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L’allontanamento di Giacomo e i privilegi della regina a Reggio.

Gli anni della regina Giovanna II d’Angiò

3. L’allontanamento di Giacomo e i privilegi della regina a Reggio.

Giovanna II, allontanato dalla corte Giacomo delle Marche, riprese a emanare documenti intitolati solo a suo nome396. Anche i notai del regno rogano solo a nome di Giovanna II. Ma nella velata prigionia Giacomo continuò ad emanare documenti tra gennaio del 1417 e giugno del 1418397. Inoltre Giacomo, il 14 febbraio 1419, fu rilasciato da Giovanna II e si rifugiò dallo Sforza,

393

Doc. n. 102.

394

G.GALASSO, Il regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese, p. 284.

395 Ibidem, p. 285.

396 Oltre i due di Reggio del 15 gennaio 1417, qui editi (cfr. docc. nn. 103-104), tra i primi documenti che

riportano nell‟intitulatio il solo nome della regina Giovanna si ricorda un privilegio emesso il 2 febbraio 1417 da Castelnuovo di Napoli a favore di Giacomo del Balzo (cfr. I documenti della storia medievale di Ostuni, doc. CLXI, pp. 230-231).

397 In verità, ciò accadde già sul finire del 1416, come si riscontra un documento del 20 dicembre diretto

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per poi il 4 maggio salpare con un vascello ed andare a Taranto398. Qui, infatti, nel giugno del 1419 emise un diploma per i tarantini, concedendo loro uno sgravio fiscale sulle imposte annuali399.

Reggio fu destinataria di diverse lettere e privilegi emessi sin dall‟inizio del 1417 dalla regina Giovanna II. Il 15 gennaio, ad istanza avanzata dall‟università e dagli uomini della città di Reggio, che avevano dichiarato come Giacomo de Lorenzo, cittadino reggino, ed altri cittadini avessero alcuni beni posti a confine con altri beni di conti e baroni, e particolarmente nel territorio di San Niceto e Calanna, e ne fossero stati privati illecitamente dal defunto Baccelliero de Grassis e dal conte di Sinopoli, inviò lettera al giustiziere di Calabria ed al capitano di Reggio affinché inducessero gli eredi di Baccelliero ed il conte di Sinopoli a restituire i beni usurpati, salvo, tuttavia, se questi fossero stati loro concessi da re Ladislao400. Lo stesso giorno, su istanza dell‟università e degli uomini di Reggio, inviò lettera al giustiziere di Calabria ed al capitano di Reggio ordinando che proteggessero i predetti reggini nel loro diritto di far pascolare gli animali e raccogliere erba liberamente nei territori circostanti dalle vessazioni e soprusi degli abitanti dell‟università di Sant‟Agata401

.

Il 22 ottobre 1417, su istanza dell‟università e degli uomini della città di Reggio, la regina ordinò che i capitani e dei castellani della terra di Reggio avessero giurisdizione separata, non fossero tra loro consanguinei e restassero in carica non oltre un anno402; che nessun cittadino reggino, sia nobile che plebeo, potesse esser trattenuto in carcere se non nel solito e consueto luogo anziché nel castello, se non per il crimine di lesa maestà, né potesse esser assunto come familiare o servitore dai predetti ufficiali; infine, che nessun barone o signore della provincia di Calabria Ultra potesse ricoprire i sopraddetti uffici di capitanìa e castellanìa403.

Con lettera del 1° luglio 1418, la regina Giovanna II, a causa dei soprusi e delle ingiustizie commesse a danno dei cittadini reggini, revocò la carica di castellano e capitano di Reggio a Filardo Gattola, di Gaeta, stabilendo che, in futuro, né suoi fratelli né cittadini di Gaeta potessero rivestire questa o altre cariche nell‟università di Reggio, ordinandogli anche di presentarsi

60). Si vedano, poi, la conferma di privilegi, già concessi da Ladislao e Giovanna II, fatta da re Giacomo il 31 gennaio 1417 all‟università di Taranto, e la riduzione degli oneri fiscali concessa alla stessa città il 16 giugno dell‟anno seguente (cfr. ALAGGIO, docc. 37-38, pp. 77-81).

