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Capitolo 1. Alfabetizzazione e istruzione elementare: un excursus storico e storiografico tra l’Europa, l’Italia e la

10. La domanda popolare di istruzione in Italia: un problema storiografico.

Si è sottolineato all’inizio di questo capitolo come la storia dell’alfabetizzazione e della scolarizzazione non possa essere limitata in alcun modo a quella delle istituzioni che le hanno, con maggiore o minore incisività, promosse, poiché in tal modo si dimentica innanzitutto uno degli attori principali di questo processo, ovvero l’insieme degli individui che imparano a leggere, scrivere e far di conto e che vanno a scuola, ed in secondo luogo l’insieme dei fattori economici, sociali e culturali che influiscono sui ritmi del processo. Ho inteso trattare separatamente questo aspetto rispetto a quello relativo all’intervento statale, non solo per chiarezza espositiva, ma anche perché la letteratura scientifica in Italia è tuttora piuttosto povera da questo punto di vista.

A questo proposito è opportuno aprire una parentesi di ordine storiografico. Lo studio della domanda di istruzione popolare, ovvero un’analisi della presenza, della consistenza e dell’espressione del bisogno di istruirsi da parte delle classi popolari, è

120 Si trattava comunque di un regime semistatale, visto che i comuni erano in ogni caso tenuti a versare

annualmente allo stato “l’ammontare delle spese obbligatorie e facoltative per stipendi, aumenti sessennali e miglioramenti di carriera, retribuzioni, supplenze, gratificazioni, assegni ordinari di qualsiasi natura al personale direttivo e insegnante, ammontare liquidato e consolidato nella somma corrispondente allo stanziamento complessivo maggiore inscritto per le suddette spese nel bilancio comunale degli anni 1910 e 1911” (art. 17).

uno dei temi più trascurati nella storiografia italiana che si è occupata di scuola e di alfabetizzazione, cosa di cui si possono rintracciare diversi motivi. In primo luogo è l’argomento stesso a porre una serie di ostacoli materiali agli storici: se è in qualche modo possibile dare una valutazione indiretta del livello della domanda di istruzione attraverso metri quantitativi, ricavandolo, per esempio, dal livello di scolarizzazione relativa (confronto tra presenza di scuole e iscrizioni scolastiche su diversi territori)122, è però difficile ricercare i motivi, i bisogni che spingevano le persone ad istruirsi, dal momento che di questo genere di informazioni i documenti del passato sono molto avari. Nel caso italiano, però, ha pesato anche un motivo di ordine culturale, ovvero la larga preferenza accordata dalla storiografia italiana alla dimensione pedagogica e a quella politico istituzionale della storia della scuola, e la parallela trascuratezza nell’indagine degli aspetti connessi alla vita materiale e alle implicazioni sociali ed economiche della diffusione dell’istruzione e dell’alfabetizzazione. Si tratta di una carenza sulla quale gli stessi storici italiani si sono spesso trovati a riflettere.

Nell’ormai lontano 1973 Giuseppe Recuperati lamentava l’assimilazione della storia della scuola ad una “frigida storia delle istituzioni o delle dottrine pedagogiche”123 ed ancora dieci anni dopo ritornava sull’argomento124 sottolineando come i tentativi di emancipazione dall’impostazione idealistica, operati nel passato da storici come Bertoni Jovine, Borghi, Talamo125, non erano tuttavia riusciti a dare alla storia sociale della scuola italiana una consistenza paragonabile a quella delle contemporanee esperienze francesi e inglesi126. Dopo un altro decennio Cambi individuava ancora nella “scarsa specializzazione” e nella “dipendenza dall’ideologia” una delle caratteristiche costanti della storiografia italiana sulla scuola, “spesso poco sensibile agli aspetti statistici o a quelli economici o a quelli di vita materiale e quotidiana, poco attenta ora alla specificità della scuola, ora alla sua necessaria contestualizzazione”127. Cambi attribuiva queste tendenze al fatto che la storia della scuola aveva trovato cultori tra teorici della pedagogia, politici, amministratori o uomini di scuola, piuttosto che tra gli storici puri,

122 Cfr. Núñez C.E., 1992, p. 225 e sgg. 123 Ricuperati G., 1973, p. 1732. 124 Recuparati G., 1982.

125 Bertoni Jovine D., 1954 e 1958; Borghi L., 1951 e 1958; Talamo G., 1960.

126 Ricuperati citava in particolare l’ampio rilievo dato alla storia sociale della scuola dalla rivista Past

and Present in Inghilterra e dalle Annales in Francia. Per quest’ultima si soffermava in particolare sui

caratteri innovativi e parzialmente provocatori del lavoro di Furet et Ozouf (1977).

ed assegnava dunque agli storici italiani il demerito di essersi occupati poco della scuola, piuttosto che quello di essersene occupati da un punto di vista molto limitato.

