• Non ci sono risultati.

Capitolo 1. Alfabetizzazione e istruzione elementare: un excursus storico e storiografico tra l’Europa, l’Italia e la

5. Alfabetizzazione e sviluppo economico.

La connessione tra status socio – professionale e alfabetizzazione si inscrive nel più ampio raggio di studi relativi al rapporto tra istruzione e sviluppo economico. Schematizzando i termini della questione, si può affermare che il legame riconosciuto a livello individuale tra livello di istruzione e reddito, è rintracciabile anche a livello aggregato: le società economicamente più sviluppate e più ricche erano anche quelle che presentavano i più elevati tassi di alfabetizzazione. Il legame sarebbe facilmente spiegato dal fatto che le società più ricche avevano più risorse da investire nell’istruzione.

La questione si fa però più complessa poiché, almeno a partire dagli anni ’60, un numero nutrito di studiosi ha insistito sull’esistenza della relazione inversa: l’alfabetizzazione, più che essere una conseguenza, sarebbe stata un fattore determinante della crescita economica. E’ la tesi sostenuta dal pionieristico lavoro di Bowman e Anderson57, i quali, prendendo in considerazione un certo numero di paesi arretrati tra gli anni ’50 e gli anni ’60, hanno stabilito una soglia di alfabetizzazione intorno al 30-40% necessaria per promuovere una crescita economica sostenuta, e da Carlo Maria Cipolla58, che ha rilevato come la Rivoluzione Industriale, sviluppatasi dapprima in Gran Bretagna, si sia poi diffusa tra i paesi europei più alfabetizzati, tanto per citare due dei classici sull’argomento. Secondo Cipolla l’alfabetizzazione avrebbe favorito l’industrializzazione non solo determinando un’offerta più elastica di lavoratori alfabeti per i settori, sempre più numerosi (basta pensare all’allargamento della schiera dei colletti bianchi e dei tecnici specializzati), in cui era specificamente richiesta l’abilità del leggere e dello scrivere, ma anche contribuendo alla diffusione di un approccio mentale più razionale e adattabile ai rapidi mutamenti del sistema capitalistico.

Dagli anni ’60 ad oggi la letteratura su questo tema si è arricchita di contributi innumerevoli59, di cui non è compito di questo lavoro dare un’esaustiva rassegna, tanto più che dal circoscritto concetto di alfabetizzazione si è passati a valutare l’impatto sullo sviluppo economico della ben più complessa variabile che va sotto il nome di “capitale umano”, la quale fa da contenitore a tutti tipi di apprendimento e di formazione

57 Bowman M.J. e Anderson C.A., 1963. 58 Cipolla C.M., 1969.

(dall’istruzione scolastica all’apprendimento sul luogo di lavoro, dai programmi di Ricerca e Sviluppo delle imprese alle condizioni di salute dei lavoratori ) che possono in qualche modo influenzare positivamente la crescita. Fermandoci però ai più limitati confini dell’alfabetizzazione e dell’istruzione formalmente impartita, si possono almeno individuare due linee di tendenza.

Da un lato vi sono gli studiosi che hanno portato ulteriori prove alla tesi originariamente sostenuta da Bowman e Anderson e da Cipolla. Tra questi, per esempio, Nuñez ha non solo ribadito l’influenza dei livelli di alfabetizzazione e scolarizzazione nel determinare divergenti patterns di sviluppo in diverse regioni della Spagna, ma anche sottolineato come sia rilevante tanto il livello complessivo del tasso di alfabetizzazione della popolazione, quanto la sua distribuzione. Lo scarto nei livelli alfabetici tra i sessi e il grave ritardo con cui le donne furono coinvolte nel processo educativo avrebbero costituito un limite più serio allo sviluppo economico, che non il livello assoluto di analfabetismo60. Mironov ritiene che in Russia il contributo dell’istruzione al reddito nazionale sia calcolabile approssimativamente nel 35% dei contributi di tutti i fattori61. Per l’Italia Zamagni ha sostenuto che i diversi livelli di diffusione dell’istruzione primaria, più che di quella secondaria, siano stati determinanti nel mantenere, o anche accrescere, le disparità regionali a livello economico62 e successivamente che la convergenza dei tassi di crescita economica di diverse regioni rispetto a quelle più sviluppate fosse largamente influenzata dai livelli di istruzione63. Per la Svezia ed altri paesi scandinavi, Nilsson, Petterson e Svensson64 hanno associato la diffusione della capacità di leggere e scrivere con la formazione di una classe di agricoltori indipendenti e lo sviluppo di relazioni di mercato nel settore agricolo, che hanno poi costituito la base della successiva crescita svedese nella seconda metà del XIX secolo. In questo caso l’alfabetizzazione avrebbe costituito una sorta di “tecnologia della transazione”, priva di sostituti, necessaria ai contadini diventati proprietari per gestire in maniera efficiente i propri affari, ed in particolare per accedere al mercato del credito. Ad un livello più generale Richard Easterlin ha individuato nella costruzione di sistemi scolastici moderni uno dei motori principali della crescita economica nei paesi

60 Nuñez C.E., 1992. 61 Mironov B.N., 1990. 62 Zamagni V., 1973. 63 Zamagni V., 1993.

sviluppati: quest’ultima è infatti legata alla diffusione di un corpo di conoscenze e competenze relative alle nuove tecniche di produzione, la cui acquisizione ed applicazione sarebbe largamente dipendente dal livello di istruzione formale conseguito dalla popolazione. Così la forte espansione dei sistemi scolastici di molti paesi occidentali nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale avrebbe contribuito incisivamente al boom economico di quegli anni, mentre per contro l’assenza di istituzioni scolastiche moderne e universalmente accessibili in altri paesi avrebbe costituito un significativo freno allo sviluppo 65.

