterizzata da sporadicità,

Tabella 3.4. Confronto tra iscritti nel 1901-02 e frequentanti nel 1904.

Alunni iscritti nel 1901-02

Alunni frequentanti assiduamente

nel 1904 Alunne iscritte nel 1901-02

Alunne frequentanti assiduamente nel 1904 Cafaggio 34 20 Casale 72 43 44 31 Chiesanuova 50 29 59 28 Coiano 61 56 56 42 Figline 48 29 40 39 Galciana 85 63 57 27 Iolo 70 46 87 27 Mezzana 40 38 Narnali 36 21 33 14 Paperino 56 53 54 30 S. Giorgio 62 33 55 36 S. Giusto 77 59 45 45 Schignano 24 14 29 9 Tavola 80 60 55 39 Vaiano 83 80 72 67

Fonte: per il 1901-02, ACP, Carteggio degli affari comunali, Statistica, filza n° 329, fascicolo

1; per il 1904, ACP, Carteggio degli affari comunali, Istruzione, filza n° 219, fascicolo 2.

Nel contado i bambini erano comunemente impiegati sia nei lavori campestri, sia, in larga misura, nel settore tessile. In quest’ultimo caso si dava sia la forma del lavoro in fabbrica, sia quella, molto più diffusa soprattutto tra le bambine, del lavoro a domicilio. Una statistica del 1878, compilata in occasione di un’indagine condotta per conto del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio sul lavoro delle donne e dei fanciulli77, ci informa del fatto che i bambini con più di 6 anni erano largamente utilizzati nelle industrie laniere e in quelle della paglia, fornendo anche qualche indicazione sulle remunerazione percepite. Nell’industria dei cappelli e delle trecce le

occasionalità e intermittenza, come avveniva per esempio nel caso dei lavori campestri, domestici, di servitù o anche nelle occupazioni manifatturiere a domicilio, come quelle assai diffuse nel settore tessile e della lavorazione della paglia. Il contributo dei bambini all’economia familiare era considerato come un fatto così naturale che il problema vero, sia per le famiglie che per le autorità pubbliche, era costituito dai disagi economici e sociali derivanti dalla loro inattività e dal vagabondaggio, nonché dalla difficoltà di trovare per loro un’occupazione stabile, piuttosto che il contrario. Il lavoro infantile contribuiva in modo sostanziale al reddito domestico (Cunningham H., 1990) : tra la fine del 1700 e la metà del 1800 il contributo dei bambini al reddito familiare era di gran lunga superiore a quello delle donne (Cunningham H., 2000).

77 ACP, Carteggio degli affari comunali, Statistica, filza n° 321, fascicolo 8, Indagine condotta dalla

Commissione Consultiva degli Istituti di Previdenza e sul Lavoro, su commissione del Ministero dell’Agricoltura Industria e Commercio, 1877-78.

fanciulle e le donne erano retribuite con un compenso giornaliero che variava da £ 0,50 a £ 1,10, secondo l’età e le capacità. I fanciulli occupati nelle filande prendevano da £2,50 a £ 3 alla settimana e quelli che facevano i cannelli circa £ 2 a settimana.

Le informazioni sui salari dei bambini hanno costituito sovente la base di un calcolo del costo-opportunità dell’istruzione, ossia del reddito a cui le famiglie sarebbero state costrette a rinunciare per garantire ai figli l’istruzione elementare. Il costo-opportunità dell’istruzione è stato infatti frequentemente considerato come uno dei principali fattori di limitazione della scolarità infantile78. In realtà, proprio alla luce delle considerazioni svolte fino ad ora, è da chiedersi se un tale calcolo abbia senso in una realtà in cui non necessariamente si imponeva una scelta esclusiva e radicale tra scuola e lavoro, visto che la scarsa coercitività dei regolamenti scolastici lasciava lo spazio ad una frequenza saltuaria, che se da un lato andava certamente a danno dell’apprendimento, consentiva dall’altro il diffondersi della scolarizzazione anche tra fasce di popolazione per le quali il lavoro dei bambini era considerato come un elemento assolutamente irrinunciabile nella vita familiare79.

Anche quando non era spiegabile nei termini di necessità vitale per l’economia familiare, come talvolta avveniva80, esso rispecchiava il bisogno di avviare per tempo i figli al lavoro81. Le stesse autorità, che spesso lamentavano la frammentarietà della

78 Cfr. per esempio Soltow L. e Stevens E., 1977, per gli Stati Uniti alla metà del XIX secolo, p. 224 e

Nuñez C.E., 1992, per la Spagna sempre nel XIX secolo, p. 232 e sgg.

