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Il regno di Carlo III di Durazzo

1. L’ascesa al trono di Carlo III.

Soltanto pochi mesi dopo la sua salita al trono, Carlo III di Durazzo emise alcuni mandati per l‟università di Reggio. Il 24 novembre 1381, su richiesta degli uomini e dell‟università di Reggio, per la fedeltà da loro dimostrata alla regia curia, inviò lettera ai capitani della città di Reggio, giudici, assessori, notai d‟atti, nonché a conti, baroni, castellani e tutti gli altri ufficiali, con la quale confermava i capitoli già concessi da re Luigi di Taranto e dalla regina Giovanna I249.

Lo stesso giorno inviò lettera ai giustizieri, secreti, vicesecreti della provincia di Calabria, ai capitani della città di Reggio, baglivi, mastrigiurati e camerari mediante la quale, dopo supplica degli uomini dell‟università di Reggio, ordinava che quest‟ultimi non pagassero ai secreti le gabelle sulle merci da loro prodotte, come avveniva per gli altri cittadini del regno; che fossero restituite tutte le terre, vigne, giardini e mulini sottratti da conti e baroni loro concittadini; che quest‟ultimi, con il pretesto di corrispondere la biada alla regia curia, non si appropriassero del grano e di altre vettovaglie, né ancora del vino da vigne e palmenti esistenti nel territorio di Reggio, per il quale pagavano talvolta la terza parte del valore del vino, talvolta la quarta; che, in rispetto al rito della curia, i secreti ed i vicesecreti di Calabria non affidassero a credenza le gabelle regie a persone povere che, non potendo poi pagare il debito, dovevano così sostenere molti oneri, se potessero, altrimenti, vederle comodamente; infine, che gli uomini di Reggio potessero liberamente pascolare nei territori circostanti dei conti e baroni, così come i loro animali pascolavano nel territorio di Reggio, senza pagare tassa di erbaggio e carnaggio, oppure, ove ciò non fosse stato possibile, che vassalli, conti e baroni pagassero quanto i Reggini nel loro territorio250.

Di quest‟ultimo mandato di Carlo III, i nobili Martino Paparone, Venuto Moleti, Perrello di Sartano e Giovanni de Pappacarbone, di Reggio, sindaci dell‟università, il 22 maggio 1384 fecero produrre copia autentica dal notaio Giorgio Sapuna di Reggio, tanto per certificarla alla curia del magnifico Francisco Albirino251, vicegerente nel ducato di Calabria, quanto nell‟interesse della predetta università252.

249 Doc. n. 60. 250 Doc. n. 61.

251 Alla data del 2 luglio 1382 vicegerente in Calabria era Antonio Ruffo, conte di Montalto (cfr. B

ARONE, Notizie storiche tratte dai Registri di Cancelleria di Carlo III di Durazzo, XII (1887), fasc. I, p. 23). Sappiamo, invece, che il 13 ottobre 1384 il regio vicegerente del ducato di Calabria (di cui non è indicato il nome ma che possiamo quasi certamente identificare con Francesco Albirino) si era indebitamente intromesso, in qualità di giudice, nella lite tra frate Roberto de Diano e frate Manuele, militi dell‟Ospedale di

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Nel 1381 anche l‟arcivescovo di Reggio, Tommaso Della Porta253, aveva aderito all‟antipapa

Clemente VII nel corso dello scisma della chiesa d‟Occidente che lo vedeva contrapposto a papa Urbano VI, appoggiato da Carlo III di Durazzo, al quale, il 23 dicembre, fu comminata la scomunica antipapale254. Per cui, dopo la vittoria di Carlo III di Durazzo su Luigi I d‟Angiò, Tommaso fu sostituito dal nuovo arcivescovo, Giordano Ruffo, nominato da papa Urbano255.

