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Il regno della regina Giovanna

5. Le Compagnie di Ventura.

Il periodo che va dal 1366 al 1378 fu la fase più fortunata per Giovanna nell‟arco dei suoi quasi quarant‟anni di regno. I conflitti a corte si attutirono soprattutto per la morte della sorella e per tanti anni rivale di Giovanna, Maria, avvenuta tra maggio 1366 e giugno 1367. Il conflitto con Luigi d‟Ungheria aveva superato la fase più acuta sin dalla morte di Luigi di Taranto, tanto più che anche il re d‟Ungheria era senza discendenti diretti e perciò c‟era da attendersi l‟estinzione

210 L

ÉONARD, p. 529.

211 Ibidem, pp. 530-535. 212 Doc. n. 45.

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pure del ramo angioino ungherese. Entrambe le parti tentarono di assicurare la continuazione dei rami collaterali sia nel Regno sia in Ungheria attraverso matrimoni213.

La già ricordata distruzione dei registri della cancelleria angioina per gli ultimi anni di regno di Giovanna non consente in verità di stabilire se la regina si sia sforzata in questo periodo di promuovere riforme interne e una più energica repressione del brigantaggio e delle rapine dilaganti nel Regno. In ogni modo, negli stessi anni il Regno continuò a rimanere al riparo dalle aggressioni di compagnie di ventura214.

Già alla fine dell‟autunno o nell‟inverno 1360-61 John Hawkwood (Giovanni Acuto) si arruolò con la cosiddetta Compagnia Grande di Konrad von Landau, il ben noto conte Lando, con la quale si portò verso Avignone, sede del Papato, al fine di estorcere denaro. Il papa Innocenzo VI assoldò, alla fine, la stessa compagnia ed inviò diversi contingenti in varie direzioni lontane da Avignone215. È in questo momento che la carriera di Hawkwood prese contorni più netti, ricoprendo il ruolo di capitano nella Societas Anglicorum, che divenne nota in Italia come Compagnia Bianca, dalle insegne e dall‟armatura indossata dai suoi membri, che erano entrambe di colore bianco. Un contratto conservato presso l‟Archivio di Stato di Torino, datato 22 novembre 1361, indica che la compagnia era formata per la maggior parte da inglesi: quindici dei diciassette capitani avevano infatti nomi inglesi. Il capitano generale, invece, era un tedesco, Albert Sterz, che conosceva però la lingua inglese216.

Durante il 1365 e il 1366 Hawkwood, insieme al capitano di ventura italiano Ambrogio Visconti, figlio illegittimo di Bernabò, scorrazzò attraverso l‟Italia centrale, estorcendo denaro, per colpire obiettivi strategici, tra i quali Genova e le terre della Chiesa, che non erano in buoni rapporti con Milano. Urbano V tentò di indurre l‟Hawkwood e altri mercenari a partecipare alla crociata contro i Turchi, ma l‟Hawkwood preferì restare in Italia. Nell‟aprile 1366 il papa mise insieme una lega militare italiana destinata a eliminare il problema delle compagnie di ventura, ma i partecipanti (oltre il pontefice, Napoli, e Firenze che stipularono l‟accordo il 18 settembre 1366) erano, in realtà, d‟accordo solo nel proteggersi contro la formazione di nuove compagnie, riconoscendo implicitamente, quindi, i diritti di quella che già esistevano nella Penisola217.

Tra queste vi era quella del Baumgarten. Giovanni Baumgarten, noto anche come Bongardo, detto pure Anichino (da Hanneken, diminutivo basso-tedesco di Johannes), insieme al conte Lando, fu per lunghi anni capitano delle bande di mercenari tedeschi riunite sotto il nome di „Grande

213

KIESEWETTER, Giovanna I d’Angiò, pp. 468-469.

214 Sulle compagnie di ventura nel regno di Napoli si vedano C

AMERA, Elucubrazioni storico- diplomatiche su Giovanna I, p. 255; LÉONARD, pp. 472-473, 491, 545-546 e ss.; G.GALASSO, Il regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese, pp. 191-192, 206-207; DEFREDE, pp. 270-279.

215

CAMERA, Elucubrazioni storico-diplomatiche su Giovanna I, pp. 221, 225; CAFERRO, pp. 654-660.

216 Archivio di Stato di Torino, Trattati diversi, I, doc. 26. 217 Cfr. G.G

ALASSO, Il regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese, pp. 206-207; FODALE, La Calabria angioino-aragonese, p. 222.