Ma qualche anno dopo Ragazzini, in un saggio intitolato significativamente “Silenzi, tendenze e problemi della storiografia”128, richiamava gli storici all’assunzione diretta di responsabilità rispetto ad una sorta di occultamento operato nei confronti delle dinamiche sociali del processo educativo, dovuto ad un’evidente predilezione nei confronti dei temi della storia della politica scolastica, della storia della pedagogia e della storia delle istituzioni129. L’autore andava oltre, sottolineando come alla consapevolezza di molti storici rispetto a questa situazione non fosse seguito un deciso cambiamento di rotta e come rimanesse “una certa divaricazione tra le dichiarazioni d’intenti (chi non è favorevole alla storia sociale?) e le pratiche storiografiche di fatto”130.

I motivi di questa tendenza andavano ricercati, a suo parere, innanzitutto nel fatto che la percezione del problema educativo tra gli storici italiani fa perno sul problema istituzionale scolastico, che a sua volta è strettamente legato al costituirsi, tutto sommato recente, dell’Italia in nazione. La vicinanza nel tempo di un evento così centrale della storia italiana avrebbe, in altri termini, condotto gli studiosi a privilegiare la dimensione politica degli sviluppi istituzionali, tra i quali anche quelli legati all’istruzione e all’educazione131. A questa spiegazione Ragazzini aggiungeva lo scetticismo nutrito da molti storici italiani nei confronti dell’approccio multidisciplinare proveniente soprattutto dall’esperienza delle Annales e della “nouvelle histoire”, così intrinsecamente legato allo studio della lunga durata, che configurava secondo molti la storia sociale come strumento di indagine più efficace nella spiegazione dei perché e dei come della continuità piuttosto che di quelli del cambiamento. E dati i recenti sviluppi della storia italiana, era il cambiamento l’aspetto che appariva più interessante.

Anche una studiosa francese, Marie-Madeleine Compère, in un’analisi comparativa delle tendenze di diverse storiografie nazionali sull’istruzione a livello europeo, si è

128 Ragazzini D., 1994.

129 Tale occultamento emergeva da uno studio statistico sulla distribuzione quantitativa degli ambiti di

ricerca di 814 testi di storia dell’educazione pubblicati in Italia tra il 1985 e il 1986.

130 Ragazzini D., 1994, p. 79.

131 Lo stesso Ricuperati apriva il saggio relativo alla storia dell’istruzione nella storiografia

contemporanea, in cui fra l’altro si soffermava sulle carenze della storiografia italiana nel campo degli aspetti sociali, dicendo “La storia dell’istruzione è un genere di ricerca che ha sempre avuto una forte valenza politica”. Ricuperati G., 1982, p. 71.

soffermata su queste caratteristiche della storiografia italiana, attribuendole ad una dipendenza del sistema scolastico e dell’insegnamento pedagogico in Italia dal modello tedesco, a sua volta impregnato di riflessione teorica più che di analisi concreta, nonché al ruolo politico e civile attribuito alla scuola e in particolare ai maestri nella costruzione dello stato nazionale132.

A queste spiegazioni se ne possono forse aggiungere altre due. Una, più semplice e schematica, consiste nel fatto che la presenza di un analfabetismo quasi universale in gran parte della popolazione italiana alla vigilia dell’Unità nazionale e la sua costante, benché lenta, riduzione negli anni successivi all’intervento del nuovo stato, possono aver indirizzato l’attenzione degli storici molto più sul momento istituzionale della storia dell’istruzione che su quello sociale. La scolarizzazione e l’alfabetizzazione risulterebbero infatti, ad un primo sguardo, trasformazioni calate e quasi imposte dall’alto ad una società refrattaria, che, fatta eccezione per alcune zone del settentrione, non aveva autonomamente sviluppato nessun elemento favorevole alla loro diffusione. Che la situazione fosse in realtà più complessa è stato suggerito da alcuni studi recenti su cui tornerò più avanti ed è uno dei punti che questa tesi vuole dimostrare.

L’altra è di carattere generale, relativa cioè alla storiografia italiana nel suo complesso e non solo a quella che si è occupata della scuola o dell’alfabetizzazione. Daniela Coli, in un saggio ormai non recente ma illuminante sui rapporti tra idealismo e marxismo nella storiografia italiana133, indicava nel privilegio accordato alla dimensione etico-politica un tratto dominante di entrambe le principali correnti storiografiche tra gli anni ’50 e ’60. In effetti, anche gli storici che si richiamavano al marxismo134 fondavano la loro identità su una contrapposizione rispetto alla storiografia idealistica di carattere più politico–ideologico che metodologico–euristico, cosa che in parte dipendeva dal fatto che nella maggior parte dei casi i marxisti italiani, a partire da Gramsci, erano, per formazione, influenzati dai maggiori esponenti dell’idealismo in Italia, Croce e Gentile.