Sotto l‟aspetto prettamente amministrativo, la città di Reggio all‟inizio dell‟anno seguente fu oggetto di riguardo della corona. Il 9 gennaio 1382 Carlo III, su richiesta di Venuto Moleti e Roberto Paparone, sindaci dell‟università di Reggio, che avevano presentato alcune lettere regie transuntate in rogiti, inviò lettera al mastro giustiziere del regno di Sicilia, al vicegerente del ducato di Calabria, al capitano della terra di Reggio ed altri ufficiali, mediante la quale confermava numerose precedenti disposizioni relative a concessioni di privilegi, grazie ed immunità, fatte alla predetta università dai suoi predecessori. Tra queste, una lettera del 1357, data a Messina, dei re Luigi di Taranto e Giovanna I relativa alla concessione di fiere di quindici giorni nel mese di agosto esenti da qualsiasi soluzione di diritti e gabelle256.

Il 16 gennaio 1382 dovendosi restaurare il castello di Reggio, il re ordinò al capitano della città di procedere ai lavori. A tali restauri erano tenuti diversi cittadini di Reggio, i cui nomi si riportavano nella lettera regia, andata persa a causa della perdita dei registri della cancelleria angioina. La torre maestra del castello di Reggio, detta la Magna de Cola, circondata da un muro, e la torre chiamata Lombarda, dovevano essere restaurate a spese della regia curia, come pure le fabbriche che erano nel castello accanto la chiesa; la torre Palombara a spese degli ebrei di Reggio; le spese per la torri di Mesa, San Niceto e Malerba erano invece a carico dei suoi abitanti. La chiesa del castello doveva essere restaurata con spese a carico dell‟abbazia di San Nicola di Calamizzi257,

San Giovanni Gerosolimitano, spettando, invece, tale incarico a Riccardo Caracciolo di Napoli, gran maestro dell‟Ospedale (cfr. ivi, fasc. II, p. 203).

252 Doc. n. 65.

253 Arcivescovo di Reggio dal 1372 al 1381, per il quale cfr. U

GHELLI, IX, coll. 329-330; GAMS, p. 917; TACCONE GALLUCCI, p. 400; EUBEL, I, p. 418; F.RUSSO, Storia dell’archidiocesi di Reggio Calabria, III, pp. 141-143.

254 A.V

ALENTE, I (1915), doc. n. 1, pp. 296-303.

255 E

UBEL, I, p. 418, nota 7; F.RUSSO, Storia dell’Archidiocesi di Reggio Calabria, III, pp. 143-144; FODALE, La Calabria angioino-aragonese, p. 228.

256 Doc. n. 62. L‟originale del documento è deperdito, ma ne esiste copia autentica trascritta nel ms. Urbs

Rhegina. Probabilmente è errata la lettura del nome di uno dei due sindaci, vale a dire quello di Roberto Paparone. Nell‟atto notarile del 22 maggio 1384, giuntoci invece nell‟originale, tra i sindaci reggini, insieme a Venuto Moleti, figura Martino Paparone (cfr. doc. n. 65).

257 Ben noti sono i monasteri italo-greci di Santa Maria di Terreti e San Nicola di Calamizzi, menzionati

nel Brébion bizantino di Reggio e nel Liber visitationis dell‟archimandrita Atanasio Calceopulo. Il Brébion è un censimento dei beni e del loro relativo valore appartenenti alla chiesa metropolitana di Reggio per stabilire i censi dovuti, in particolare per la coltivazione dei gelsi, da parte di monasteri appartenenti alla diocesi di Reggio o ad altre diocesi ed esponenti del clero. L‟inventario, seppur incompleto, riflette la floridezza economica della sede metropolitana reggina, che annoverava estese proprietà anche oltre i limiti della sua diocesi, e un reddito assai elevato, proveniente dalla gelsicoltura (sul Brébion di Reggio, sotto l‟aspetto

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mentre l‟impennata sull‟entrata della porta del castello era a carico dell‟abbazia di Santa Maria di Terreti258; al vescovo di Bova259 toccava far restaurare le stanze dove si trovavano la dispensa e la cucina; gli uomini del feudo di Leucio de Logotheta avrebbero restaurato il forno; l‟abbazia di San Giorgio de Enchia260 la sala grande; infine all‟università di Reggio toccava il restauro dei barbacani

circa balium ipsius castri cum porta balii261.

