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Il regno della regina Giovanna

3. Il regno di Giovanna I e Luigi di Taranto.

Nel corso della guerra sostenuta contro questi pericolosi residui dell‟invasione magiara, tutte le truppe calabresi, guidate da Lorenzo Acciaiuoli, furono inviate nel febbraio del 1351 a combattere per la liberazione di Bari e della Puglia, segno evidente che, nonostante qualche sacca residua, la Calabria doveva esser stata liberata in generale dalle truppe Ungheresi. Nelle loro mani, all‟estremità meridionale della Calabria, era rimasto il castello di Sant‟Agata158

. Per la sua liberazione, erano intervenuti i Reggini, probabilmente con lo scopo di aver assegnato il castello con la predetta terra. La terra di Sant‟Agata si era però sottomessa al vicario del conte di Mileto, marescalco e fedele regio159.

Il 14 agosto 1351, i sovrani Luigi di Taranto e Giovanna, su richiesta di Tommaso di Capua, sindaco dell‟università di Reggio, decretarono così che fosse incorporata all‟università di Reggio, e, pur mantenendo la condizione di demanialità regia, fosse governata sotto l‟ufficio della capitanìa reggina ed insieme a Reggio contribuisse in comune ai diritti di regalìa, bagliva, mortizzo160, passaggio, pedaggio, colletta e tutte le altre funzioni fiscali161.

157 Ibidem, p. 461.

158 Sulla presenza degli Ungari in Calabria e il loro stanziamento a Sant‟Agata, cfr. F

ODALE, La Calabria angioino-aragonese, p. 221; RUSCIANI, pp. 330-356, e in particolare, sul periodo qui indicato, si vedano le pp. 346-349.

159 S

PANÒ BOLANI, ediz. 1857, I, p. 193; ediz. 1993, pp. 260-261.

160 Con l‟espressione gabella dei mortizzi si intendeva, in alcuni casi, un contributo forzato a favore del

clero per la sepoltura dei cadaveri e l‟accompagnamento al cimitero. Talvolta la predetta gabella era applicata anche sulle carni fresche, salate o „mortacine‟ (cfr. BISCAGLIA, I, p. 245; II, p. 102). Il 1° febbraio 1482, da Castelnuovo di Napoli, re Ferdinando I di Aragona approvò i capitoli della università di Gaeta. Tra questi accolse la richiesta dell‟università che dalla nuova imposta sulla carne, si togliesse la gabella del morticio ed ogni altro onere, salvo quello del tornese a rotolo, e la catapania, per la quale i giudici e gli eletti della città riscuotevano un carlino per ogni animale vaccino, e stabilivano il prezzo della carne venduta in Gaeta (cfr. MINIERI RICCIO, Repertorio delle pergamene della università o comune di Gaeta, doc. CIV, p. 175). Più comunemente, il ius morticii era il diritto delle acquisizioni delle eredità rimaste vacanti e, dunque, prive di eredi legittimi (cfr. DU FRESNE DU CANGE, V, col. 526c, sub voce «morticinium (4)»: Licentia tenendi possessiones in manu mortua; TRIFONE, La legislazione Angioina, pp. 87, 138; POSO, p. 39; S.PALMIERI, La cancelleria del regno di Sicilia, p. 105). Si ritrova menzionato in vari documenti di età medievale del Salento, in particolare in due carte del 1180 e 1185 riguardanti Lecce nelle quali si parla di «pro morticio» ed «ex parte morticiis» (cfr. P.DE LEO, Il monastero benedettino dei SS. Niccolò e Cataldo, doc. III, p. 35; doc. XII, p. 51; anche in ID., Le carte del monastero dei santi Niccolò e Cataldo in Lecce, doc. III, p. 11; doc. XII, p. 35); come pure ad Ostuni, ove il ius morticii seu oblationis è ricordato in documenti compresi tra il 1132 ed il 1236 (cfr. I documenti della storia medievale di Ostuni, pp. 20 nota 2, 30, 50, 90).

