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Capitolo 2. Scuola e alfabeto nel periodo preunitario: un desolante deserto.

4. La dominazione francese e la Restaurazione.

Sotto i suoi successori, tuttavia, la situazione rimase immutata. Un tentativo di riforma che andava nella stessa direzione del progetto di Pietro Leopoldo fu attuato durante gli anni della dominazione francese, realizzatasi in Toscana prima indirettamente attraverso la costituzione del Regno d’Etruria affidato a Ludovico di Borbone (1801-1807), poi attraverso l’annessione all’impero francese (1807-1809) e infine con la ricostituzione del Granducato affidato alla sorella di Napoleone Luisa Baciocchi. Si tratta di una fase assai poco conosciuta dal punto di vista dello sviluppo

35 In un primo momento Pietro Leopoldo aveva visto di cattivo occhio il monopolio del clero

sull’istruzione, considerando gli ecclesiastici non adatti all’educazione della nazione, dato che non tenevano in nessun conto lo stato. Questa pregiudiziale venne poi abbandonata anche per motivi di ordine pragmatico, vista la difficoltà di reclutare un numero adeguato di insegnanti tra i laici, e lasciò il posto alla figura del parroco-pastore, che doveva prendersi cura del bene materiale e morale dei suoi fedeli, e rappresentava il punto di congiunzione tra lo stato che si occupava del bene collettivo e la chiesa che aveva a cuore la salvezza individuale (Calogero T., 1987, p. 181).

36 Ivi, p. 195. 37 Ivi, p. 187.

dell’istruzione, anche se è certo che in quegli anni le comunità toscane furono sottoposte agli stessi obblighi che vigevano nel resto del territorio italiano controllato dai francesi38 e che sostanzialmente imponevano a ciascuna comunità di aprire almeno una scuola primaria, a cui i bambini dovevano essere inviati obbligatoriamente e gratuitamente. Si sa poco dell’impatto pratico che tali norme ebbero39, e tuttavia non dovette essere di grande rilievo a giudicare dallo stato della pubblica istruzione lasciato in eredità al periodo della Restaurazione. Le autorità francesi ebbero in effetti poco tempo e pochi mezzi per costruire quasi dal nulla un sistema scolastico pubblico nella regione.

Di fatto al tempo dei granduchi restaurati il panorama toscano presentava un desolante “deserto di scuole” a cominciare dalla sua capitale40 e dalle scuole primarie. Alla metà dell’800 dei 1.420 iscritti alle scuole fiorentine degli Scolopi solo 410 erano iscritti a quelle di primo grado41. Non migliore era la situazione nel resto del Granducato stando alle stime di Zuccagni Orlandini secondo il quale la percentuale di frequentanti le scuole nella fascia d’età compresa tra i 7 e 18 anni era del 12% per i maschi e dell’8,1% per le femmine42. Per altro l’iniziativa pubblica a favore dell’istruzione fu, in quegli anni, del tutto assente. Non che mancasse nella classe dirigente toscana l’interesse nei confronti dell’istruzione, che anzi, come si è già avuto modo di accennare, era piuttosto spiccato. Tuttavia i moderati toscani avevano un precisa concezione della scuola come materia che doveva essere lasciata il più possibile all’azione dei privati, essendo l’intervento dello stato o dei comuni considerato invadente e scandaloso43, e per ciò che riguardava l’istruzione popolare essa doveva essere intessuta di educazione e di apprendistato al lavoro, prima ancora che fornire una solida istruzione di base, essendo necessario assicurare che gli allievi fossero restituiti allo stato sociale da cui provenivano. Non mancarono infatti in quegli anni asili, scuole di mutuo insegnamento e di arti e mestieri promosse da apposite società di azionisti, riviste per gli educatori e manuali per le scuole, opuscoli, almanacchi, che dovevano, secondo gli esponenti del moderatismo toscano più attivi sul tema dell’educazione

38 Cfr. Genovesi G., 1998, p. 13.

39 Si sa, per esempio, che a Prato fu aperta per la prima volta una scuola pubblica nella frazione di Vaiano

(SASP, Comune, filza n° 811, Officiali, Lettera dei tre ispettori delle scuole al gonfaloniere, 18 febbraio 1862).

40 Soldani S., 1990, p. 194. 41 Ivi, p. 198.

42 Zuccagni Orlandini, Ricerche e statistiche sul Granducato di Toscana raccolte e ordinate da Attilio

Zuccagni Orlandini, tomo primo, Firenze, 1848, pp. 203-214.