contenutistico e paleografico, si vedano i recenti studi di PETERS-CUSTOT, II, pp. 537-552; DEGNI, pp. 77- 83). In particolare su San Nicola di Calamizzi cfr. GUILLOU, p. 47, 179 (ll. 245-247); LAURENT,GUILLOU, pp. 38-44, 251-252, 278; SCADUTO, p. 186; F.RUSSO, Regesto Vaticano per la Calabria, I, pp. 171-172, nn. 1116, 1119; p. 179, nn. 1219-1220, 1223; ID., Storia della chiesa in Calabria, II, p. 366;MINUTO, Catalogo dei monasteri, pp. 6-22; ID., Ricerche sul territorio, p. 160; FALKENHAUSEN, Reggio bizantina e normanna, p. 279; MERENDINO, pp. 36-37, 39, 81-105.

258 Sul monastero italo-greco di Santa Maria di Terreti cfr. M

ANDALARI, pp. 32-36; ristampato con traduzione latina, ma privo del testo greco, in ID., Anecdoti di storia, bibliografia e critica, VIII, pp. 60-69; GUILLOU, pp. 26, 167 (l. 72), 179 (l. 246), 190 (l. 388); LAURENT,GUILLOU, pp. 45-49, 249-250, 274-275; F. RUSSO, Regesto Vaticano per la Calabria, I, pp. 171-172, nn. 1116, 1119; p. 179, nn. 1219-1220, 1223; ID., Storia della chiesa in Calabria, II, p. 366;FALKENHAUSEN, Reggio bizantina e normanna, p. 279; LUCÀ, Una menzione di Terreti, pp. 21-40. Tra i documenti più antichi riguardanti il monastero di Terreti, si conservano un diploma del maggio 1090, traduzione latina di un originale greco, del conte Ruggero I che concede a Nicodemo, archimandrita di Santa Maria di Terreti e San Nicola di Calamizzi diritti di pascolo e di pesca, disposizione che fu rinnovata nel giugno 1115 da Ruggero II, ed un altro di giugno 1121 (cfr. HUILLARD-BRÉHOLLES, II.1, pp. 440-442; CASPAR, p. 489, n. 28; p. 493, n. 41; anche in traduz. italiana: Ruggero II e la fondazione della monarchia normanna di Sicilia, p. 451, n. 28; p. 455, n. 41; BECKER, doc. 3, p. 299). Nel febbraio del 1209, con diploma emanato a Palermo dal cancelliere Gualterio de Palearia, Federico II confermò a Giovannuccio, archimandrita di Santa Maria di Terreti, tutti i privilegi concessi dal re Ruggero II e dai suoi predecessori, e concesse tutte le obbedienze che si trovavano nel tenimento di Reggio, a Mesa, Sant‟Agata e San Niceto con la metà delle saline e le obbedienze di Tuccio con i suoi mulini e villani, con esenzione da ogni angheria e senza tributo di pascolo, erbaggio e glandaticum per gli animali (cfr. HUILLARD-BRÉHOLLES, II.1, pp. 442-444; KOCH, doc. n. 87, pp. 171-173). Tutti i privilegi, rinnovati ulteriormente nel 1224 da Federico II (BÖHMER, Regesta Imperii V,1,1, p. 314, nn. 1535-1536), si trovano inserti in un instrumentum renovationis del 30 aprile 1252, rogato, su richiesta di Nifo archimandrita di Terreti, dal magister Nicandro notaio di Reggio in presenza dei giudici reggini Giovanni de Leandro (che sottoscrive in greco), magister Basilio Taqui e magister Nicola de Zito e dei testimoni Guglielmo de Cantabea, Enrico de Cillio, Guglielmo de Leandro notaio di Reggio, e del prete Eugenio protopapa di San Niceto, conservato nella biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria (pergamena segnatura n. 9 AA III 25, pubblicati in HUILLARD-BRÉHOLLES, II.1, pp. 439-446, con regesto in PARISIO, pp. 768-770, doc. n. CXC bis, e menzione nell‟inventario di S.PALMIERI, Le pergamene della Società Napoletana di Storia Patria, p. 48).

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Alla data del documento era vescovo di Bova Guglielmo, protopapa della stessa cattedrale, succeduto nel 1375 a Gerasimo e morto nel 1384, ignorato sia dall‟Ughelli che dal Gams (cfr. EUBEL, I, p. 143; Acta Gregorii P.P. XI, doc. 182, pp. 358-360).