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Veniva in tal senso ripristinato il precedente status politico e amministrativo. La terra di Sant‟Agata, infatti, godeva del privilegio di demanialità conferitole con diplomi emanati a suo favore nel 1341 per intervento di re Roberto. Il 4 luglio 1341, da Napoli, con lettera inviata ai capitani e giustizieri di Calabria, il sovrano aveva concesso agli abitanti dell‟università di Sant‟Agata, per la durata di due anni a partire dalla data del mandato, che non fossero obbligati dagli ufficiali regi a svolgere prestazioni varie al di fuori di quella terra. Il 4 agosto confermò all‟università di Sant‟Agata il privilegio di demanialità che egli stesso già aveva conferito con lettera emessa a Napoli per mano del logoteta Bartolomeo di Capua il 5 marzo 1314. Infine, il 20 agosto concesse i capitoli di grazie e immunità alla predetta università162.

Luigi e Giovanna, dopo aver decretato l‟annessione della terra di Sant‟Agata all‟università di Reggio, il 26 giugno 1352 confermarono alla predetta università ed agli uomini reggini tutte le lettere regie e ducali emesse dai loro predecessori e da loro stessi, relative alle grazie che dovevano continuare ad osservare163. Lo stesso giorno inviarono mandato al vicario ed al luogotenente del ducato di Calabria, nonché al capitano della terra di Reggio, affinché fossero risarciti i cittadini che avessero subito danni da conti e baroni al tempo delle guerre, o viceversa164. Ancora, su richiesta di Andrea de Logotheta, giudice, e di Andrea de Yllis, sindaci dell‟università di Reggio, inviarono un altro mandato indirizzato al capitano della città di Reggio, al giudice e notaio d‟atti deputati dalla curia regia, nonché a conti, baroni, castellani e ufficiali, mediante il quale i cittadini reggini furono sgravati da diversi oneri e pesi. In particolare, i Reggini non erano più costretti dagli ufficiali a mettere a disposizione i loro letti, portare legna o fornire animali per i loro servigi, senza adeguato pagamento; non era permesso agli ufficiali della curia di esigere obblighi dai litiganti in accuse in via ordinaria e liti quando le parti volessero tra di loro transigere fino alla sentenza esclusiva, salvo soltanto il pagamento di tre tarì alla curia, quando si procedesse in via ordinaria e quando in via straordinaria secondo i capitoli del regno; i notai o gli scrittori d‟atti avrebbero avuto soli cinque grana per la fideiussione e citazione dei testi fuori della città, essendo sufficienti gli stipendi che pagava loro la curia, e che i medesimi nulla esigessero per la presentazione in curia di qualche petizione di offerta o domanda, secondo l‟antica consuetudine; che nessuno, se non vagabondo, fosse tratto in arresto prima della conoscenza della causa se si offre a dare la cauzione fideiussoria, ma fossero osservate a riguardo tenacemente i capitoli del regno; che capitani, giudici, notai d‟atti e qualunque ufficiale non potessero prendere la casa dei privati senza pagare il competente fitto, come da antica consuetudine, né potessero lasciare Reggio, al termine del loro mandato, senza

162 Archivio di Stato di Reggio Calabria, Raccolte e Miscellanee, Statuti, capitoli, grazie e privilegi,

Fondo Carte Salvatore Blasco, Busta 2, fasc. 153, cc. 1r-9r (estratto dal Registro angioino dell‟anno 1340, vol. 321, ff. 318 a tergo-319).

163 Doc. n. 27. 164 Doc. n. 28.

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essere stati sindacati personalmente e non per mezzo di un procuratore; che nessuno esercitasse turpemente il baratto sia fuori che dentro la città; che nessun barone o conte potesse entrare in città con più di dodici familiari, né dimorare più di un giorno e di una notte; che essendo state fatte dai capitani tante estorsioni con il pretesto delle guardie notturne, per le quali i poveri erano stati costretti ad abbandonare la città, ordinano che si aboliscano, particolarmente in tempo di pace, e che si facessero solo le scorte per il mastrogiurato165 e gli uomini di Reggio; infine, che non fosse richiesta alcuna esazione di denaro e che gli uomini restassero in tranquillità così come era solito accadere nel passato tempo di pace166.

