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139 novembre dell‟anno precedente

1. I diplomi alla città di Reggio di Filippo II e III.

Nel 1556 Carlo V abdicò a favore del figlio Filippo II. In Calabria tra il 1506 ed il 1561 si era frattanto assistito ad un forte incremento demografico ed alla progressiva trasformazione socio- economica, segnata dalla diffusione del fitto e dell‟enfiteusi al posto della gestione diretta, dal grande frazionamento della proprietà, dalla pronta commercializzazione della produzione che determina soprattutto esportazione di seta ed importazione di grano. A Reggio si verifica l‟emergere dei Mileto e Bosurgi, famiglie di grossi proprietari urbani fortemente legate alla Curia620.

Dopo i privilegi del 1503 e 1521 conferiti a Reggio e l‟adozione delle gabelle nel 1539, la città aveva avuto un notevole sviluppo che l‟aveva portata a predominare sulla campagna621. Filippo II re di Sicilia e principe di Spagna, su richiesta di Camillo de Diano, miles, U.I.D., e Bernardo Mosolino, sindaci di Reggio, il 24 luglio 1555, da Hampton, confermò alcuni privilegi già concessi dai precedenti sovrani alla predetta città622.

Ancora da Hampton il 24 luglio 1555, in considerazione degli incendi e dei danni arrecati negli anni passati alla città di Reggio dalle flotte Turche e Francesi e dal condottiero Enobarbo623, confermò l‟esenzione e la franchigia dal pagamento delle funzioni fiscali ordinarie e straordinarie e di qualunque altro genere di contribuzione, tra cui quella di quattro grani per il focatico e i servizi e quella dei donativi, per lo spazio di venti anni a partire dal giorno dell‟invasione nella predetta città, già concessa mediante le lettere imperiali date a Ratisbona il 1° agosto 1546 e ad Augusta il 13 novembre 1550 e dalla consulta e delibera della regia camera della Sommaria. Inoltre, in seguito alle incessanti incursioni Turche perpetrate negli ultimi anni, per consentire di riparare i danni e ricostruire le case incendiate, prorogò la stessa franchigia per altri dieci anni al termine dei primi venti624.

620 COLAPIETRA, pp. 162-163. 621 Ibidem, p. 170.

622 Doc. n. 145. Si tratta della conferma dei docc. nn. 130, 127, 115, 111, 128, 116, 105, 123, 138, 5, 137,

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623 È il pirata e ammiraglio turco Khair ad-Din (1465-1546), signore di Algeri e Tunisi, più noto come il

Barbarossa. Salpato nell‟aprile del 1543 da Costantinopoli, la sua flotta giunse a Reggio il 20 giugno e attraccò nella rada di Calamizzi. Saccheggiata la città, il Barbarossa partì per Nizza, portando molte persone ridotte in schiavitù, dopo aver fatto una sosta a Tropea (cfr. G.VALENTE, pp. 153-156).

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Lo stesso anno, il 23 ottobre, Bernardino de Mendoza625, capitano generale dei triremi di Spagna, luogotenente e governatore del regno di Sicilia, inviò lettera al gran camerario del regno, al mastro giustiziere, al protonotaro, al sacro regio Consiglio, al luogotenente, presidenti e razionali della Sommaria, reggenti e giudici della gran corte della Vicaria, tesoriere generale, avvocati e procuratori fiscali ed ai governatori e uditori della provincia di Calabria, al capitano, giudici, secreto e altri ufficiali della città di Reggio, con la quale ordinava loro di rispettare il privilegio di Filippo II del 24 luglio 1555, a lui presentato dall‟università e dagli uomini dell‟università di Reggio626.

Alcuni giorni dopo, il 29 ottobre, Ferdinando Francesco d‟Avalos-Aquino, marchese di Vasto e Pescara, principe di Montercole e Francavilla, conte di Monteodorisio e Loreto, consigliere e collaterale regio, gran camerario, luogotenente e presidente della regia camera della Sommaria, inviò lettera al regio tesoriere di Calabria con la quale ordinava di rispettare il privilegio di Filippo II del 24 luglio 1555 e la lettera esecutoria di Bernardino de Mendoza del 23 ottobre dello stesso anno, a lui presentati dall‟università e dagli uomini dell‟università di Reggio, sotto pena di mille ducati per i contravventori627.