260 Non è noto il monastero di San Giorgio de Enchia, forse già in abbandono ai tempi della visita del

Calceopulo. A Reggio è ricordata una chiesa di San Giorgio de Gulpheriis o intra, distinta dall‟altra detta extra, ovviamente in riferimento alla loro ubicazione all‟interno o al di fuor del perimetro della cinta muraria (cfr. F.RUSSO, Storia dell’archidiocesi di Reggio, I, p. 359; MINUTO, Catalogo dei monasteri, pp. 4-5). Una chiesa di San Giorgio di Reggio, insieme a quella di San Nicola (quasi certamente di Calamizzi), distrutta dagli arabi guidati da Benavert (Ibn el Werd) nell‟anno 1085 dopo il loro approdo a Nicotera, è ricordata nella cronaca di Goffredo Malaterra (GAUFREDI MALATERRAE, lib. IV, c. I, p. 85; SPANÒ BOLANI, Storia di Reggio Calabria, ediz. 1857, I, p. 142; ediz. 1993, p. 193). Potrebbe trattarsi del monastero di San Giorgio, appartenente alla metropolìa di Reggio, menzionato nel Brébion di Reggio con precisa indicazione dei confini (GUILLOU, pp. 10, 70-71, 194 ll. 440-446), oppure del monastero di San Giorgio nel territorio di Bova (ibidem, p. 185 l. 327), che Domenico Minuto identifica anche con il metochion di San Giorgio di Tuccio (MINUTO, Catalogo dei monasteri, pp. 153-157). Ciò non può essere, perché come ha dimostrato Santo Lucà, quello di Tuccio, situato comunque molto vicino a Reggio, non era un monastero ma una chiesa. Intorno al

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Il 3 luglio dello stesso anno, dovendosi versare al nobile Cirello Ayossa, di Napoli, milite e consigliere regio, un annuo reddito di duecento once derivanti dai diritti sulla secrezia del ducato di Calabria, con ritenuta di cinquanta once da pagare per alla regia corte, re Carlo III ordinò ai giustizieri, capitani, erari, camerari, commissari ed ufficiali che ogni anno, a partire dal prossimo di VI indizione in poi, gli assegnassero, consegnandola al prefato Cirello o al suo procuratore dietro rilascio di debita apodissa da parte di costoro, la somma di centocinquanta once l‟anno da prelevare sulle entrate derivanti dalla gabella del primo e secondo dono, versata dagli abitanti delle terre di Reggio, Calanna, Valle Tuccio, Amendolea, San Niceto, Pentedattilo, Torre di Marina di Salso, Bruzzano, Palizzi, Fiumara di Muro, Oltre Mesa e Bova262.

Il re poi, il 18 agosto, inviò un altro mandato al milite Cirello Ayossa263, capitano di Reggio, perché la terra di Sant‟Agata fosse aggregata alla capitanìa di Reggio. Su di essa il capitano avrebbe avuto poteri di mero e misto imperio e di gladio264.

Il 16 giugno 1383 il sovrano, su petizione dei sindaci dell‟università di Reggio, ordinò che giudici e notai degli atti potessero ricevere per l‟esame dei testimoni non oltre due grana per ognuno e che per la copia delle testimonianze prendessero non oltre quanto permesso dai capitoli del regno; che gli ufficiali fossero sottoposti a giudizio dai loro successori e da una persona scelta dall‟università di Reggio; che nessun cittadino dell‟università di Reggio potesse ricoprire cariche di ufficiali nella predetta città; che sindaci e capitani di Reggio, per meglio svolgere il loro ufficio, potessero reclutare un servitore da loro scelto; che capitani e ufficiali non potessero procedere contro qualcuno ex officio, se non si fosse presentato il denunciante con idonei fideiussori sulla dimostrazione dell‟accusa, sotto pena del taglione e pagamento di spese d‟indennizzo al denunciato; infine, che fosse restituito ai legittimi proprietari il sale sottratto in un magazzino da

