• Non ci sono risultati.

Capitolo 3. L’avvio del sistema scolastico pubblico: un esordio stentato.

2. La riforma scolastica pratese e l’avvio del sistema scolastico pubblico.

In un primo momento, comunque, la classe dirigente pratese tentò di agire tempestivamente in campo scolastico, anticipando le mosse sia del governo provvisorio toscano che del futuro governo italiano, dal momento che, proprio durante gli eventi rivoluzionari del 1859-60, non era mancata la consapevolezza della profonda insufficienza del sistema scolastico pratese rispetto ai cambiamenti dei tempi e alle trasformazioni nella vita sociale, politica ed economica che ne sarebbero derivati.

Il 18 febbraio 1860, Ciardi, uno dei maggiori esponenti del moderatismo pratese, invitò il consiglio comunale ad affrontare la questione scolastica, poiché l’ignoranza della popolazione pratese risultava ormai scandalosa:

“E la comunità nostra, una delle più ricche per doni di natura, e delle più popolose della Toscana, perché abitata da quasi 36.000 individui, è forse la più incolta, essendo (vergogna, ma pur necessità a dirsi) quasi i tre quarti dei suoi abitanti analfabeti”7

Ciardi aggiungeva che il problema riguardava innanzitutto la popolazione della campagna, che era stata né più né meno abbandonata a stessa. Usando un leitmotiv comune tra la classe dirigente europea contro l’immobilismo e il tradizionalismo delle campagne8, sottolineava come l’ignoranza del contado avesse “ivi perpetuate le antiche abitudini, resa stazionaria l’agricoltura, impedito il progresso materiale e morale”9. Anche in città, comunque, la situazione non era rosea e la diffusissima ignoranza degli operai impediva loro di essere sufficientemente qualificati, o, come diceva lo stesso

7 SASP, Comune, filza n° 811, Atti del consiglio, Proposizione Ciardi relativa alla pubblica istruzione del

18 febbraio 1860.

8 Cfr. Vincent D., 2000, pp. 29 e 30.

9 SASP, Comune, filza n° 811, Atti del consiglio, Proposizione Ciardi relativa alla pubblica istruzione del

Ciardi, di saper dirigere autonomamente le braccia come facevano gli operai inglesi, francesi e belgi. L’ultimo degli operai dei lanifici di Sedan, secondo Ciardi, avrebbe potuto essere il direttore di una delle fabbriche pratesi. Concludeva affermando che l’istruzione avrebbe aiutato sia gli operai sia i contadini a far meglio il loro lavoro, a usare meglio il loro tempo e i loro guadagni.

Se la proposta di un maggiore impegno nell’istruzione pubblica costituiva un’oggettiva novità rispetto all’immobilismo del periodo preunitario, è anche vero che la posizione di Ciardi era perfettamente congruente con le linee prevalenti della politica educativa emerse in Toscana nei decenni precedenti, ovvero con una concezione dell’istruzione considerata come mero strumento di miglioramento della qualità della forza lavoro. D’altronde tale posizione non era isolata, visto che il principale esponente dello schieramento democratico, Giuseppe Mazzoni, appoggiava il Ciardi, aggiungendo come fosse auspicabile che Prato si muovesse con sollecitudine in quell’ambito, senza aspettare il futuro intervento piemontese. Il giudizio di Mazzoni sull’operato del governo piemontese era, in effetti, immotivatamente e pregiudizialmente severo, dal momento che secondo lui i quattordici anni di costituzione vissuti dal Regno di Sardegna avevano prodotto ben pochi risultati in ambito educativo10. Le posizioni di Ciardi e di Mazzoni delineavano a livello locale le linee essenziali di quello scontro tra i toscani, ed in particolare i fiorentini e i pratesi, e il governo centrale che si sarebbe acceso di lì a poco sul terreno della pubblica istruzione.

In effetti, in quegli stessi mesi il governo provvisorio toscano andava ponendo le basi del lungo contenzioso tra toscani e piemontesi11, con la pubblicazione di una legge di riordinamento della scuola pubblica, che, lungi dall’accogliere i punti più innovativi della Casati emanata l’anno prima in Piemonte, era oggettivamente più simile alla legge granducale del 185212.

L’unica sostanziale differenza tra la legge Ricasoli – Ridolfi del 10 marzo 1860 e quella granducale di otto anni prima, oltre al sistema di controllo non più affidato al personale ecclesiastico ma ad una rete di ispettori nominati dal ministro, era l’obbligo fatto a ciascuna comunità di aprire non solo una scuola maschile, ma anche una scuola

10 SASP, Comune, filza n° 811, Atti del consiglio, Risposta della commissione a Ciardi, a firma di

Giuseppe Mazzoni, 21 febbraio 1860.