398

RYDER, Giovanna II d’Angiò, p. 482.

399 A

LAGGIO, doc. 39, pp. 81-84. Sul periodo del regno di Giacomo tra il 1417 ed il 1419 si rimanda, in particolare, a ANTONUCCI, pp. 60-61; G.GALASSO, Il regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese, pp. 282-293; LÉONARD, p. 614.

400

Doc. n. 103.

401 Doc. n. 104.

402 Spesso i sovrani angioini si preoccuparono di mantenere separate le cariche di castellano e capitano, di

durata annuale, al termine del quale mandato i funzionari sarebbero stati sindacati per il loro operato. Lo stesso privilegio fu infatti conferito alla città di Monopoli il 13 agosto 1399 da re Ladislao (cfr. Il Libro Rosso della città di Monopoli, doc. XV, pp. 43-44) ed a quella di Trani dalla regina Giovanna II il 7 settembre 1414 (cfr. Il Libro Rosso della università di Trani, doc. XXIII, pp. 159-160).

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personalmente o rappresentato da una sua persona legittima dinanzi l‟università di Reggio per esser sottoposto a sindacato del suo cattivo operato nella curia della capitanìa e risarcire tutti i cittadini oltraggiati nel possesso dei loro beni che possiedono nella città di Reggio404.

Il 15 luglio con lettera inviata al maestro giustiziere ed al gran camerario del regno di Sicilia, ai presidenti della camera della Sommaria e della gran corte, al capitano di Reggio ed altri ufficiali, notificò di aver appreso che, in seguito all‟accordo tra Egidio de Grigny, gallico, occupante il castello di Reggio, ed il nobile Gregorio Protospatario, cittadino geracese, nunzio e procuratore di Giovanni Caracciolo, conte di Gerace, che stabiliva di versare la somma di cinquemila ducati al medesimo Egidio, per la consegna del castello a Filardo Gattola, di Gaeta, entro ventitre giorni dalla sua cessione, la somma sarebbe stata anticipata dal conte di Gerace, il quale si era obbligato al versamento totale oppure, nel caso il pagamento non fosse stato soluto nel termine previsto, a quello mensile di 447 ducati, versati al computo di cinque tarì per ducato a partire dalla scadenza dei ventitre giorni, fino all‟estinzione del debito complessivo dei cinquemila ducati. Inoltre, il conte di Gerace sarebbe poi stato rimborsato della somma anticipata da Filardo e dall‟università reggina, che, comunque, già gli avevano versato la somma di quattromila ducati, lasciando un debito residuo di altri mille, come appariva dal libro dei conti visto nella camera regia. Nel frattempo, però, il conte di Gerace non aveva versato le somme delle collette su terre, castelli e luoghi della provincia di Calabria dovute in quell‟anno alla regia curia, impendendo a Filardo - che intanto si trovava detenuto in Castelnuovo a Napoli su mandato della regia curia e dei presidenti della camera della sommaria, per accertare se avesse dato al conte i quattromila ducati e per altri motivi - di poter versare la rimanente somma di mille ducati ad Egidio o al conte, e nonostante ciò, nel contempo, continuava a chiedere ai reggini la predetta rimanenza di mille ducati o la soluzione a cadenza mensile. La regina, pertanto, concesse al conte di Gerace di poter trattenere per sé mille ducati dal denaro delle collette, ma di non vessare più con ulteriori richieste i cittadini di Reggio, ai quali annulla il versamento dei 447 ducati mensili da pagare a favore di Egidio fino all‟estinzione dei cinquemila ducati di debito, ordinando anche l‟invalidazione del contratto di obbligazione e promessa rogato tra le parti405.