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Compagnia‟ e, dopo la morte del Lando, avvenuta nel 1363, il loro unico condottiero. Il Bongardo, insieme al Landau, giunse in Italia già dal 1355, chiamato dal ribelle Ludovico di Durazzo. Nel corso di più di venti anni egli saccheggiò più volte le province italiane. Attirato da speranze di ricca preda, si lasciò indurre, tuttavia, dal predetto duca Ludovico di Durazzo a muovere verso il Regno di Napoli. Con una folta schiera di cavalieri tedeschi e ungheresi, nel novembre del 1360, egli assalì l‟Aquila, che riuscì a difendersi e respingerlo. Il Baumgarten svernò con le sue milizie nel castello di San Martino, per assediare poi nella primavera del 1361 Salerno. Il gran siniscalco Niccolò Acciaiuoli, tornato dalla Romagna in tutta fretta alla notizia della sua irruzione nel Regno, riuscì a ricacciarlo indietro rapidamente. Il Baumgarten si consolò devastando con la sua gente il territorio di Melfi. Quando il gran siniscalco poté assoldare 400 cavalieri ungheresi che si erano guastati col Baumgarten e, quindi, altri 2500 ungheresi che scorazzavano nel Regno, che pure avevano manifestato inizialmente il proposito di unirsi al Baumgarten, le sorti della guerra si risolsero decisamente a favore dell‟Acciaiuoli. Il Baumgarten si diresse allora a marce forzate versò Atella, città fedele a Luigi di Durazzo, e vi si trincerò. Solamente all‟inizio del 1362, dopo la sottomissione del Durazzo, fu costretto dall‟Acciaiuoli a ritirarsi. Dopo queste poco fortunate avventure meridionali, il Baumgarten ritornò al servizio di Bernabò Visconti, partecipando di nuovo alla guerra di Bologna, ma ben presto mosse con la sua schiera di nuovo verso sud e, chiamato da una parte della nobiltà romana, minacciò di puntare su Roma. Nel marzo del 1365 poté conquistare Vetralla218.

Papa Urbano V chiese due volte (il 1º marzo e il 6 giugno 1365) al legato Albornoz di accorrere con gli Inglesi in aiuto dei Romani, contro il Baumgarten. Il nipote del cardinale, Gómez Albornoz, assoldò di fatto la compagnia inglese e allestì, con l‟aiuto di Giovanna I di Napoli, un esercito. I due gruppi armati stettero per un mese (tra il giugno e il luglio del 1365) l‟uno di fronte all‟altro presso Vetralla pronti alla battaglia, finché si raggiunse alla fine, un accordo, in base al quale il Baumgarten cedeva Vetralla alla Chiesa dietro compenso e si ritirava verso Orvieto. A questo punto però la situazione si capovolse: Gómez Albornoz fu costretto dai suoi Inglesi, rivoltatiglisi contro, a porsi in salvo e a chiedere in condizioni di estrema necessità l‟aiuto del Baumgarten contro di loro. A San Mariano, presso Perugia, si venne ad una furiosa battaglia fra le due compagnie, che il Baumgarten poté vincere con l‟aiuto dei Perugini (22 luglio 1365)219

.

Nel gennaio del 1365 è attestata la presenza di Giovanni di Minuccio, giurista e diplomatico collaboratore del cardinale Egidio Albornoz, a Pescina, nella Marsica, insieme con Guglielmo Cogno o Gascone (detto anche William Cook, Guglielmo Gott e Cocco Inglese, futuro vescovo di Siena) quale testimone del contratto di condotta della durata di sei mesi concluso dai rappresentanti

218 C

AMERA, Elucubrazioni storico-diplomatiche su Giovanna I, pp. 191-192.

219 Sul Baumgarten e la sua compagnia cfr. W

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della Chiesa e della regina di Napoli, Giovanna I d‟Angiò, con i componenti della compagnia di ventura anglo-ungherese assoldati per combattere la compagnia del Baumgarten220.

Pure la città Reggio dovette accollarsi le spese per il mantenimento delle Compagnie di Ventura assoldate dalla regina. Il 1° aprile 1366 Giovanna I, su istanza di Andrea de Riso, di Messina, abitante in Reggio e sindaco della predetta città, confermò alla predetta università le lettere di immunità e grazie già concesse da suo padre Carlo, duca di Calabria, e da lei stessa, relativi a numerose esenzioni fiscali da gabelle, in modo che i reggini possano versare la colletta e la quinta imposta dalla curia regia per poter pagare la Societas Anglicorum221.

Tra il 1366 ed il 1367 sembra si fosse riusciti a realizzare un risanamento delle finanze statali, visto che il censo dovuto alla curia Romana, almeno in parte, fu pagato. Nel 1365 la corte angioina aveva accumulato, infatti, un debito nei confronti della Sede Apostolica di trecentocinquantamila fiorini222. Anche Reggio fu coinvolta nella politica di stabilizzazione finanziaria del Regno. Il 13 maggio 1367 la regina, volendo pagare il censo dovuto alla chiesa di Roma, ordinò all‟università ed agli uomini della città di Reggio che nessuno, nonostante le immunità concesse dalla stessa regina e dai suoi predecessori, fosse esentato dal versamento della colletta generale del regno dell‟anno di quinta indizione, sotto pena di arresto e confisca dei beni per i renitenti, e che le somme dovute fossero versate, in mancanza del capitano di Reggio, nelle mani di Francesco Sabbatino, di Bologna, giustiziere del ducato di Calabria, il quale avrebbe rilasciato debita apodissa munita del suo sigillo e della sua sottoscrizione223. Il 21 maggio 1368, con lettera inviata da Nocera, chiese agli uomini dell‟università di Reggio che, a causa di imminenti necessità (si potrebbe pensare ancora una volta agli impellenti debiti da saldare nei confronti della Chiesa), provvedessero celermente a pagare la gabella del secondo dono dovuta alla regia curia per il presente anno di VI indizione, da versare a Giovannuccio de Petrafixa224, giustiziere di Calabria, incaricato di riscuotere il denaro, affinché non incorressero in punizioni225.