Nonostante la campagna militare condotta negli Abruzzi dal settembre 1351 al gennaio 1352 non avesse prodotto risultati, grazie alla mediazione di Clemente VI, il 23 marzo 1352 a Napoli fu conclusa una pace vantaggiosa con Luigi d‟Ungheria, il quale promise la liberazione dei prigionieri in cambio di un risarcimento adeguato e di un‟amnistia generale per tutti i suoi seguaci nel Regno, mentre i territori ancora occupati dalle truppe ungheresi sarebbero stati assegnati ad un rappresentante pontificio167. Dopo qualche esitazione, nel giugno 1352 Luigi d‟Ungheria ratificò questo patto e rinunciò al regno di Napoli; mantenne, invece, rivendicazioni sui feudi del nonno Carlo Martello, il principato di Salerno e l‟Onore di Monte Sant‟Angelo. Un successo della politica dell‟Acciaiuoli fu l‟assenso del papa, che si era finora rifiutato di conferire il titolo di re a Luigi di Taranto, all‟incoronazione della coppia reale. Così, il 23 maggio 1352, prima Luigi e poi Giovanna furono incoronati dall‟arcivescovo di Braga Guillaume de La Garde, alla presenza di numerosi dignitari del Regno e della Provenza, ma anche di delegazioni di città toscane e umbre168.

Alla corte napoletana, dopo la crisi dei dieci anni precedenti, malgrado la catastrofica situazione finanziaria, regnava una sorta di clima di rinascita, come mostrano la concessione di numerosi privilegi a persone rimaste fedeli nel periodo delle invasioni ungheresi o di esenzioni fiscali in favore di località che avevano particolarmente sofferto durante le operazioni militari. Nonostante gli intrighi di corte, sin dall‟estate 1353 Niccolò Acciaiuoli riuscì ad intraprendere iniziative concrete per la riconquista della Sicilia che, piuttosto che dalla forza del Regno, fu resa possibile dalla situazione di anarchia che regnava nell‟isola, dove durante la minore età di Ludovico II si contendevano il predominio gli esponenti dell‟aristocrazia locale contrapposti ai nobili catalani, giunti dalla Spagna. Nella seconda metà d‟ottobre del 1353 l‟Acciaiuoli si stabilì in Calabria dove

165

Il mastrogiurato, in carica un anno, era addetto al mantenimento dell‟ordine pubblico. Si occupava anche della polizia notturna alle dipendenze del capitano, poteva agire da primo magistrato, convocare le sedute dei parlamenti dell‟università, sedere in curia e giudicare insieme con i giudici annuali. In particolare, egli vigilava sulle fiere per tutto il corso della loro durata. Sul ruolo del mastrogiurato cfr. TRIFONE, Gli organi dell’amministrazione Angioina, p. 98.

166

Doc. n. 29.

167 D

E FREDE, p. 266.

168 C

AMERA, Elucubrazioni storico-diplomatiche su Giovanna I, p. 130; LÉONARD, pp. 454-457; DE

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rimase per tutto l‟inverno dell‟anno seguente dimorando a Reggio, con qualche spostamento a Tropea e Bagnara169.

Una ribellione di Messina nell‟estate 1353, grazie alla quale i Catalani riuscirono a prendere inizialmente il sopravvento, offrì spunto alla famiglia dei Chiaromonte per rivolgersi a Giovanna ed a Luigi di Taranto. Un accordo concluso su iniziativa di Nicolò Acciaiuoli a Palermo il 6 febbraio 1354, che prevedeva la consegna dell‟isola agli Angioini unitamente alla rinuncia a nominarvi funzionari francesi e provenzali, nonché l‟obbligo di residenza a Palermo per Giovanna e Luigi almeno ogni tre anni, fu ratificato dalla coppia reale nel marzo di quell‟anno. Il 17 aprile Palermo, e in seguito quasi l‟intera isola, si sottomisero alla sovranità angioina. Solo la parte nordorientale, con le città di Messina e di Catania, che erano anche le roccaforti del partito catalano, restò fedele a Ludovico II e agli Aragonesi. Soprattutto a causa della situazione interna del Regno di Napoli e dell‟atteggiamento piuttosto ostile di Giovanna e di Luigi di Taranto, che consideravano l‟impresa siciliana dell‟Acciaiuoli superflua e dispendiosa, nel 1354 l‟isola non poté essere interamente sottomessa. Così, all‟inizio di agosto 1354, il siniscalco fu costretto a rientrare a Napoli170.

