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Il connubio scuola – lavoro nelle iniziative educative della classe dirigente toscana e pratese.

Grafico 2.1. Spesa corrente per l’istruzione pubblica nel comune di Prato: 1841-

6. Il connubio scuola – lavoro nelle iniziative educative della classe dirigente toscana e pratese.

Volendo riassumere i tratti fondamentali dello stato dell’istruzione primaria a Prato e nel Granducato alla vigilia dell’Unità italiana, si potrebbero trarre le seguenti conclusioni. Nonostante che la Toscana non fosse rimasta estranea al movimento di progressiva attenzione che le autorità pubbliche ed ecclesiastiche riservarono all’istruzione soprattutto a partire dal periodo dell’Assolutismo Illuminato, dal punto di vista quantitativo il panorama delle scuole primarie rimaneva desolante alla metà dell’800. I progetti di riforma di Pietro Leopoldo, il sovrano che si era dimostrato più attivo su questo punto almeno sul piano teorico-programmatico, non erano riusciti a concretizzarsi prima del suo passaggio al trono imperiale, e ciò che rimase dell’attivismo leopoldino fu un numero molto esiguo di scuole per il popolo in alcune grandi città toscane, senza che i centri minori e le campagne ne risultassero minimamente toccate.

Neanche la dominazione francese, con il suo portato di idee rivoluzionarie in tema di istruzione, produsse modificazioni di rilievo, per la ristrettezza di tempo e di mezzi e per l’instabilità politica in cui le autorità transalpine, o quelle ad esse legate, si trovarono ad operare. Nell’epoca della Restaurazione, poi, ad una fase liberale in cui alla mancanza

56 Turi G., 1988, p. 1143.

57 Ve ne erano poi altre tre dove si insegnava il francese, la grammatica e il greco.

58 Si trattava spesso di iniziative a breve termine e di conseguenza difficili da censire. L’anno successivo,

per esempio, non risultavano più le scuole di Iolo e Galciana, mentre ne erano sorte di nuove a Pizzidimonte, Tavola, e Mezzana (ASF, Ministero della Pubblica Istruzione e Beneficenza, filza n° 616, Rapporti relativi alle scuole del Granducato, fascicolo “Stato delle scuole di Prato” 1857).

di interventi diretti da parte dello stato era associata una certa propensione a lasciare che la società si attivasse autonomamente, seguì, all’inizio degli anni ’50, una politica più interventista che mirava però non alla diffusione dell’istruzione tra il popolo, ma ad un maggior controllo, attuato mediante il clero, delle realtà scolastiche pubbliche e private.

Durante gli anni di maggior apertura della politica granducale non erano mancati, nella società toscana e nella sua classe dirigente, segnali di movimento per ciò che concerneva l’educazione popolare. Le iniziative dei singoli, tuttavia, erano caratterizzate da sporadicità, disorganicità e soprattutto da un bassissimo livello qualitativo: nel migliore dei casi si trattava di parroci che, oltre al catechismo, insegnavano ai ragazzi un po’ di lettura e scrittura; altrimenti le “scuole” erano tenute da privati cittadini che non avevano nessuna specifica competenza ad insegnare e che, soprattutto se si trattava di donne, potevano anche non essere completamente alfabeti. Accanto a questo tipo di realtà erano fioriti nel corso della prima metà dell’800 tutta una serie di progetti, tentativi, esperimenti educativi per opera di esponenti della classe dirigente toscana, fortemente interessata a promuovere un’istruzione popolare che, più che dotare gli individui delle competenze alfabetiche minime per una gestione autonoma e consapevole della propria vita o delle relazioni con realtà istituzionali e politiche sempre più complesse, doveva formare lavoratori e tecnici specializzati e competenti nell’affrontare le trasformazioni auspicate per l’economia e la società toscana59. Erano per lo più modelli di scuole difficilmente inquadrabili per tipologie e livelli simili a quelli con cui normalmente si intende organizzata la pubblica istruzione:

“scuole non primarie e non secondarie, non solo classiche o fortemente professionalizzanti se tecniche, commisurate ad obiettivi specifici anche ai livelli superiori, ricche a volta a volta di officine, di spazi per il tirocinio pratico, di laboratori, sia che si trattasse di formare negozianti, artigiani e ‘artisti’ qualificati per un commercio e un turismo di lusso, sia che si pensasse ad un personale altamente specializzato in campo agronomico e nella ‘merceologia’, per l’amministrazione dello stato, per le funzioni bancarie e per la carriera diplomatica”60

