Capitolo 2. Scuola e alfabeto nel periodo preunitario: un desolante deserto.
3. La politica scolastica di Pietro Leopoldo.
Stando alla descrizione che alcuni osservatori dell’epoca davano del sistema scolastico granducale, la situazione pratese non era isolata. Bettino Ricasoli descriveva così la condizione dell’istruzione in Toscana nel 1847:
“L’istruzione privata non è incoraggiata, la pubblica imperfetta. L’insegnamento elementare manca, manca il secondario; così l’universitario è la cima di una piramide senza base”30.
L’anno successivo Zuccagni Orlandini, incaricato di redigere una relazione sul progetto di riforma dell’istruzione pubblica varato da una commissione istituita all’uopo dal Granduca nel 1846, osservava:
“Si seppe in seguito che le riforme incominciavano nelle due Università; e per vero dire quella misura eccitò molta sorpresa, non potendosi comprendere come mai i restauri dell’edifizio istruttivo avessero principio, non già dalle fondamenta meritevoli di ricostruzione, ma invece dalle volte superiori e col sopraccaricarle di peso, sebbene gravitanti sopra sostegni di poca solidità, perché sorretti da basi rese dal tempo quasi inservibili”31
Tuttavia non era mancato un certo interesse nella classe dirigente toscana per ciò che aveva attinenza con l’educazione, almeno nei dibattiti politici e culturali. Simonetta Soldani ha anzi considerato questo tema
“uno dei due fuochi (l’altro essendo […] l’agricoltura) intorno ai quali ruotarono le informazioni, i dibattiti, le iniziative che fecero di uomini come Viesseux, Lambruschini, Ridolfi e Capponi la punta di diamante di un’avanguardia ben decisa a promuovere e guidare un profondo Rinnovamento civile in Toscana”32.
Si trattava di un interesse che era già emerso, molti anni addietro, nell’opera riformatrice di Pietro Leopoldo. Il granduca lorenese, in linea con le tendenze politiche dell’assolutismo illuminato, aveva chiaramente percepito la necessità di un nuovo ruolo dello stato nell’istruzione. Al momento in cui si apprestava a lasciare il Granducato per assumere la corona imperiale, così riassumeva la sua attività in favore dell’istruzione, collegandola ad uno degli altri aspetti fondamentali del suo operato, ovvero la riforma relativa all’ambito giudiziario e penale:
30 Citato da Franceschi Paradisi M., 1916, p. 29.
31 Zuccagni Orlandini, Sopra il riordinamento della pubblica istruzione in Toscana, progettato dalla
commissione che S. A. I. e R. il Granduca istituì con motuproprio de’ 28 novembre 1846. Osservazioni.
Firenze, tipografia del Vulcano, 1848, p. 5.
“Essendo persuasa la M.S. che il Bene universale non solo esige la vigilanza nel punire i delitti ma richiede di più che sia data tutta la mano per prevenirli nei suoi principi, ha riguardato in qualunque tempo con impegno la Pubblica Educazione come quella che può infinitamente contribuire ad accrescere il numero degli onesti e utili Cittadini. Volle per conseguenza che in tutti i Luoghi del Gran-Ducato si erigessero delle Scuole per ogni ceto di Persone; Che s’introducessero dei migliori Sistemi nelle Università di Pisa e di Siena; E s’istituisse di nuovo l’Accademia delle Belle Arti in Firenze.
Per l’istesso plausibile fine fu ordinata la reduzione di vari Monasteri a Conservatori e l’erezione de’ nuovi, ove se ne fosse ravvisata l’utilità per assicurare la più conveniente Educazione alle fanciulle dei diversi ceti”33
L’azione leopoldina nei venticinque anni di regno si sviluppò per la verità gradatamente, senza che venisse attuato un sistematico progetto di riforma, ma procedendo con interventi settoriali e circoscritti, che potevano essere modificati in base alle circostanze. Soltanto alla fine della sua permanenza in Toscana, ed in particolare dal 1787, Pietro Leopoldo si dedicò alla formulazione di un Regolamento generale per tutte le scuole pubbliche del Granducato34, che però non fece in tempo ad applicare, e
che sarebbe stato sostanzialmente dimenticato dai suoi successori.
L’occasione per i primi interventi fu offerta al Granduca dalla soppressione, avvenuta nel 1773, dell’ordine dei Gesuiti, detentori, ormai da due secoli, del monopolio dell’istruzione delle classi medio-alte. Se nell’immediato l’unica conseguenza prodotta fu il passaggio delle scuole gesuitiche all’ordine degli Scolopi, che così ereditarono il monopolio dell’istruzione della gioventù almeno a Firenze, il primo intervento realmente innovativo fu l’istituzione di Scuole Normali per le ragazze povere, da prima a Firenze, dove fra il 1778 e il 1781 ne sorsero quattro, e poi a Pisa, Pistoia, Arezzo, Castiglion Fiorentino, Montepulciano, Pietrasanta e Livorno. Nel 1779 furono create scuole pubbliche anche per i maschi, ricalcando lo stesso schema adottato per le fanciulle. Successivamente furono istituite le scuole Normali Leopoldine, così definite perché dovevano servire da modello alle altre scuole per la superiorità dell’insegnamento impartito.
La principale novità di queste scuole era costituita dal fatto che dipendevano direttamente dal governo e che lo stesso personale insegnante, benché appartenente al clero, era di nomina governativa. Questo insieme di provvedimenti non produsse
33 Governo della Toscana sotto il regno di Sua Maestà il Re Leopoldo II, Firenze, 1790, pp. 55-56, cit. in
Calogero T., 1987, p. 179.
modificazioni di rilievo dal punto di vista quantitativo nel panorama scolastico toscano. D’altronde, pare che un tale risultato non fosse tra gli obiettivi del Granduca. Avendo infatti condotto attraverso le Cancellerie un’indagine conoscitiva su tutte le scuole del Granducato, risultava che su 198 comunità solo 47 erano completamente prive di scuola, e che complessivamente esistevano sul territorio toscano 265 scuole di primo grado, quasi tutte tenute da parroci o cappellani35, di cui 20 nella capitale, un numero ritenuto più che sufficiente a soddisfare i bisogni della popolazione.36 Ciò che Pietro Leopoldo voleva modificare era l’assenza di controllo da parte del governo centrale su queste scuole. Il fatto che esse dipendessero interamente dai parroci o al più dalle amministrazioni locali aveva come prima e più grave conseguenza la pessima qualità dell’insegnamento, da cui a sua volta discendeva, secondo il granduca, l’abissale ignoranza dei toscani. Nel progetto che egli fece in tempo a redigere ma non ad attuare, sia per la ristrettezza dei tempi sia per le non velate opposizioni della chiesa e delle élites locali alle interferenze del sovrano37, la maggiore novità rispetto all’ordinamento precedente (o forse sarebbe meglio dire “all’assenza di ordinamento”) non era costituita dal numero o dalla qualità delle scuole che avrebbero dovuto essere impiantate sul territorio toscano, ma dall’istituzione di una deputazione che da Firenze avrebbe dovuto dirigere ed uniformare tutta l’organizzazione scolastica del Granducato.