Nel 1559 re Filippo II, morendo, lasciò il trono al figlio Filippo III. Egli l‟11 febbraio 1609 da Madrid, in seguito alla richiesta presentata da Marcello la Boccetta, U.I.D., procuratore e mandatario della città di Reggio, approva e conferma i capitoli già concessi alla città il 7 febbraio 1521 dall‟imperatore Carlo V, per la fedeltà dimostrata verso la corona e per i danni patiti a causa delle incursioni della flotta Turca628.

Nel 1621 re Filippo III morì e il trono passò al figlio Filippo IV. Sotto il regno di quest‟ultimo, il 28 dicembre 1647, da Catanzaro, il mastro di campo Roberto Dattilo, marchese di Santa Caterina, inviava mandato al magnifico Antonio Coppola, regio mastro portolano e secreto della provincia di Calabria ultra, perché impartisca l‟ordine di far spedire duemila tomoli di grano da Crotone verso la città Reggio, evitando così possibili disordini nella città a causa della mancanza di viveri essendo già state esaurite le scorte629.

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Bernardino de Mendoza (1501-1557), per un breve periodo compreso dal 23 marzo 1555 a febbraio del 1556, fu luogotenente del viceré di Napoli. Il vicerè Pietro Pacecco, cardinale, che era stato nominato nel febbraio del 1553 dopo la morte di Pietro de Toledo, in quel periodo dovette portarsi a Roma per il conclave, essendo morto, dopo appena venti giorni dalla consacrazione, papa Marcello II, succeduto a Giulio II (cfr. GIANNONE, VIII, libro XXXIII, p. 196; ULLOA, p. 241t; PARRINO, pp. 225-227).

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Doc. n. 147.

627 Doc. n. 148. 628 Doc. n. 149. 629 Doc. n. 150.

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Conclusioni

L‟edizione critica delle pergamene della Biblioteca “Pietro De Nava” di Reggio Calabria, comprese tra i secc. XIII e XVI, si è rivelata di particolare interesse per la materia da esse trattate relativa ad aspetti e problematiche di natura politica ed istituzionale del Mezzogiorno, in riferimento, soprattutto, ai rapporti ed alla dialettica tra la città dello Stretto ed i sovrani Angioini ed Aragonesi. In epoca normanno-sveva città e Corona rappresentavano forze politiche in opposizione, ora, con la nuova fase di dominio, si stabilisce una conciliabilità tra la sovranità monarchica e quella delle magistrature e degli organi rappresentativi e di governo delle

universitates. Mentre nell‟Italia settentrionale si assiste alla formazione e consolidamento di

comuni e signorie, oggetto di moltissimi approfonditi studi, le università del Mezzogiorno avevano un governo locale con poteri molto limitati: basti pensare che ai capitoli presentati dalle università sotto forma di suppliche, seppur deliberati dai parlamenti e dai consigli cittadini, andava sempre apposto il placet regio.

Ad emegere dalla documentazione è sicuramente è la vitalità di Reggio, che soprattutto per la sua posizione strategica sul mare, a ridosso della Sicilia, si poneva come più importante centro della regione, quale sede periferica tenuta in stretta considerazione dal governo centrale deciso, comunque, a contenere le oligarchie cittadine costituite dal patriziato e dalla nobiltà feudale locale a favore di un patriziato urbano in costante crescita sociale ed economica.

I documenti esaminati ci consentono di ricostruire la gestione istituzionale della città di Reggio e le dinamiche degli equilibri di potere, di seguire dettagliatamente il processo di formazione degli organi di governo cittadino, l‟evoluzione della prassi amministrativa, le competenze e la composizione cetuale del consiglio cittadino. Le disposizioni regie emesse a favore della città, poste in relazione ai contenuti delle suppliche avanzate dall‟università, circoscrivono in maniera puntuale l‟area del privilegio cittadino, facendo emergere le peculiarità e le vocazionalità economiche della città, la gerarchia dei legami con il distretto territoriale e con le realtà limitrofe, rimarcando anche il rapporto istituzionale tra la comunità locale e l‟autorità regia.

La trascrizione e lo studio dei documenti ha consentito di conoscere approfonditamente la vita politico-amministrativa e socio-economica di Reggio tra la fine del XIII ed il XVI secolo. Nella stessa città svolgevano un ruolo importante i secreti ed i portolani, addetti rispettivamente al drenaggio delle risorse provenienti dalle imposte indirette e dai proventi della dogana ed in particolare dal ius exiturae. Le loro cariche, inoltre, quasi mai coincidevano, anche per via dei divervi ambiti territoriali del loro ufficio, come avveniva invece per per quelle di capitano e castellano.