Inoltre, sorsero attriti con Innocenzo VI, perché Luigi di Taranto, dopo l‟insuccesso del fratello, nominò vicario generale negli Abruzzi Galeotto Malatesta, che aveva occupato una parte dello Stato della Chiesa e perciò era stato scomunicato. Nonostante l‟intervento di Niccolò Acciaiuoli, la Curia fu irremovibile e il 9 e 10 gennaio 1355 Innocenzo VI avrebbe scomunicato sia Giovanna sia il marito171. Entrambi, inoltre, con il pretesto di un pellegrinaggio sulla tomba di San Nicola, nell‟autunno 1354 si erano recati personalmente in Puglia, ma non riuscirono a persuadere alla sottomissione Luigi di Durazzo, che nel frattempo si era alleato con Giovanni Pipino, conte di Altamura e Minervino. Il duca di Durazzo fece arrivare in Puglia la Gran Compagnia che, passata ai comandi di Corrado di Landau (il “conte Lando” dei cronisti italiani) dopo l‟esecuzione di frà Moriale per ordine di Cola di Rienzo, occupò la Capitanata nel febbraio 1355172. Le speranze di un intervento contro la Gran Compagnia da parte di Carlo IV di Lussemburgo, che dall‟inizio del 1355 si trovava in Italia per cingere la corona di re dei Romani, non si realizzarono173.

Luigi di Durazzo, al contrario, nell‟aprile 1355 si mise alla guida della compagnia e si ribellò alla Corona, proclamandosi esecutore delle scomuniche del papa contro Giovanna e il marito. La ribellione di Luigi di Durazzo nel Regno ebbe all‟inizio buon esito, poiché la Gran Compagnia nel

169 F

ODALE, La Calabria angioino-aragonese, p. 221.

170 L

ÉONARD, pp. 468-471; G.GALASSO, Il regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese, pp. 189-190.

171

LÉONARD, p. 472.

172 Su Corrado di Landau si veda C

AMERA, Elucubrazioni storico-diplomatiche su Giovanna, pp. 185- 186, 190, 192, 204, 226, 249.

173 K

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maggio 1355 riuscì ad avanzare in Campania e nel Principato. La Calabria fu devastata da Luigi di Durazzo, il quale riscuoteva nei territori occupati le imposte dovute alla regia curia174.

Data l‟assenza dell‟Acciaiuoli, trattenutosi in Toscana, Luigi di Taranto e Giovanna si mostrarono incapaci di creare un esercito e prendere contromisure militari, ma riuscirono, dietro pagamento, ad ottenere la ritirata dei mercenari alla fine di luglio, con la conseguenza che Luigi di Taranto impose tasse straordinarie. Ciò comportò una sommossa a Napoli nel settembre 1355 con manifestazioni favorevoli a Giovanna. Peraltro, bande dell‟esercito mercenario penetrarono di nuovo in Terra di Lavoro e continuarono le scorrerie. Anche dopo l‟estate 1356, quando vaste parti del Regno erano state ampiamente saccheggiate e la Gran Compagnia si spostò nell‟Italia settentrionale, unità sbandate restarono in Capitanata, dove in parte fecero causa comune con la piccola feudalità e continuarono i saccheggi175.

Durante l‟anno di crisi 1355 , poiché il potere di Giovanna - o meglio ancora del marito - era ristretto al controllo di Napoli e del territorio limitrofo, andarono in gran parte perdute le conquiste in Sicilia e furono mantenute solo Palermo, Milazzo, Siracusa e Lentini. Fortunatamente, grazie alla morte di Ludovico II di Sicilia, avvenuta il 16 ottobre 1355, ed ai conflitti interni all‟aristocrazia catalana a proposito della tutela del giovane Federico IV, allora tredicenne sotto la reggenza della sorella Eufemia, nel corso del 1356 furono riprese le posizioni perdute176.