Il 18 luglio la regina comunicò a Giovanni Caracciolo, conte di Gerace, che, in seguito all‟accordo tra il de Grigny e Gregorio Protospatario, essendo già stata versata la somma di quattromila ducati, gli concesse di poter trattenere per sé mille ducati residui dal denaro delle collette sulle sue terre, castelli e luoghi della provincia di Calabria dovute per l‟anno di XII indizione alla regia curia. Gli ordinò, parimenti, di non vessare più con ulteriori richieste i cittadini di Reggio, in conseguenza delle quali aveva fatto arrestare anche il giudice Nicola Malgerio di

404 Doc. n. 106. 405 Doc. n. 107.

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Reggio, rilasciato solo dopo pagamento di cauzione fideiussoria. Gli notificò, infine, di aver annullato all‟università di Reggio il versamento dei 447 ducati mensili da pagare fino all‟estinzione dei cinquemila ducati di debito, invalidando anche il contratto di obbligazione e promessa rogato tra le parti406.

Il 25 febbraio del 1419 la regina Giovanna II inviò lettera ai vicereggenti e giustizieri del ducato di Calabria, nonché ai capitani di Reggio, conti, baroni, baiuli, giudici, camerari, mastri giurati ed altri ufficiali, mediante la quale comunicò di aver venduto all‟università di Reggio, per mezzo dei suoi sindaci, durante il passato anno di XI indizione, ad un prezzo tra loro convenuto, come appare da pubblico istrumento, la motta Rossa, chiamata anche motta di Belliloco, e la motta Anomeri, detta anche di Mesanova, con i loro fortilizi, casali, uomini, vassalli, diritti e pertinenze, revocando la precedente vendita fatta al conte di Sinopoli a cui dovrà esser proibito di fare alcuna molestia407. Lo stesso giorno inviò lettera dello stesso tenore al magnifico Carlo Ruffo di Calabria, conte di Sinopoli, suo consigliere408.

Le due motte nel gennaio del 1418 erano già state vendute dalla regina Giovanna II a Carlo Ruffo per esigenze di denaro, con il diritto del mero e misto imperio, dell‟ufficio di capitano delle motte a vita e di nominare un luogotenente ed un maestro d‟atti per la loro gestione, per la somma di 1200 ducati, dopo che l‟università di Reggio non aveva corrisposto al fisco regio i 500 ducati già pattuiti per il loro acquisto. Ma la presenza dei Ruffo nelle immediate vicinanze di Reggio, indusse i Reggini a chiederne alla regina la restituzione. Ella acconsentì nonostante gli abitanti delle motte preferissero stare sotto la giurisdizione del Ruffo409. Ecco, dunque, come si spiega che nel febbraio del 1419, per quanto appare dai due documenti reggini, le rivendette all‟università di Reggio. In seguito, con diploma del 19 marzo 1420, la regina Giovanna II ne avrebbe riconfermato di nuovo il possesso a Carlo Ruffo410.

Allo stesso conte di Sinopoli, mediante mandato inviato da Napoli il 10 gennaio 1419 al gran camerario del regno di Sicilia, ai presidenti della regia camera della Sommaria, ai giustizieri, secreti e loro luogotenenti della provincia di Calabria, ai mastri portolani, erari e commissari fiscali, la regina Giovanna II assegnò, sotto versamento di 1200 ducati, la terra di Bagnara, con il castello ed i suoi uomini e vassalli, nonché redditi e proventi da essa derivanti, togliendola al nobile

Dessius de Comite, di Lipari, ed a suo figlio l‟abate Antonio de Comite, ai quali doveva essere

406 Doc. n. 108. 407 Doc. n. 109. 408 Doc. n. 110. 409

Cfr. CARIDI, La spada, la seta, la croce, pp. 37-38 e p. 242 nota 11; POLLASTRI, Le lignage et le fief, p. 215.

410 Archivio di Stato di Napoli, Archivi privati. Archivio Ruffo di Scilla, Cartulario, vol. 2 (1400-1499),

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restituita la somma di denaro di 1200 ducati a saldo della quale si sarebbe dovuta rilasciare debita ricevuta di quietanza411.