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I re angioini possedevano prerogative sulla distribuzione e compravendita di alcuni beni, come sale ferro, acciaio e pece. In particolare, il controllo delle saline, della produzione, dei prezzi e dell‟esportazione del sale, era per la corte fonte di notevole guadagno ed il suo contrabbando veniva perseguito, anche perché il ricavato della relativa gabella era spesso utilizzato dai sovrani per le emergenze belliche. L‟università reggina aveva anche facoltà, previa autorizzazione regia, di istituire nuove imposte per le spese interne e straordinarie, che si aggiungevano alle gabelle che il re si riservava di esigere come introiti di legittimi cespiti fiscali.

Nel 1268 la città di Reggio, sotto la spinta della fazione ghibellina filo-sveva, fu tra le prime della Calabria ad insorgere contro gli Angioini, motivo per cui subì una forte repressione. La confisca dei beni dei rivoltosi permise a Carlo I d‟Angiò di consolidare la conquista rinnovando i quadri della feudalità del Regno, immettendo funzionari francesi nelle principali cariche istituzionali, negli uffici amministrativi e giurisdizionali e, ancor più, nel possesso dei feudi.

La maggior parte dei feudatari che in quegli anni si insediarono nel Mezzogiorno peninsulare provenivano dai più grossi centri provenzali e costituivano una nobiltà tipicamente urbana, che non sarebbe quindi riuscita ad inserirsi senza traumi nel contesto calabrese, i cui feudi regi più importanti erano di dimensione considerevole. Sono indicative le inchieste disposte dal sovrano contro il malgoverno dei suoi amministratori e le lamentele da parte di signori regnicoli, mercanti peninsulari e comunità urbane. Il fatto che tale nobiltà transalpina fosse costituita da cadetti di importanti famiglie e da piccoli feudatari denuncia il diffuso malessere sociale da tempo in atto in Provenza e indica, da una parte, l‟esigenza di trovare nuovi spazi nel regnum da parte di coloro che si erano compromessi politicamente con il potere comitale, dall‟altra la necessità dell‟Angioino di liberarsi dei più facinorosi signori della contea e di utilizzarli nelle terre del Regno.

In questo tempo nella città era ancora predominante la componente etnica, religiosa e culturale greca, che per molto tempo aveva occupato le più importanti cariche amministrative della città, ora assegnate ai funzionarî provenzali, che unitamente ad una folta comunità di Ebrei, facevano di Reggio un centro multietnico.

L‟appropriazione di beni sottratti ai feudatari legati alla precedente dinastia, l‟imposizione di nuove tasse (la stessa università di Reggio, nel 1275, fu anche obbligata a riparare parte della mura del castello), la sua politica dispendiosa e lo spostamento della capitale da Palermo a Napoli provocarono nel 1282 l‟inizio dei Vespri siciliani. A Reggio, centro di nevralgica importanza per la sua posizione strategica, furono raccolte le provviste necessarie per le truppe. I rivoltosi ed i baroni, che avevano aderito alla sommossa, sollecitarono l‟intervento di Pietro III d‟Aragona, rappresentante della tradizione ghibellina antipapale, nelle cui mani, nel 1283, passò la città che, nel corso dell‟assedio angioino, aveva nuovamente subito ingenti danni. Ciò le valse, da parte dei regnanti aragonesi, la concessione di numerose franchigie (come l‟esenzione dall‟obbligo di pagare

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le collette, sovvenzioni, tasse sui beni esistenti nelle terre limitrofe e dalle gabelle per i diritti di marineria) ed il divieto agli ufficiali di non obbligare nessun cittadino a svolgere commissioni fuori dalla città e dal suo tenimento senza preventivo ordine regio.

La permanenza sotto gli Aragonesi fu ben accetta ai Reggini che avevano l‟interesse a mantenere le naturali relazioni economiche e commerciali con Messina, priva di retroterra agricolo, e con la Sicilia orientale, dove trovavano i loro mercati tradizionali i prodotti dell‟agricoltura calabrese, in particolare grano, olio e vino, ma anche il legname per le navi e le costruzioni, i prodotti serici e la richiestissima pece che si otteneva solo in Calabria. Al punto che Reggio, la cui economia era strettamente integrata con quella messinese, era divenuta un‟appendice siciliana.