Non mancarono per la città dello Stretto anche alcuni vantaggiosi privilegi. Infatti, l‟8 luglio 1369, dalla residenza di Quisisana di Castellammare di Stabia, la regina Giovanna I notificò ai giustizieri di Calabria che le sessanta once d‟oro derivanti dalla colletta del secondo dono generale e dovute alla curia regia per il presente anno di VII indizione e per quello successivo, fossero

220 C

AMERA, Elucubrazioni storico-diplomatiche su Giovanna I, p. 255; GIORGI, p. 92.

221

Doc. n. 46.

222

Cfr. G.GALASSO, Il regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese, p. 203.

223 Doc. n. 47.

224 Pietrafissa o Pietrafesa era l‟antico nome di Satriano di Lucania, che mantenne fino al 1877.

Giovannuccio di Pietrafesa, giustiziere di Calabria nel 1368, si inserisce tra Francesco Buondelmonti, nominato giustiziere di Calabria nel 1357 (cfr. NENCI, pp. 205-207), Giovanni da Eboli, capitano generale della Calabria e giustiziere di Val di Crati e Terra Giordana nel 1360, ed il napoletano Giacomo Caracciolo, giustiziere di Calabria nel 1369 (cfr. FODALE, La Calabria angioino-aragonese, pp. 222-223, 225).

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destinate alla costruzione ed alla riparazione delle mura e delle torri cittadine, a cui saranno deputati il capitano ed altri tre uomini probi, in considerazione del fatto che dalla città di Reggio, vista la sua posizione, dipendeva la sicurezza di tutte le terre attorno di Calabria. Gli stessi giustizieri, tuttavia, avrebbero dovuto pretendere dagli uomini di Reggio la restante quantità di denaro della colletta del primo dono. La regina, inoltre, notificava ai giustizieri che nessun altro editto di natura contraria, precedentemente emanato, fosse da impedimento all‟esecuzione di questo, in particolare l‟editto «de nil solvendo alicui de quacumque fiscali pecunia, sed ea tota ad nostram cameram destinanda» del 3 settembre 1356, indizione X, emesso a Napoli, confermato da Giovanna I il 21 febbraio 1360, indizione XIII, sempre a Napoli, e l‟editto «de suspensione provisionum et gagiorum» del 1° dicembre 1365, indizione IV, emesso ad Aversa226.

Quest‟ultimo, in particolare, ricadeva nell‟ambito di alcune fondamentali riforme dell‟amministrazione provinciale realizzate dalla regina tra il 1365 ed il 1366, come il ridimensionamento delle competenze del siniscalco al quale fu sottratta l‟amministrazione del patrimonio demaniale e delle finanze, trasferita alla Corte dei conti227. Il 9 agosto del 1365 la regina ordinò anche la revoca delle concessioni del mero e misto imperio e giurisdizione criminale ai baroni nelle loro terre228. Tale opera legislativa fu avviata a Napoli durante il soggiorno del cardinale Albornoz in qualità di legato pontificio. Egli fu infatti ispiratore di una serie di provvedimenti legislativi volti a reprimere gli abusi feudali, a ristabilire l‟ordine e la giustizia richiamando i funzionari al rispetto delle leggi, ma ottenne scarsi risultati, visto che nemmeno l‟alta aristocrazia si piegò alla sua azione e non subì un‟effettiva riduzione delle pensioni gravanti sul bilancio regio229.

Inoltre, il 10 luglio 1369, ad istanza dell‟università di Reggio presentata per mezzo dei sindaci, inviò da Napoli lettera ai gabellieri della dogana maggiore e del fondaco con la quale ordinava che i mercanti che volessero scaricare nella città le loro merci, affinché non le portassero a Messina con grave danno per la dogana regia di Reggio e rischio di carestie per gli abitanti, pagassero il diritto di dogana solo su quelle realmente vendute e potessero portare altrove via mare, dove volessero, ma comunque entro i confini del regno, quelle rimaste invendute, senza pagare nulla. Se, però, le mercanzie fossero state tali che si dovesse pagare il diritto di fondaco, portandole via, o lo pagassero oppure le portassero in una terra che abbia pure il fondaco. Se, invece, le avessero portate fuori dal regno, essi avrebbero dovuto pagare il diritto di uscita230.

226 Doc. n. 49. 227 K

IESEWETTER, Giovanna I d’Angiò, p. 468.

228

TRIFONE, La legislazione Angioina, doc. XXIV, pp. 209-210; G. GALASSO, Il regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese, pp. 204, 366.

229 L

ÉONARD, pp. 524-525.

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