79 Che scuola e lavoro non si escludessero di per sé reciprocamente, ma che fosse la regolarità imposta e

controllata della presenza a scuola a limitare considerevolmente il contributo dei bambini all’economia familiare è un fatto rilevato anche per la Gran Bretagna. Come si è precedentemente accennato per il caso delle città tessili dell’Essex, prima dell’introduzione delle leggi sull’obbligo scolastico i bambini avevano potuto contemporaneamente lavorare a casa o nelle fabbriche e frequentare irregolarmente la scuola (Belfiore G.M., 1986). Secondo Cunningham, poi, proprio la necessità di controllare e strutturare maggiormente il tempo dei bambini, la cui gestione irregolare comportava il rischio dell’oziosità e del vagabondaggio nei periodi di mancanza di lavoro, avrebbe indotto le autorità pubbliche britanniche ad introdurre l’obbligo scolastico, più che il desiderio di salvaguardare i bambini poveri dal lavoro di fabbrica (Cunningham H., 1990). Oltretutto la prevalente occupazione dei più piccoli in attività occasionali, più che in incarichi regolari e costanti nel tempo, cui si accedeva normalmente in età più avanzata (secondo alcuni tra gli undici e i quattordici anni di età, come è stato verificato per alcuni paesi europei: cfr. De Fort E., 1995, p. 158 per l’Italia, Maynes M.J., 1985, p. 115 e Desert G., 1980, p. 163 per la Francia), rendeva possibile la contemporanea frequenza scolastica, in mancanza di controllo e di sanzioni sulle assenze.

80 Ed era questo forse un caso piuttosto frequente a Prato, giacché, secondo il direttore delle scuole Giani,

non vi erano nel comune “molte famiglie così miserabili da trovarsi nella perfetta impossibilità d’inviare i figliuoli a scuola”, Giani, Le scuole comunali di Prato nell’anno scolastico 1882-82, citato in Turi G., 1988, p. 1177. D’altronde, che il tenore di vita della popolazione pratese fosse un dei più alti in Toscana e in Italia era un fatto universalmente riconosciuto da molti osservatori, già all’indomani dell’Unità italiana. Cfr. Soldani S., 1988, p. 678 e sgg.

frequenza, riconoscevano nel lavoro minorile non solo un fenomeno difficilmente estirpabile, ma anzi augurabile e positivo per l’equilibrio della società, e di conseguenza si adoperavano, nei limiti del possibile, per rendere la scuola e il lavoro compatibili. Per esempio, nel 1881 così si esprimeva, rivolgendosi al sindaco, il direttore delle scuole comunali Ferdinando Nistri, riguardo al problema della divisione delle lezioni tra mattina e pomeriggio, che evidentemente creava non pochi problemi ai bambini e alle loro famiglie:

“Ill.mo signore,

le scuole elementari tanto per lo spirito della legge come per il comune avviso debbono apprestare ai figli del popolo quella istruzione necessaria anzi indispensabile a ben condurre la vita in relazione ai doveri e diritti di buon padre di famiglia e di onesto cittadino, sovvenendogli esse del loro valido aiuto nell’esercizio delle arti e dei mestieri da cui quelli dovranno necessariamente reclamare la sussistenza per sé ed i suoi.

Ciò implica naturalmente la condizione che alla loro educazione intellettuale e morale vada di pari passo congiunto l’esercizio e l’abitudine al lavoro, talmenteché questo e l’istruzione con armonica vicenda infra di loro si confortino.

Questo si rende molto più indispensabile, inquantoché niuno possa asserire che la sola istruzione elementare si ravvisa sufficiente per un buon operaio ed un onesto cittadino, sia poi bastante a formare un uomo di lettere o scienze, ovvero un professionista d’arti liberali ancorché mediocre; laonde ne avviene che colui il quale fino dalla sua puerizia frequenta la scuola e giunge all’età di 13 o 14 anni arricchita la mente delle sue nozioni, che possono compartirsi da un insegnamento elementare di grado inferiore come superiore, quando d’altronde non sia stato iniziato in nessun arte o mestiere e conseguentemente non abbia contratto l’abitudine tanto necessaria al lavoro, male si piega in avvenire a quello e la sua educazione, per così dire sbagliata, determina la sorte di tutta la sua vita ulteriore. Allora novanta volte su cento il giovanetto non assuefatto al lavoro e da quello repugnante, diviene un penoso fardello per la famiglia, la quale è costretta a nutrire e vestire questo neghittoso e spesso tronfio d’una scienza ch’ei non possiede, disdegnando gli umili manuali travagli si prefigge condurre un’agiata esistenza o intraprendendo la carriera dell’insegnante e degl’impieghi ovvero dandosi a calcare le scene o all’agenzia d’affari di più o meno problematica moralità, ingrossando in tal guisa la numerosa caterva di fannulloni presuntuosi ed arroganti, piaga non sola ma né tampoco la meno profonda fra tutte le altre che affliggono e deturpano la società moderna.

Si, o Ill.mo Signore, il sistema fino al presente adottato delle due lezioni nella giornata come quello che non dà agio ai fanciulli di dedicarsi a nessun mestiere e

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