Durante il conflitto insorto tra Giacomo II e Federico III, Reggio fu nuovamente oggetto di movimentate vicende. Ai primi di maggio del 1296 Federico III vi entrava con un forte esercito. La città gli dichiarò fedeltà, ottenendone la conferma dei precedenti privilegi, tra cui ancora quello dell‟esenzione dalle gabelle per i diritti di marineria e di poter esportare dalla città per il regno, o da questo importare in essa, di comprare o vendere qualsiasi cosa senza esser tenuti al pagamento di alcuna imposta doganale. Ne emerge un significativo quadro di una città molto dinamica dal punto di vista commerciale, forte soprattutto per i suoi traffici marittimi.

Nell‟estate del 1299 tutta la Calabria ritornava angioina. Soltanto Reggio, legata a Messina, resisteva agli attacchi del duca di Calabria, il quale dopo poco l‟assediò. La guerra fu conclusa con la pace firmata nel 1302 a Caltabellotta tra Federico III e Carlo II d‟Angiò. Una delle conseguenze del trattato che sanciva il distacco delle due parti del regno, il meridione insulare aragonese da quello continentale angioino, fu che la Calabria, per lungo tempo collegata alla Sicilia e che aveva tentato di associarsi alla sommossa siciliana, rimase congiunta al Regno di Napoli.

Sotto il ducato di Roberto d‟Angiò la Calabria otteneva una certa autonomia necessaria per il suo reinserimento nel tessuto politico ed amministrativo e nelle struttura feudale del regno di Napoli. Uno dei primi provvedimenti per risanare l‟economia di Reggio, messa in ginocchio dal conflitto del Vespro, fu l‟ordine imposto nel 1303 ai capitani di Reggio di non importare e vendere vino in quella città che non provenisse dalle vigne del territorio circostante, per non danneggiare i cittadini che vivevano dei redditi derivanti dal vino da loro prodotto, e la conferma dell‟esenzione per cinque anni dal pagamento dei diritti di marineria. Nel 1306 soggiunse quella dal pagamento dei diritti di raccolta del legname. Se ne deduce, dunque, che la città avesse una solida base economica fondata non soltanto sui traffici commerciali marittimi, ma legata ancor più alla produzione agricola nell‟entroterra ed allo sfruttamento delle risorse boschive.

Tra il 1314 ed il 1316 gli Aragonesi ebbero nuovamente il possesso di Reggio e delle terre limitrofe. Da Federico III gli abitanti nel 1316 ottennero che fossero immuni dal pagamento del diritto di dogana per le merci che avrebbero venduto o comprato nella città di Messina. Ben presto,

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però, la città fu integrata al regno Angioino e considerata da Roberto d‟Angiò parte integrante del Regno e non solo più una gestione per conto della sede apostolica.

Reggio visse in quegli anni un periodo difficile dovuto alla carestia, agli effetti di una lunga ed estenuante guerra, alla separazione da Messina e, in particolar modo, alla difficoltà di pagare il soldo alla guarnigione angioina di guardia al castello. Nel 1325 Carlo, duca di Calabria, in considerazione dei danni subiti dalla città, concesse ai Reggini di non versare i diritti di marineria per altri cinque anni; che il foraggio destinato alla curia fosse affidato a qualcuno del tenimento reggino; che i Reggini fossero esenti, per tutto il corso della guerra, dal pagamento delle collette, dei doni e degli oneri fiscali; che per ciascuna salma di vino da importare in città fossero versati due tarì d‟oro da destinare alla riparazione delle mura cittadine.

Nel 1326 la città ottenne anche alcune vantaggiose condizioni di natura amministrativa. Roberto concesse che ogni anno l‟università potesse eleggere alcuni nobili cittadini che avrebbero dovuto trattare i negozi della predetta università. Il re, l‟anno seguente, autorizzò i naviganti con i loro vascelli e galee ad introdurre nella città di Reggio mille salme di frumento, senza dover pagare alcun diritto di pedaggio, passaggio, di dogana e di fondaco. Tre giorni dopo il duca Carlo, per la mancanza di vettovaglie, concesse di far estrarre dai porti del ducato mille salme di frumento, senza dover pagare il diritto del tarì e della ventesima, ma solo quello della dogana.

I successivi diplomi a favore della città di Reggio furono emessi dalla cancelleria intitolati direttamente al nome di re Roberto. Nel 1330, infatti, il sovrano, vista la penuria di vettovaglie, invitò tutti coloro che nel ducato di Calabria ne possedessero oltre il necessario, a rifornirne la città vendendole ad un prezzo ragionevole, ed esentava i Reggini dal pagamento del diritto di marineria e di fornitura del legname dovuto alla regia curia. Nel 1334 prendeva provvedimenti a favore della città contro gli abusi perpetrati dai capitani, togliendo loro l‟uso delle quattro lettere arbitrarie. Peraltro, nello stesso anno, fu nominato capitano della città il conte di Sinopoli Guglielmo Ruffo.

