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Capitolo 3. L’avvio del sistema scolastico pubblico: un esordio stentato.

1. Gli schieramenti politici a Prato all’epoca dell’Unità italiana.

La comunità pratese fu ampiamente coinvolta nelle vicende che segnarono l’unificazione statuale della penisola italiana. Già nel 1848 alcuni esponenti di spicco della classe dirigente pratese avevano partecipato attivamente ai rivolgimenti che videro da prima la concessione dello statuto da parte del granduca e il sostegno al Regno di Sardegna nella guerra contro gli austriaci, e poi il crollo del regime granducale e la costituzione di un governo provvisorio di tre membri, Guerrazzi, Montanelli e Giuseppe Mazzoni, quest’ultimo rappresentante di prima fila del movimento democratico pratese. Ed in effetti negli anni che precedettero gli eventi rivoluzionari del 1859, si erano andati delineando a Prato due movimenti politici, quello dei moderati e quello dei democratici, che riflettevano a livello locale l’evoluzione politica di gran parte della penisola. Si trattava non di partiti propriamente detti, ma di movimenti di opinione che facevano riferimento ad alcuni personaggi di spicco: Piero Cironi, Atto Vannucci, e il già citato Giuseppe Mazzoni tra i democratici, Giovacchino Benini, Cesare Guasti, Giovan Battista Mazzoni, Giovanni Ciardi tra i moderati. Mentre i primi si richiamavano ai principi unitari e repubblicani di Mazzini, con vaghi richiami sociali ad “un’andata al popolo” che assumeva però “valenze più culturali che politiche”1, i secondi erano cresciuti all’interno del pensiero liberale patriottico che considerava la

monarchia e la religione cattolica come baluardi del processo di rinascita nazionale2. Si trattava di tendenze di opinione che, mentre vedevano i loro principali rappresentanti su fronti spesso avversi per ciò che concerneva le sorti del cammino nazionale, non determinavano sostanziali divaricazioni nell’impostazione politica a livello locale, come dimostrava il fatto che gli esponenti dei due diversi schieramenti si trovavano spesso a contatto negli stessi circoli culturali, come quello fondato da Giovacchino Benini negli anni ’30, frequentato anche da democratici come Giuseppe Mazzoni, Vannucci e Cironi, o quello fondato dallo stesso Mazzoni alla fine degli anni ’40, frequentato da moderati come il canonico Arcangeli e Giovan Battista Mazzoni3. Tutti poi provenivano dal medesimo ambiente sociale, l’alta e la media borghesia pratese, dedita ai traffici o alle professioni, e raramente dall’aristocrazia, ed avevano il medesimo atteggiamento filantropico paternalistico nei confronti delle masse popolari, verso le quali si sentiva il dovere di intervenire dall’alto attraverso forme, più o meno caritatevoli, di assistenza e di educazione.

La vera contrapposizione passava, semmai, tra i liberali moderati e i democratici da un lato, che generalmente raccoglievano il più vasto numero di consensi entro le mura cittadine, e le forze reazionarie, ostili a qualsiasi forma di radicale cambiamento politico e sostenute da una parte consistente del clero, che si appoggiavano invece sulle masse contadine, controllate dai parroci di campagna. Furono proprio i contadini, angustiati dalle difficoltà economiche di quel periodo, guidati e strumentalizzati dal reazionario De Lauger, a dar vita al primo importante tumulto contro il triumvirato e favorevole al ritorno del granduca4.

Il ritorno dei Lorena, sull’onda dei battaglioni austriaci, segnò la momentanea disgregazione delle file democratiche (Cironi, per esempio, era finito in carcere, insieme, tra l’altro, ad alcuni sacerdoti, considerati compromessi con il passato ordine di cose, come Sanesi e Bertocci), che si ricomposero, nel corso di un decennio, per partecipare ai successivi accadimenti che avrebbero determinato il tramonto definitivo del Granducato e l’inserimento della Toscana nel Regno d’Italia. Si trattò di eventi

2 Molti dei moderati si erano per esempio riconosciuti nel pensiero politico neoguelfo di Gioberti, il quale

nel Del primato morale e civile degli italiani (1843) sosteneva che il risorgimento dell’Italia doveva avere come fondamento la religione cattolica e a propria guida il papa, che avrebbe dovuto mantenere il suo potere temporale e a cui sarebbe spettata la presidenza onoraria di una federazione degli stati italiani.