(Viesseux, Lambruschini, Ridolfi, Capponi, etc..), rimettere in moto la sonnolenta società toscana. Tuttavia dal punto di vista quantitativo questo tipo di iniziative ebbe una dimensione molto limitata, non essendo sostenuto da un progetto di costruzione sistematica di una rete di scuole che coinvolgesse tutta la popolazione. Lo si vide bene al momento del primo censimento unitario, nel 1861, quando i tassi di analfabetismo della provincia fiorentina si aggiravano intorno al 76% per i maschi e all’85% per le femmine, mentre dentro i confini della capitale si arrivava rispettivamente al 42% per i maschi e al 62% per le femmine:

“Cifre che […] risultano pesanti come macigni se lette sullo sfondo delle speranze e delle pretese di egemonia sin lì coltivate dal gruppo moderato nel nome delle benemerenze acquisite – sul piano operativo, e non solo culturale – in cinquant’anni di battaglie volte a diffondere il gran principio della libertà di iniziativa in quanto via maestra per stimolare lo spirito d’intrapresa e di emulazione, oltre che per dare alle scuole il giusto colorito locale”44

Il governo granducale intervenne in quell’epoca con molta lentezza, pari all’interesse e alla cura che si voleva riservare all’istruzione popolare. Se almeno fino 1848 l’attitudine prevalente dei sovrani restaurati fu caratterizzata da una mancanza di interventismo che sottintendeva però la possibilità di lasciar fiorire le eventuali iniziative dei privati, dopo quella data, alla luce degli avvenimenti rivoluzionari del 1848, prevalse la paura per gli eventuali effetti destabilizzanti della diffusione dell’istruzione tra il popolo e la volontà di fare delle scuole e degli insegnanti dei meri strumenti di controllo poliziesco e di mantenimento dell’ordine pubblico.

Non era mancato, per la verità, prima di allora un progetto di riforma che mirava alla riorganizzazione dell’intero sistema scolastico del Granducato e che però, come si è visto dalle parole di Zuccagni Orlandini, partiva dal livello universitario destinando alle scuole elementari poca attenzione. Gli sconvolgimenti del ’48 suggerirono poi un mutamento di rotta grazie al quale si approdò alla legge 30 giugno 1852 che, lungi dall’allargare il sistema scolastico primario, aveva come obiettivo fondamentale quello di rafforzare il controllo governativo ed ecclesiastico su tutti gli ordini di scuole, anche quelle minori e quelle private. Il fine supremo dell’istruzione era “l’educazione morale fondata sui dommi e le verità della Religione Cattolica” (art.1); tutte le scuole, sia pubbliche che private, erano sottoposte al controllo governativo mediante ispettori (art.

42); i vescovi erano “ispettori nati” di tutte le scuole della loro diocesi, incarico che potevano esercitare anche per mezzo dei parroci o di altri ecclesiastici a loro scelta (art. 44). L’unica novità prevista per ciò che concerneva la diffusione delle scuole era l’obbligo di istituire una scuola maschile minore in ogni luogo dove la popolazione superasse le mille anime, anche qualora ve ne fosse più di uno nello stesso comune. Ma da questo punto di vista la legge rimase largamente inapplicata45, mentre l’insegnamento pubblico per le bambine non era previsto affatto.

Anche l’atteggiamento adottato nei confronti delle scuole private rilevava la considerazione in cui era tenuta la scuola popolare: ogni toscano cattolico che avesse voluto aprire una scuola poteva farlo purché presentasse domanda alla prefettura accompagnata da documenti che certificassero “la buona condotta religiosa, morale e politica”, “senza che perciò si richieda matricola o diploma di idoneità” (art. 67). Per altro in assenza di qualsiasi movimento nel settore pubblico, fu proprio da parte dei privati che vennero i maggiori stimoli, come rivelano i registri delle suppliche per aprire scuole inviate alla prefettura46. Si tratta di dati molto generici, che non consentono né di capire il livello qualitativo di tali scuole, che doveva essere comunque molto basso vista la mancanza di obbligo ad essere abilitati all’insegnamento47, né quello quantitativo, e che tuttavia consentono di segnalare un’esigenza più o meno diffusa nella società di colmare i vuoti lasciati dall’immobilismo delle autorità pubbliche.

La serie di rapporti e relazioni sull’andamento delle scuole del Granducato, cui le direttive della legge del 1852 sull’attività di controllo dette luogo, conferma l’attenzione quasi esclusiva riguardo agli aspetti di ordine pubblico relativi alle scuole. I rapporti che i prefetti inviavano al ministro della Pubblica Istruzione erano infatti infarciti di commenti sulla condotta morale e politica degli insegnanti, mentre molto più limitate erano le informazioni sugli aspetti didattici48.

45 Cfr. Turi G., 1988, p. 1142

46 ASF, Ministero della Pubblica Istruzione e Beneficenza, Suppliche, registro n° 589. Solo nel

compartimento fiorentino nel 1855 nel arrivarono 35. L’anno dopo il Ministero concedeva il permesso di aprire altre 150 nuove scuole private nel compartimento fiorentino (ASF, Ministero della Pubblica

Istruzione e Beneficenza, Studi, Registro di affari n° 412, 1856)

47 Tra l’altro l’unico obbligo didattico previsto dalla legge era quello del catechismo (art. 72)

48 Nel rapporto riassuntivo del Ministro relativo al periodo gennaio – agosto del 1853 si legge, per

esempio: “A nessuna osservazione richiamano le Scuole del Compartimento fiorentino, dove tutto procede in modo regolare. Nel Compartimento di Lucca si ha notizia di due maestri comunitativi; l’uno trascurato, a quanto sembra per cattiva salute; l’altro sospetto di abitudini dissipate e di conversare con persone di non sani principi politici. [...]. Tutto procede nel modo debito nel Compartimento di Siena, se si eccettui la Scuola di Cetona, ove i due Sacerdoti, Maestri incaricati dell’insegnamento, voglionsi

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