Da questo momento iniziarono gli attriti guerre tra i baroni e le universitates. La stessa Reggio entrò in contrasto proprio con il conte di Sinopoli per motivi di confine. Certamente il conte di Sinopoli nutriva mire espansionistiche su Reggio, tese ad imporre il radicamento feudale nel suo territorio, se già in quegli anni era stato accusato insieme al fratello Ruggero, che abitava a Reggio, di aver occupato parte della cinta muraria della città con costruzioni abusive. Le interferenze del conte di Sinopoli nella città non piacquero ai Reggini. Guglielmo Ruffo, a lungo osteggiato, forte del sostegno del re, nel 1339 condonò tutte le offese commesse dagli uomini di Reggio, rinunciando a fare qualsiasi denuncia dinanzi ai giudici.

Agli inizi del regno della regina Giovanna I Reggio tornò ad essere punto di concentrazione delle milizie nell‟attesa della spedizione in Sicilia. Per alleviare alla città il peso di oneri e spese, nel 1345, la regina Giovanna confermò le grazie, già concesse dai suoi predecessori, relative

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all‟esenzione dal versamento di collette, doni e donativi fiscali durante la guerra, trovandosi la città di Reggio posta alla frontiera con i nemici e patendo assiduamente danni e pericoli. A favore dell‟economia locale, impartì ai capitani l‟ordine di non introdurre e vendere vino che non provenisse dalle vigne del territorio circostante. Ciò nonostante, gli abitanti di Reggio continuarono a denunciare il malgoverno degli ufficiali angioini e la mancata riparazione delle mura cittadine, i cui lavori furono interrotti dopo che le somme stanziate erano state utilizzate per pagare le truppe.

In questo tempo Reggio si trovò spesso in conflitto contro l‟universitas della vicina terra di Sant‟Agata, che era stata dichiarata in perpetuo terra demaniale nel 1341 da re Roberto, i cui abitanti lamentavano le prepotenze e le vessazioni dei Reggini che li obbligavano a contribuire alle spese per la riparazione di mura, torri e porte d‟accesso alla città. Nel 1351 Luigi di Taranto e Giovanna I decretarono la fine della condizione di demanialità e la sua incorporazione all‟università di Reggio, sottoponendola al capitano della predetta città, con l‟obbligo di contribuire a versare i diritti di regalìa, bagliva, mortizzo, passaggio, pedaggio e tutte le altre funzioni fiscali. I contrasti tra le due università continuarono anche negli anni successivi. Nel 1362, infatti, la regina ordinò agli ufficiali di difendere e tutelare i cittadini di Reggio nell‟uso dell‟acqua, dei pascoli e della legna dei boschi, che avevano comune con gli abitanti della terra di Sant‟Agata, dalle aggressioni e molestie di quest‟ultimi. Nel 1365 assegnava il beneficio di tenere la fiera, che si celebrava ogni anno nel mese di luglio nel tenimento della chiesa di San Sperato, all‟università reggina, affidandone la custodia ai capitani e mastrigiurati della città, senza che fosse perpetrata alcuna molestia da parte degli uomini della terra di Sant‟Agata.

Per intervento regio, nel 1352, i Reggini non furono più costretti dagli ufficiali a mettere a disposizione i loro letti, portare legna o fornire animali per i loro servigi, senza adeguato pagamento. La regina ordinò anche che capitani, giudici, notai d‟atti e qualunque ufficiale non potessero prendere la casa dei privati senza pagare il fitto, né potessero lasciare Reggio, al termine del loro mandato, senza essere stati sindacati personalmente; che nessuno esercitasse turpemente il baratto sia fuori che dentro la città; infine, che nessun barone o conte potesse entrare in città con più di dodici familiari, né dimorare più di un giorno e di una notte.

Nel 1356 la città fu tutelata dai sovrani contro l‟abuso dei capitani che sottraevano orzo, lupini e foraggio ai signori delle terre intorno, e mettevano i cavalli a pascolare nei seminati di fagioli, negli orti e nelle vigne, danneggiando i loro raccolti. Nel 1357 ordinavano al mastrogiurato di provvedere alle guardie notturne, anziché farle fare ai Reggini, come accadeva in tempo di guerra.

Il continuo contrasto tra Angioini ed Aragonesi offriva alla città di Reggio, quale terra di