In questo periodo gli uomini della città di Reggio lamentarono alla regia corte che il capitano della città ed i suoi predecessori avevano sottratto seminati di orzo, lupini e foraggio a signori e padroni di terre poste nel territorio della città, contro la loro volontà, e posto i cavalli a pascolare nei seminati di fagioli, negli orti e nelle vigne. Cosicché il 2 aprile 1356 il re Luigi di Taranto e la regina Giovanna inviarono mandato ai capitani della città di Reggio, ai luogotenenti e agli ufficiali del ducato di Calabria, affinché tutto ciò non avvenisse più177. Nella città si era anche stanziato con una flottiglia Niccolò Acciaiuoli, che vi svolgeva le funzioni di luogotenente del Ducato affiancato dal giustiziere di Calabria, Lorenzo Buondelmonti178.

Il 18 settembre 1356 esponenti dell‟aristocrazia locale promossero a Messina una sommossa a loro favorevole. L‟Acciaiuoli, non appena appresa la notizia, il 20 novembre attraversò lo Stretto e si impadronì in nome dei suoi sovrani della città, caduta in mano di Niccolò di Cesare. Il 24 dicembre egli poté consegnarla in una solenne cerimonia a Luigi di Taranto e Giovanna, giunti a loro volta in Calabria, a Reggio, in novembre, accompagnati dal segretario Guido de Cortesiis, che era di Reggio: quasi 75 anni dopo i Vespri, il giglio angioino sventolava di nuovo sulla città

174 C

AMERA, Elucubrazioni storico-diplomatiche su Giovanna I, pp. 190-191.

175

G.GALASSO, Il regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese, pp. 192-193.

176 L

ÉONARD, p. 475.

177 Doc. n. 30. 178 L

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peloritana. I sovrani il 18 dicembre, proprio da Reggio, revocavano tutte le donazioni di foreste demaniali calabresi, particolarmente quelle della Sila179. La notizia della sottomissione dell‟università di Messina agli Angioini fu ben accolta da papa Innocenzo VI, che, con lettera del 5 gennaio 1357 inviata ai suoi cittadini, li esortava a continuare nel proposito assunto ed a coinvolgervi anche le altre città siciliane che si erano ribellate ai sovrani angioini180.

Da Messina, il 4 febbraio del 1357, i sovrani confermarono ai Messinesi tutti i loro privilegi di cui godevano e garanzie in campo giudiziario181. Il 15 febbraio dello stesso anno, ancora da Messina, in seguito alla supplica rivolta dagli uomini della città di Reggio, inviarono mandato ai capitani della predetta città mediante il quale al mastrogiurato veniva ordinato di fare le guardie notturne, come si faceva in tempo di pace, e che i reggini, invece, non fossero tenuti a farle come accadeva un tempo in stato di guerra182. Ma non si preoccuparono, secondo le intenzioni dell‟Acciaiuoli, di debellare il partito catalano e di conquistare Catania. Per cui qui si arrestarono i trionfi delle truppe angioine: questa mancanza di iniziativa diede così ai Catalani il tempo di riorganizzarsi, ed essi il 29 e 30 giugno 1357 presso Acireale, sotto il comando di Artale d‟Alagona, riuscirono ad infliggere alla flotta e all‟esercito angioino una dura sconfitta, che cancellò ogni speranza di completa sottomissione dell‟isola. I sovrani furono pertanto costretti a lasciare la Sicilia. Si trattennero a Messina fino al 27 agosto e in questo periodo si occuparono della concessione di privilegi e rendite ai partigiani Angioini nell‟isola. Pochi giorni prima, il 22 agosto, sempre da Messina, inviarono mandato ai giustizieri di Calabria ed al capitano della terra di Reggio affinché imponessero ad alcuni ufficiali corrotti di osservare e rispettare i privilegi concessi alla medesima università da re Roberto d‟Angiò, sotto pena di cento once per i trasgressori183

. Lasciata l‟isola, preceduti anche sulla via del ritorno da Nicolò Acciaiuoli, che nel frattempo temporeggiava sulla via del rientro per fermarsi nei suoi possedimenti di Seminara, Gerace e Tropea per raccogliervi le entrate, si fermarono ancora qualche giorno a Reggio prima di riattraversare tutta la Calabria e ritornare a Napoli184.