Non tutti hanno però concordato con questa visione ottimistica del rapporto tra alfabetizzazione e sviluppo economico ed il dibattito suscitato negli anni ’60 ha successivamente alimentato un nutrito gruppo di “scettici”, il cui terreno preferenziale di discussione è stato, a partire da un lavoro di Michael Sanderson del 1968, il caso inglese. La Rivoluzione Industriale e il sistema di fabbrica che ne era la principale espressione, anziché essere favoriti dalla crescita dell’alfabetizzazione, contribuirono, secondo Sanderson, a peggiorare significativamente gli standards educativi. Le terribili condizioni di vita degli operai inglesi, l’ampio ricorso alla mano d’opera dei bambini, l’assenza di strutture sociali, come la scuola, nei quartieri operai determinarono una riduzione dei livelli alfabetici. La Rivoluzione Industriale non ebbe bisogno né produsse un aumento di lavoratori alfabetizzati e le competenze semmai richieste in quel periodo dal sistema economico erano acquisibili attraverso forme di on-the-job training e learning-by doing, piuttosto che attraverso percorsi di istruzione formale66. Nicholas e Nicholas hanno successivamente verificato che tra il 1810 e il 1830 vi fu in effetti in Inghilterra un deterioramento complessivo degli standards di vita dei lavoratori sia nelle campagne che nelle città, con un sensibile aumento della mortalità, della morbidità e dell’analfabetismo. Quest’ultimo aumentò in particolare tra i lavoratori non specializzati e semi-specializzati, più che tra quelli specializzati67.

Anche critiche più generali sono state mosse alla teoria di una supposta relazione positiva tra crescita economica e istruzione. Innanzitutto, molti dei tentativi fatti per

65 Easterlin R.A., 1981.

66 Ad una simile conclusione è arivato anche Rosés J.R., 1998 per il caso della Catalogna.

67 Nicholas S.J e Nicholas J.M, 1992. I due autori concludono però che il disinvestimento in “capitale

umano” relativo al primo periodo della Rivoluzione Industriale inglese ebbe ripercussioni negative durante la seconda fase, alla fine del 1800, quando sarebbe stata necessaria una maggiore disponibilità di mano d’opera istruita e che, a causa della scarsa attenzione prestata al fattore educativo nella prima fase, l’Inghilterra si trovò svantaggiata rispetto ai late-comers.

misurare il contributo dell’istruzione alla crescita hanno dato risultati assai modesti68. In secondo luogo i sistemi educativi e gli investimenti pubblici in istruzione darebbero spesso risultati inefficienti, producendo competenze non adatte o non necessarie alla crescita del sistema economico69.

Nonostante le critiche spesso fondate e la necessità di valutare il rapporto tra istruzione e sviluppo economico caso per caso, con una maggiore attenzione alle specificità dei contesti storici, sociali e istituzionali, l’ipotesi di Cipolla non ha tuttavia perduto il suo fascino esplicativo e la sua valenza concreta, come dimostra la crescente attenzione rivolta all’istruzione, e in particolare a quella delle fasce più deboli della società, come le donne, da agenzie internazionali come l’UNDP (United Nations Development Programme) che si occupano di progetti di sviluppo per i paesi poveri70. La posizione forse più equilibrata a questo riguardo è quella che giudica l’istruzione un fattore di per sé non sufficiente a mettere in moto alcun tipo di crescita economica, e tuttavia ritiene che livelli troppo bassi di alfabetizzazione (e successivamente di altri gradi di istruzione) costituirebbero un freno potente allo sviluppo, giacché un’economia avanzata richiede competenze tecniche, innovazioni tecnologiche, sistemi amministrativi e comunicativi altrettanto avanzati71. Non bisogna infatti sottovalutare il fatto che una sistema capitalistico sviluppato produce una progressiva burocratizzazione e spersonalizzazione delle transazioni e delle relazioni per le quali un’alfabetizzazione funzionale diventa un requisito indispensabile72.

68 Nei paesi scandinavi, per esempio, l’istruzione e l’alfabetizzazione avrebbero contribuito alla crescita

economica in modo assai meno significativo dei più classici fattori di sviluppo come il commercio internazionale, i flussi di capitale e le migrazioni (O’ Rourke K.H. e Williamson J.G., 1995).

69 Barbagli M., 1974 ; Pritchett L., 1995.

70 In particolare è dall’inizio degli anni ’90 del secolo scorso che l’UNDP ha promosso una serie di studi

sulla rivisitazione del concetto e delle misure dello sviluppo, che comporta anche una nuova valutazione di alcuni indici come la mortalità infantile, la morbidità e l’istruzione. Si veda per esempio: Rapporto su

LO SVILUPPO UMANO. Come si definisce, come si misura, Rosenberg e Sellier, Torino, 1992, a cura dell’UNDP (tit. orig. Human Development Report 1990, Oxford, Oxford University Press, 1990).

71 Vincent D., 2000. p. 85.

Documenti correlati