Il metodo didattico auspicato per questo genere di scuole era per lo più quello del mutuo insegnamento, secondo il quale i ragazzi più esperti dovevano assistere il

59 Alcuni di questi tentativi furono per esempio gli asili infantili dell’Aporti (1829), la società per gli asili

aportiani di Lambruschini (1832), la scuola agraria teorico-pratica di Cosimo Ridolfi nella sua tenuta di Meleto (1835), l’analoga iniziativa di Niccolò Puccini a Scormio, nel pistoiese (1840) (Cfr. Salvadori R.G., 1992, p. 151).

maestro nell’insegnamento a quelli più giovani, metodo fortemente elogiato e propagandato, per esempio, dalla “Guida all’educatore”, il periodico diretto da Raffaello Lambruschini, dal momento che consentiva di educare il popolo “alla virtù, al lavoro, all’industria […] con economia di tempo e di spesa”61.

Il punto di vista prevalente tra la classe dirigente toscana era largamente condiviso anche da quella pratese, secondo la quale l’istruzione doveva essere il frutto dell’attività di beneficenza delle persone benestanti, volta ad aiutare le classi popolari ad acquisire gli strumenti per procacciarsi di che vivere e contribuire al benessere complessivo della società62, più che il prodotto di un’organica politica pubblica. Alcune delle iniziative di punta nella prima metà dell’800 furono infatti ispirate proprio al principio del connubio tra scuola e lavoro, dell’istruzione come strumento di formazione di buoni operai, ai quali sarebbe stato sufficiente apprendere a scrivere, leggere e contare anche solo mediocremente, nonché a quello del mutuo insegnamento, altamente lodato, per esempio, dal liberale pratese Giovacchino Benini come “il più efficace, il più ragionato, il più rapido, e il più economico sistema di istruzione”63. Così le scuole di S. Caterina erano state fondate nel 1816 con precisi intenti produttivi, per insegnare alle fanciulle povere a filare e a tessere, e solo nel 1833 il direttore Gaetano Magnolfi aggiunse alle altre attività anche la possibilità di frequentare la scuola di scrittura e di lettura nelle ore di riposo64. Lo stesso Magnolfi fondò nel medesimo anno un asilo, dove le bambine più piccole erano educate ai principi della religione cattolica e ai lavori manuali, prima di passare alle scuole di S. Caterina alle quali l’asilo era annesso. Analoghe erano le finalità da lui attribuite nel 1838 all’Orfanotrofio maschile, dove gli elementi essenziali dell’istruzione erano funzionali, accanto all’educazione religiosa, all’insegnamento di “qualche arte per rendersi utili a sé ed alla società”, di fabbro, tessitore, falegname e calzolaio65. Sempre all’insegna del connubio lavoro – istruzione e del mutuo insegnamento fu la scuola istituita nella sua manifattura dall’imprenditore Giovan

61 Luigi Bracciolini, in “Guida all’educatore”, VI, 1841, p. 37, cit. in Turi p. 1143.

62 Cfr. Ciuffoletti Z., 1988, pp. 1247-48. Per esempio, il nobile proprietario terriero Giuseppe Vai,

discendente di una delle più antiche famiglie della città, nell’agosto del 1834 illustrò all’Accademia dei Georgofili come la ripresa economica della città, in quel momento in crisi, non poteva andare disgiunta dai programmi di rinnovamento degli istituti di assistenza, di educazione e di controllo delle classi meno abbienti.

63 Giovacchino Benini all’Accademia degli Infecondi, citato da Turi G., 1988, p. 1143. 64 Turi G., 1988, p. 1144.

65 Cfr. Papi R., Gaetano Magnolfi e l’orfanotrofio tecnologico, Prato, 1967, p. 19, cit. in Turi G., 1988, p.

Battista Mazzoni, colui che aveva tentato all’inizio degli anni ’20 di introdurre a Prato la lavorazione meccanica del cotone66.

Questo genere di esperienze educative, improntate ad un paternalismo filantropico che difficilmente sfociava in un’azione politica organica a favore dell’istruzione popolare, produsse ben pochi frutti dal punto di vista dello sviluppo dell’alfabetizzazione, stando ai dati del censimento del 1841, secondo il quale, come si è visto, appena un quinto della popolazione pratese era in grado di leggere e scrivere67.

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