Dunque gli storici marxisti si differenziavano dalla storiografia ufficiale per la scelta dei temi, nettamente caratterizzati dall’adesione al comunismo dei suoi esponenti (la storia del movimento socialista in primo luogo), o per una diversa rappresentazione,

132 Compèere M.M., 1995, pp. 21-23. 133 Coli D., 1989.

134 La Coli cita Franco della Peruta, Gastone Manacorda, Giuliano Procacci, Pasquale Villani, Rosario

decisamente più critica, della storia italiana dell’800 e dell’operato della sua classe dirigente. Tendenzialmente lo stesso era però l’interesse di base, ovvero la dimensione politica di tutti i fenomeni storici, con una particolare attenzione alla storia dell’azione politica delle élites, sia quelle che avevano governato le sorti del paese dall’Unità in poi, sia quelle che avevano diretto i movimenti di opposizione, e, di riflesso, simili per molti aspetti erano le metodologie e le fonti utilizzate. Si trattava molto spesso di studi fondati sull’analisi della stampa, di carteggi, editi o inediti, di documenti di partito o istituzionali.

“Perfino il lavoro di Elio Conti che tentava di analizzare la base sociale del socialismo fiorentino, aveva il limite […] di basarsi unicamente sull’archivio della Questura, ricostruendo gli avvenimenti sui rapporti di polizia, fonti certamente parziali e inadeguate, se non integrate con altre, per comprendere una situazione sociale”135

Dunque si rimaneva nell’ambito della storia politica tradizionale, che si distingueva da quella idealistica soltanto ideologicamente. Questa impostazione di base, nonostante le eccezioni citate dalla stessa Coli136, il successivo confronto con la storia sociale delle Annales soprattutto attraverso l’esperienza della rivista “Quaderni Storici”, la presa di consapevolezza di tali carenze fondamentali, deve aver pesato fino ad anni recenti anche sulla storia della scuola e dell’istruzione, come, tra l’altro, la riflessione di Ragazzini dimostra. Ad un’attenzione molto maggiore nei confronti degli aspetti politici, istituzionali e ideologici, che sarebbe in ogni caso perfettamente legittima, si aggiunge poi in molti lavori una certa propensione a dar conto della risposta popolare all’attività del governo o dei comuni, attraverso lo sguardo delle istituzioni e delle élites politiche. Non per nulla molti degli storici che si sono occupati della scuola hanno assunto con troppa facilità il punto di vista prevalente tra gli uomini politici dell’epoca, secondo il quale l’azione dello stato italiano, per quanto carente e contraddittoria sotto molti aspetti, era tuttavia troppo avanzata rispetto ad una società estremamente arretrata e ad una popolazione che, per la maggior parte stretta tra i problemi della miseria quotidiana, non attribuiva nessun valore all’istruzione e faceva di tutto per evadere le regole imposte dall’alto. Ancora di recente, in un lavoro sulla storia della scuola italiana dal 1700 ad oggi, Giovanni Genovesi, soffermandosi sulle difficoltà incontrate dallo stato nel promuovere l’istruzione popolare, affermava:

135 Coli D., 1989, p. 49.

“Non bisogna dimenticare una delle remore più grosse: l’endemica miseria delle classi popolari che, assillate dai problemi della sopravvivenza, non riescono ad annettere nessun valore alla scuola, ma anzi la vedono come un disturbo in più. Un’istituzione come la scuola, che per sua natura mira alla coltivazione di quanto non è immediatamente necessario per la sopravvivenza, non può essere ben accolta da chi è in condizioni di pensare e agire solo per soddisfare i bisogni primari” 137.

Che questa visione semplifichi e schematizzi eccessivamente la realtà non rendendo conto delle reali dinamiche sociali sottese al processo di diffusione della scolarizzazione e dell’alfabetizzazione è però un fatto che alcuni studi recentemente hanno cominciato a far emergere anche in Italia, come si è precedentemente accennato. Marina Roggero138, per esempio, pur riconoscendo come sia difficile dare una risposta chiara ed univoca alla questione dell’importanza rivestita dall’istruzione per i gruppi popolari, ha evidenziato segnali non irrilevanti di una domanda di istruzione proveniente dal basso fin dal periodo a cavallo tra XVIII e XIX secolo. Molto spesso questi segnali arrivano a noi filtrati attraverso la documentazione amministrativa e burocratica (censimenti, inchieste, registri), ma “capita […] talora di scoprire, nell’arida e ripetitiva congerie di testi prodotti dalla burocrazia, un esposto avanzato da ‘villici, che non hanno altri modi di sussistenza che quelli tratti da’ propri sudori’; e di decifrare con qualche emozione, sul rovescio del foglio, le firme faticosamente disegnate, i segni di croce vergati da contadini analfabeti in cerca di scuole per i propri figli”139.