1200 circa divenne metochion del monastero del San Salvatore de Lingua Phari di Messina. La chiesa di San Giorgio di Tuccio possedeva una ricca biblioteca di cui si è conservato l‟inventario. Cfr. MERCATI, pp. 170- 171; F.RUSSO, Storia della Chiesa in Calabria, I, p. 233; ID., Regesto Vaticano per la Calabria, I, p. 367 n. 5859, p. 372 n. 6014, p. 377 n. 6120, p. 420 n. 6704; LUCÀ, Una nota inedita del cod. Messan. gr. 98, p. 32 nota 5; ID., L’inventario di libri e suppellettili della chiesa di San Giorgio di Tuccio, pp. 511-521; FALKENHAUSEN, Reggio bizantina e normanna, pp. 279-280; ROGNONI, Les actes privés grecs de l’Archivo Ducal de Medinaceli (Tolède), II, pp. 24-25 e doc. 20, p. 129 (l. 6); doc. 21, p. 313 (l. 29); doc. 40, p. 198 (l. 9), doc. 53, p. 258 (l. 15), dove è menzionato solo come toponimo e idronimo. Il monastero di San Giorgio della metropolìa di Reggio è localizzato presso Laganadi vicino la sponda destra del Gallico (MINUTO, Ricerche sul territorio, pp. 159-160).

261 B

ARONE, Notizie storiche tratte dai Registri di Cancelleria di Carlo III di Durazzo, XII (1887), fasc. I, pp. 18-19.

262

Doc. n. 63.

263

Il capitano Cirillo Ayossa, secondo lo Spanò Bolani, morì nel 1387 (cfr. SPANÒ BOLANI, Storia di Reggio Calabria, ediz. 1993, p. 278). Tuttavia, come si legge da una nota tergale del doc. n. 69, risulta già esser defunto alla data del 3 aprile 1386.

264 Il documento, emesso a Napoli per mano di Gentile de Merolinis di Sulmona, giuntoci in copia

semplice eseguita da Salvatore Blasco, si trova nell‟Archivio di Stato di Reggio Calabria, Raccolte e Miscellanee, Statuti, capitoli, grazie e privilegi, Fondo Carte Salvatore Blasco, Busta 2, fasc. 156, cc. 1r-2v. Fu estratto dal Registro Angioino degli anni 1382-1383, vol. 359, folio 194 a tergo, andato distrutto, e recava la nota di cancelleria «De curia».

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Anello Arcamone, di Napoli, dottore in legge, commissario sulle nuove gabelle imposte nella provincia di Calabria, e fosse intimato agli ufficiali di San Niceto di non commettere vessazioni e sottrazioni di beni nei confronti dei Reggini265.

I rapporti tra il re e il papa, nel frattempo, erano rimasti buoni fino all‟autunno del 1383, quando Urbano VI si diresse a Napoli, nonostante il parere contrario di una parte del Collegio cardinalizio. Il pontefice, preoccupato per la spedizione di Luigi d‟Angiò, pare disapprovasse la condotta militare del re266. L‟incontro con Carlo III avvenne il 30 settembre 1383 nei pressi di Aversa. Urbano VI rifiutò di essere suo ospite nel castello di Aversa, preferendo dimorare nell‟arcivescovado, dove si svolsero i primi colloqui. Tra il 30 e il 31 ottobre il re cercò inutilmente di piegare il papa alle sue richieste in favore dei cardinali. Urbano VI accompagnò il rifiuto con l‟invito a non interessarsi degli affari della Chiesa e fece rimostranza per la condotta e le inadempienze del re, tra le quali anche la mancata immissione del nipote nella maggior parte dei feudi assegnatigli. Lo scontro si concluse la notte tra il 31 ottobre e il 1º novembre con l‟arresto di Urbano VI, un atto che, per sua natura così grave e assai pericoloso per le particolari condizioni del Regno, doveva essere stato motivato da altrettanto gravi ragioni e interessi. Il 16 dicembre il trasferimento del pontefice all‟arcivescovado pare indicare il perfezionamento degli accordi di Aversa267.