3 Ceccuti C., 1980, p. 157 e Ciuffoletti Z., 1988, p. 1262. 4 Ciuffoletti Z., 1988, p. 1266.

rivoluzionari a cui presero parte non solo gli esponenti più in vista del movimento democratico e di quello liberal-moderato, ma anche gran parte della popolazione pratese, sia attraverso le numerose sottoscrizioni aperte per il sostegno alle iniziative unitarie, come quella promossa da Garibaldi per “il milione di fucili”, a cui parteciparono più di 5000 persone; sia attraverso la partecipazione massiccia al plebiscito per l’annessione al Regno di Sardegna, che si tenne nei giorni 11 e 12 marzo 1860 in tutta la Toscana, e che vide a Prato 7.412 votanti, sui circa 10.000 aventi diritto, di cui 6.980 si espressero a favore e solo 296 contro. Il voto a favore dell’unificazione con il Piemonte si presentò a Prato come un unicum a livello regionale, per la capillarità del lavoro preparatorio e organizzativo, per l’ampiezza del coinvolgimento popolare, per la vivacità della dialettica politica5.

Il biennio 1859-60, inoltre, ebbe una coloritura liberal-democratica particolarmente spiccata nella città, anche in contrasto con le tendenze del governo toscano, in cui i moderati erano largamente prevalenti. Dopo gli eventi rivoluzionari, però, i moderati, guidati da Giovanni Ciardi, prevalsero anche a Prato e mantennero sostanzialmente il potere fino all’inizio del 1900, con l’eccezione di due brevi periodi di amministrazione “democratica” della città, dal 1865 al 1872 e dal 1878 al 1880. Tuttavia, al di là delle discussioni, delle acredini, della violenza verbale e letteraria, degli scontri che accompagnavano l’alternarsi del colore delle giunte municipali, con anticipo rispetto agli sviluppi della politica nazionale venne delineandosi a Prato negli anni ’70 quella tendenza osmotica tra i rappresentanti della classe dirigente che sarebbe stata definita “trasformismo”. Lo si era visto, in parte, fin dalla costituzione del blocco elettorale che nel 1865 aveva sconfitto i moderati guidato da Giuseppe Mazzoni, il maggior corifeo dell’anticlericalismo pratese che aveva accolto tra le sue fila legittimisti e clericali come Ranieri Buonamici, Giuseppe Vai, Giovanni Martini e Gaetano Guasti6. Una convivenza di fondo tra cattolici e anticlericali che, al di là degli screzi e dei dissapori anche profondi, provocati talvolta da avvenimenti esterni alla vita cittadina, veniva sperimentata ampiamente in molte delle più importanti istituzioni locali, come, per esempio, la Confraternita della Misericordia.

Convivenze e trasformismo che si esplicitavano nella mancanza di precisi programmi e di evidenti diversificazioni su questioni politiche di primaria importanza, come quella,

5 Cfr. Soldani S., 1988, p. 716. 6 Cfr. Mori G., 1988, p. 1442-43.

per tornare all’argomento del presente lavoro, della pubblica istruzione. E tuttavia proprio l’inserimento di Prato in un contesto nazionale, avrebbe determinato in questo campo, come in quello economico (con gli effetti causati dall’apertura dei prodotti pratesi al mercato nazionale, accentuati successivamente dalla politica protezionistica e in particolare dalla tariffa del 1887), mutamenti di non poco rilievo, a cominciare dal fatto che il comune di Prato sarebbe stato costretto da allora in poi, e suo malgrado, a confrontarsi su quel terreno con le direttive che venivano dal governo centrale.

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