11 Cfr. Raicich M., 1981 pp. 32 e sgg .; De Fort E., pp. 69 e sgg. 12 Cfr. De Fort E., 1996, pp. 69 e sgg.

femminile. Per il resto la legge toscana non prevedeva né l’obbligo all’istruzione, né la gratuità della scuola primaria, né lo stipendio minimo per i maestri elementari. A quest’ultimo riguardo, per esempio, l’articolo 12 stabiliva che solo nel caso in cui, volta per volta, l’emolumento assegnato ai maestri fosse ritenuto “cagione di danno all’insegnamento”, il ministro della Istruzione Pubblica sarebbe intervenuto per fissarne uno più adeguato, a cui le comunità avrebbero dovuto uniformarsi. Inoltre, ciascuna comunità era tenuta ad aprire solo una scuola maschile e una femminile, a prescindere dal numero dei suoi abitanti. Anche in questo caso sarebbe stato compito del ministro verificare, caso per caso, se si fosse reso necessario aprirne più di una (art. 5). L’insegnamento privato, su cui gli estensori della legge facevano grande affidamento nella lotta contro l’analfabetismo e l’ignoranza, era libero e tutti i “naturali dello Stato” e “coloro che vi avevano dimora stabile da tre anni” potevano aprire scuole e istituti, su cui i controlli previsti da parte delle autorità erano assai limitati.

Il riordinamento degli studi a Prato fu approvato il 20 ottobre 1860, tenendo in tal modo conto dei contenuti della legge Ricasoli – Ridolfi. Per la verità anche i precetti minimi di quel provvedimento non vennero interamente rispettati e per le bambine non venne istituita nessuna scuola pubblica, poiché le autorità pratesi facevano affidamento sulla presenza del Conservatorio delle Pericolanti. Proprio la costante assenza di interesse per l’istruzione femminile e il vuoto di iniziative pubbliche in questo settore almeno per un decennio, fino all’inizio degli anni ’70, avrebbe attirato su Prato, come vedremo, i reiterati richiami delle autorità centrali.

Il riordinamento13, completato con i regolamenti del 21 marzo 186114, prevedeva dunque in città – nettamente distinta dalla campagna sia per la struttura delle istituzioni scolastiche che per gli stipendi degli insegnanti15 - una scuola femminile solo di primo grado, identificata in un primo momento nel Conservatorio delle Pericolanti, in cui gli insegnamenti impartiti avrebbero dovuto essere la lettura, la scrittura, le quattro operazioni dell’aritmetica, la dottrina cristiana, il cucito, la treccia e l’uso del telaio, a conferma di quel connubio tra scuola e lavoro che costituiva il tratto distintivo della

13 SASP, Comune, filza n° 811, Atti del Consiglio, inserto 3., Rapporto per il riordinamento agli studi

nella Comunità di Prato, 20 ottobre 1860.

14 Ivi, inserti 11 e 13, Regolamenti per le scuole rurali e per le scuole cittadine.

concezione educativa della classe dirigente pratese e toscana. Per i maschi si sarebbero invece dovute riorganizzare le già esistenti scuole comunali, in modo da inserirvi, oltre agli insegnamenti di scrittura, lettura e aritmetica, anche quelli di geografia, storia sacra, storia d’Italia e disegno lineare. Sia per i maschi che per le femmine si proponeva poi, su suggerimento dell’ispettore generale degli studi Lambruschini, l’insegnamento del canto, che avrebbe dovuto elevare e addolcire gli animi degli alunni, dissipando “l’inevitabile fastidio che loro arreca la quasi prigionia della scuola”16.

Diverso era il piano di riordinamento per la campagna, dove venivano previste solo scuole maschili nelle località con più di mille abitanti, fatta eccezione per le parrocchie del Soccorso e di Coiano, la cui prossimità al centro urbano avrebbe consentito ai loro abitanti di accedere alle scuole cittadine. Tra le parrocchie in cui si doveva aprire una scuola maschile era inoltre annoverata Vaiano che, pur contando meno di mille abitanti (ne aveva all’epoca solo 860) era al contrario troppo isolata perché i suoi abitanti potessero frequentare le scuole di qualche altro borgo. Nel complesso le località interessate dai nuovi provvedimenti erano un numero esiguo, 6 sulle circa 40 che facevano parte della comunità, ovvero: Vaiano, Figline, Tavola, Iolo, Galciana, e S. Giorgio a Colonica. La commissione aveva cercato, oltreché di tenere conto almeno della popolazione presente nei diversi borghi, di istituire le scuole per un raggio più ampio possibile all’interno dei confini del comune: Vaiano si trovava all’estremo nord, Figline circa a metà strada tra Vaiano e la città, Galciana, Iolo e Tavola nella parte sudoccidentale e S. Giorgio a Colonica in quella sudorientale. L’unica zona che veniva lasciata priva di ogni istituzione scolastica pubblica era quella montuosa collinare a est del Bisenzio, lacuna che il comune avrebbe provveduto a colmare soltanto dopo più di mezzo secolo con l’istituzione di una scuola a Sofignano nel 1914, in seguito alle ripetute richieste della popolazione e le pressioni del regio vice-ispettore scolastico17.