L’autrice precisa in modo efficace che non si trattava di una domanda di istruzione decisa, coerentemente motivata e omogenea dal punto territoriale e sociale, e soprattutto congruente con un’offerta sempre più strutturata e istituzionalizzata. Un elevato numero di fattori contribuivano a frantumarla in modo tale da renderla poco evidente. Innanzitutto anche all’interno delle classi popolari c’era chi non poteva affatto permettersi di pagare piccole rette al maestro o le tasse scolastiche. Poi la difficoltà delle comunicazioni e la distanza dalle scuole, il fastidio per un sapere percepito come qualcosa di estraneo rispetto a quello tradizionale, la necessità di ricorrere al lavoro dei bambini erano tutti fattori che tendevano a limitare una crescita rapida della scolarizzazione e dell’alfabetizzazione, soprattutto nelle campagne. E tuttavia nel

137 Genovesi G., 1998, p. 14. 138 Roggero M., 1998. 139 Ivi, p. 302.

quadro di una serie di testimonianze contraddittorie o discordanti non si può sottovalutare l’emergere di un progressivo interesse popolare verso la cultura scritta e la presenza di “varie e segmentate richieste d’insegnamento”140: quella della lettura o quella della dottrina cristiana, quella della scrittura o quella dell’aritmetica.

Ester De Fort ha svolto considerazioni per certi versi simili per il periodo compreso tra fine del 1800 e l’inizio del 1900141. Anche in questo caso emergono dalle relazioni degli ispettori, dalle testimonianze dei maestri, dalle inchieste ministeriali segnali della presenza di una domanda di istruzione i cui fini, semmai, non coincidevano con quelli proposti dall’alto. Non si deve infatti dimenticare un elemento cruciale nella valutazione della presenza e della consistenza di questo fenomeno, ovvero il fatto che gli individui accedevano alla scuola sulla base di una scelta volontaria, dal momento che in larghissime zone del territorio italiano la legislazione sull’obbligo ebbe una applicazione assai scarsa, per non dire nulla.

Entrambe le studiose, poi, avendo condotto delle indagini sull’intero territorio nazionale nelle quali risulta assai difficile dare un quadro preciso ed una valutazione sistematica dei fattori sociali che rallentavano o acceleravano la diffusione della scolarizzazione e dell’alfabetizzazione, richiamano a questo proposito l’attenzione sull’importanza degli studi locali, a maggior ragione per un paese come l’Italia caratterizzato da un’estrema varietà dei contesti socio-economici, culturali e territoriali. Ed in effetti anche su questo fronte la storia della scuola italiana è tuttora piuttosto povera. E’ vero che a partire dalla fine degli anni ’70 l’interesse per questo ambito di studi è cresciuto, come dimostrano una serie di lavori sull’istruzione popolare in Sicilia, in alcune provincie romagnole, nella terra d’Otranto, nella Val di Cornia, a Siena142. Tuttavia il panorama complessivo non ha ancora consentito una sintesi organica sugli aspetti sociali della diffusione dell’istruzione a livello nazionale.

140 Ivi, p. 312. 141 De Fort E., 1995.

142 Bonetta G., 1981 per la Sicilia dell’800; Pivato S., 1983 per la Romagna; Semeraro A., 1984 per la

terra d’Otranto; Ulivieri S., 1985 per la Val di Cornia; Resti G., 1987 per il senese. Si tratta tuttavia nella maggior parte dei casi, con l’eccezione di Bonetta per il caso siciliano e quella di Pivato per la Romagna, di lavori estremamente descrittivi e poco propensi ad utilizzare i dati locali per vagliare, anche se da un punto di vista limitato, ipotesi di carattere generale. Oltretutto anche il lavoro di Pivato riproduce in parte quello squilibrio, tipico come si è visto di gran parte della letteratura italiana, nell’attenzione agli aspetti politico – istituzionali rispetto a quelli socio-economici, come dimostra il larghissimo spazio accordato alla questione dell’istruzione religiosa e al rapporto tra socialisti e cattolici nell’amministrazione della scuola.

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