All‟inizio del 1384 le relazioni col papa sembravano tornare alla normalità. L‟invasione del Regno da parte dello scismatico duca d‟Angiò aveva creato una situazione di comune pericolo ed aveva indotto re e papa, forzatamente riconciliati, ad unire le forze nella crociata contro Luigi, bandita dal papa il 1º gennaio268. Il 18 aprile Carlo III partiva da Napoli, affidando la reggenza alla regina Margherita. Nel corso delle operazioni militari, condotte con tattica temporeggiatrice senza scontri di rilievo, il 20 settembre l‟avversario angioino moriva a Bari e la guerra aveva fine269.

La morte di Luigi riaccendeva però tra Carlo III ed il pontefice rancori provvisoriamente sopiti. Sfruttando il clima di apparente riconciliazione, e probabilmente agevolato dalla partenza del re, il papa aveva abbandonato Napoli nel giugno 1384, rifugiandosi nel castello di Nocera, feudo del nipote270. La partenza era stata certamente considerata con sfavore dalla corte durazzesca, perché riduceva la possibilità di controllo dell‟azione del papa. Alcuni provvedimenti finanziari adottati dalla reggente offrirono poi occasione di rinnovato conflitto. L‟11 gennaio 1385 il papa ordinava

265

Doc. n. 64.

266 F

ODALE, Carlo III d’Angiò Durazzo, p. 237.

267 C

AMERA, Elucubrazioni storico-diplomatiche su Giovanna I, pp. 318-319; PEYRONNET, p. 350; G. GALASSO, Il regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese, pp. 237-238.

268

CAMERA, Elucubrazioni storico-diplomatiche su Giovanna I, p. 320.

269 Ibidem, p. 321; L

ÉONARD, p. 601; PEYRONNET, p. 351; GALASSO, Il regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese, pp. 236-237.

270 C

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l‟arresto di sei cardinali con l‟accusa di aver congiurato contro di lui d‟accordo con i sovrani napoletani, mentre il 19 febbraio veniva posto l‟assedio al castello di Nocera271.

Nella lotta tra Luigi I d‟Angiò e Carlo III di Durazzo, Nicolò Ruffo, conte di Catanzaro, parteggiò per quest‟ultimo. Il conte di Catanzaro, il 10 gennaio 1385, era incaricato dalla regina Margherita, assieme ad altri baroni fedeli, di raccogliere denaro, a titolo di donativo, per sostenere la milizie al servizio del re poiché continuavano nel ducato di Calabria i moti dei nemici e dei ribelli, guidati da Tommaso di Sanseverino272.

Il 15 gennaio il papa, a sua volta, depose e scomunicò il re e la regina, ritenendoli complici della congiura destinata a rovesciarlo. Pose quindi sotto interdetto la capitale e ogni terra aderente ai Durazzo, ma Carlo III ne vietò l‟osservanza. Dalla Puglia, dove l‟esercito angioino era ormai in rotta, il re si affrettava intanto a tornare a Napoli e vi giungeva a fine gennaio 1385273.

Per favorire una soluzione pacifica del conflitto, nel febbraio ridusse l‟assedio di Nocera, ma Urbano VI manifestò una ferma opposizione al re, dimostrandosi invece interessato a stabilire un rapporto diretto con i Napoletani, anche aderenti al partito angioino. Il rifiuto del papa alle trattative, ma più ancora la scoperta delle trame pontificie e soprattutto l‟arrivo a Nocera, nel marzo 1385, delle prime truppe angioine al comando di Raimondo del Balzo Orsini, indussero Carlo III a riprendere la guerra, che culminò il 24 marzo con la cattura del nipote del papa. Le azioni militari si alternavano però a nuovi, ma vani, tentativi di intavolare una trattativa, finché il 7 luglio gli assedianti furono messi in fuga da Tommaso Sanseverino, che riuscì a liberare il papa. La condiscendenza di Carlo III verso le richieste del papa indica l‟intenzione del re di riaprire le trattative e già il 27 settembre partiva da Napoli un‟ambasceria diretta al papa. La liberazione del pontefice Urbano VI, che annullava le speranze di neutralizzarlo, il successo del partito angioino, l‟intervento della Repubblica di Genova, l‟imminente partenza per l‟Ungheria spinsero sempre più Carlo III, e poi Margherita, a cercare un accordo274.