L‟assenza di Giovanna e di Luigi di Taranto dalla terraferma aveva dato nuovo slancio alla ribellione di Luigi di Durazzo e di Giovanni Pipino d‟Altamura, che controllavano vasti territori della Puglia. Luigi di Durazzo, pertanto, tra il 1356 e maggio del 1357 si ribellava ancora una volta a Luigi di Taranto rivendicando i suoi diritti alla successione, e dal Gargano si era portato in Terra

179

Ibidem.

180

Archivio Ducale di Medinaceli, Toledo, pergamena n. 299, in Messina il ritorno della memoria, Pergamene, pp. 147-200, qui p. 187, n. 86, regesto a cura di Eliana Calandra.

181 Archivio Ducale di Medinaceli, Toledo, pergamena n. 40, in Messina il ritorno della memoria, p. 188,

n. 87, regesto a cura di Aldo Sparti. Il viceprotonotaro di questo documento è Sergio Donnorso di Napoli.

182

Doc. n. 31.

183 Doc. n. 32. 184 Cfr. P.G

IANNONE, tomo III, libro XXIII, cap. II, p. 236; SPANÒ BOLANI, Storia di Reggio Calabria, ediz. 1993, p. 262.

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di Bari e in Basilicata sino ad occupare Matera ed Acerenza185. Il 2 marzo 1357 egli, con il titolo d‟imperatore di Bulgaria e vicario generale in Val di Crati e Terra Giordana, dopo esser stato a Cassano, emanava da Castrovillari un diploma con il quale concesse all‟episcopato Cassanese il diritto di legnatico186.

Nell‟autunno 1357 Roberto di Taranto, che era stato nominato capitano generale in Puglia e i cui feudi erano stati anche minacciati dai disordini, riuscì a rendere meno drammatica la situazione e ad eliminare almeno i conti di Altamura. Giovanni Pipino fu fatto prigioniero a Matera il 27 ottobre e due giorni dopo impiccato ad Altamura. Grazie ad un‟iniziativa dell‟Acciaiuoli, nell‟aprile 1358 era soggiunta una temporanea riconciliazione di Giovanna e Luigi di Taranto con Luigi di Durazzo. Inoltre, poiché la corte napoletana appoggiava Firenze contro gli sforzi del legato pontificio Egidio Albornoz di restaurare e pacificare lo Stato della Chiesa, il 21 aprile 1359 Innocenzo VI nominò improvvisamente l‟Albornoz legato anche per il Regno, affinché vi assumesse attivamente il governo e ripristinasse la sovranità feudale del papa187.

Nell‟autunno 1359 era scoppiata una nuova ribellione di Luigi di Durazzo, che contava sull‟appoggio della Curia, mentre Luigi di Taranto nel marzo 1360 si recò in Puglia. Sempre più isolato, il duca di Durazzo fu costretto ad accordarsi con Luigi di Taranto e consegnare il figlio di appena tre anni al re di Napoli come ostaggio e sottoporre il conflitto con Giovanna e suo marito all‟arbitrato papale. Egli, tuttavia, dopo la conclusione degli scontri per il possesso di Bologna tra Bernabò Visconti e l‟Albornoz, nel settembre 1360 chiese aiuto alla compagnia di ventura di Anichino di Bongardo (Johannes Baumgarthen), che già era stata al servizio del Visconti per poi passare dalla parte del cardinale188. Nel dicembre 1360 Anichino si stanziò in Capitanata e operò saccheggi fino ai confini del Principato. Luigi di Taranto richiamò allora l‟Acciaiuoli, data l‟incapacità di Francesco Del Balzo e Luigi di Sabran di controllare la situazione. Il gran siniscalco