Giovanna nel frattempo non era stata ancora incoronata e rimaneva incerto quale fosse l‟atteggiamento nei suoi confronti del futuro pontefice, che sarebbe stato eletto dai delegati del concilio di Costanza riunitisi per metter fine allo scisma d‟Occidente. Perciò rispose alle richieste di aiuto lanciate dal governatore dello Stato pontificio contro il condottiero Braccio da Montone. Muzio Attendolo Sforza, rivale di vecchia data di Braccio diventato di recente gran connestabile del Regno, consegnò Roma a Giordano Colonna, guadagnandosi in questo modo i favori del fratello del Colonna, Ottone, che sarebbe diventato papa, con il nome di Martino V, l‟11 novembre 1417. Tuttavia, quando lo Sforza ritornò a Napoli, nel mese di dicembre, trovò il Caracciolo insediato nel ruolo di padrone della corte, animato dall‟ambizione personale, al punto da indurre molti, tra cui la famiglia Mormile, alla ribellione. Nel settembre 1418 lo Sforza, Francesco Mormile ed i loro sostenitori marciarono su Napoli, mentre ser Gianni ed il suo nuovo alleato, Francesco Orsini, comandante militare di Napoli, si prepararono alla battaglia. Il 14 febbraio 1419, però, in seguito alle pressioni di emissari pontifici, Giovanna decise di liberare Giacomo di Borbone, che si rifugiò proprio presso il suo avversario di un tempo, lo Sforza. Il legato pontificio, Pietro Morosini, era intanto giunto in gennaio portando una bolla di investitura, emessa a Mantova il 28 novembre 1418, che lo autorizzava ad incoronare Giovanna una volta che ella avesse acconsentito alle condizioni di Martino V412.

Giacomo di Borbone, il 4 maggio 1419, salpò su un vascello genovese diretto a Taranto, il principato assegnatogli dal patto sottoscritto nel 1416. Giovanna richiamò allora lo Sforza a Napoli e incoraggiò gli Orsini, i precedenti signori di Taranto, ad incalzare il marito in fuga. Alla fine del 1419 Giacomo si diresse a Corfù, per poi recarsi a Venezia. Egli sarebbe morto nel 1438413.

Terre e onorificenze si accumulavano frattanto sui parenti del pontefice, mentre la campagna condotta contro Braccio nell‟estate del 1419 riusciva alla fine ad assicurare a Giovanna II soltanto l‟incoronazione che si ebbe il 29 ottobre 1419. Tuttavia, solo sei giorni più tardi, Martino V ridimensionò quell‟atto con la nomina di Luigi III d‟Angiò a suo erede, nel caso, ormai certo, che Giovanna fosse morta senza discendenti. La nuova ascesa degli Angiò, sostenuta dallo Sforza, faceva presagire un destino funesto a ser Gianni, che aveva nel frattempo ripreso il suo ruolo di padrone sulla regina ed il Consiglio. Perciò egli riuscì a convincere Giovanna a dissuadere il pontefice dal suo proposito, oppure cercare un alleato che la difendesse dal prossimo attacco, che si trovò in Alfonso d‟Aragona. Quando una delegazione inviatagli da Giovanna II di Napoli invocò il

411

Archivio di Stato di Reggio Calabria, Raccolte e Miscellanee, Statuti, capitoli, grazie e privilegi, Fondo Carte Salvatore Blasco, busta 1, fasc. 49, cc. 1r-6r.

412 L

ÉONARD, p. 614.

413 G.G

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suo aiuto contro Luigi III d‟Angiò, Alfonso fece passare naturalmente l‟impresa corsa in secondo piano. La regina si dichiarava disposta ad adottare l‟aragonese come figlio e successore alla corona napoletana, investendolo non solo del titolo, ma del possesso del ducato di Calabria. L‟ambasceria, guidata da Malizia Carafa, che ella inviò a Firenze nel maggio 1420, fu accolta freddamente dal papa, ma nella città ebbe luogo anche l‟incontro con un emissario di Alfonso d‟Aragona, il quale promise di conferire con il suo signore, impegnato a consolidare l‟autorità aragonese sulla Sardegna. Nell‟agosto 1420, il Carafa salpò alla volta della Sardegna con l‟incarico di promettere ad Alfonso l‟adozione e la nomina a erede al trono di Napoli, a patto che venisse personalmente ad allontanare il rivale dal Regno414.