In queste scuole si sarebbe dovuto insegnare la lettura, i primi rudimenti dell’aritmetica (in particolare le prime quattro operazioni) e lo studio pratico della lingua italiana, limitato alla scrittura di una lettera o di una ricevuta.

16 SASP, Comune, filza n° 811, Atti del Consiglio, inserto 3., Rapporto per il riordinamento agli studi

nella Comunità di Prato, 20 ottobre 1860.

17 ACP, Atti del Consiglio Comunale, filza n° 163, affare 4, Scuole comunali, Istituzione di una scuola a

Tutti i borghi che non superando le mille anime erano rimasti privi della scuola e che data “la loro grande distanza dal luogo ove esisteva una scuola comunale non ne avessero potuto approfittare, avrebbero potuto avanzare una domanda al municipio a mezzo del parroco o del cappellano, o di qualunque altro individuo che avesse voluto assumersi l’istruzione di quel dato popolo, e accettate le condizioni che dal municipio fossero state imposte, avrebbero avuto diritto ad una gratificazione in proporzione del numero e dei diritti degli scolari. Il medesimo sistema sarebbe stato praticato per le scuole elementari per le fanciulle, anche nelle località in cui la popolazione avesse superato le mille anime, e nelle quali dal municipio ne fosse stata dichiarata l’utilità e il bisogno”18. Anche singoli individui che avessero voluto insegnare a leggere, scrivere e far di conto avrebbero potuto far domanda di remunerazione da parte del comune, il quale avrebbe corrisposto, nel caso avesse ritenuto l’individuo degno dell’incarico, una somma massima mensile di 60 centesimi per ogni alunno povero; i figli delle persone benestanti avrebbero dovuto pagare da soli il maestro, concordando direttamente con lui la somma. Per altro un sistema simile di retribuzione valse in un primo momento anche per scuole comunali, dove i maestri erano pagati dal comune in relazione al numero degli alunni poveri che vi si istruivano gratuitamente, mentre i figli dei più ricchi dovevano pagare da soli una somma compresa tra un minimo di 20 e un massimo di 60 centesimi mensili.

Tali regolamenti configuravano, come si vede, un sistema di istruzione misto pubblico – privato, in cui, per la verità, proprio sulle iniziative private, che fossero esse espressione di un ente religioso (come il Conservatorio delle Pericolanti) o di singoli individui, sussidiate o meno dal municipio, si faceva largo affidamento per colmare le larghissime falle che l’intervento pubblico aveva ancora lasciato aperte. Ed invero il concetto di istruzione popolare che si nascondeva dietro questa riorganizzazione non aveva nulla, nemmeno dal punto di vista teorico, dell’universalità che almeno in principio i provvedimenti del governo prima piemontese e poi italiano tentavano di attribuire alla scuola elementare come servizio pubblico e diritto/dovere di tutti: non solo l’assenza dell’obbligo, ma anche la non gratuità, la scarsissima diffusione degli istituti comunali nel contado e la loro assenza totale per la popolazione femminile,

18 SASP, Comune, filza n° 811, Atti del Consiglio, inserto 3., Rapporto per il riordinamento agli studi

nonché il fatto che le norme previste per l’ammissione e la frequenza alle scuole comunali esistenti prevedevano la non automaticità dell’iscrizione per tutti coloro che ne avessero fatta richiesta (il maestro avrebbe dovuto informare l’Ispezione agli studi, prima di ammettere lo studente, il quale avrebbe dovuto rispettare i seguenti requisiti: avere almeno 6 anni, essere pulito “di carne e di testa”, dimostrare di essere vaccinato contro il vaiolo e di non avere altre malattie contagiose, essere vestito dignitosamente).

I regolamenti erano completati dalla specificazione degli orari, che suddividevano le lezioni in due ore e mezza mattutine e due ore pomeridiane, suddivisione oraria sulla quale non sarebbero mancate, come si vedrà, le polemiche, legate alle difficoltà incontrate dai fanciulli lavoratori e da coloro che risiedevano lontano dalla scuola nel frequentare sia la mattina che il pomeriggio.

Documenti correlati