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Il regno della regina Giovanna

4. Dopo la morte di Luigi di Taranto.

Negli anni 1351-62 Giovanna non aveva esercitato alcuna influenza sul governo del Regno o della Provenza. Aveva soltanto fatto emettere a proprio nome decreti e documenti preparati per ordine di Niccolò Acciaiuoli e di Luigi di Taranto. Sebbene dal 1359 i rapporti con il suo secondo marito fossero piuttosto migliorati, non dovette provare comunque dolore per la sua morte avvenuta, a causa di una malattia, il 24 maggio (o, secondo altre fonti, nella notte tra il 25 ed il 26 maggio del 1362), vista dalla regina come liberazione dal suo comportamento sin troppo dispotico194.

Uno degli ultimi diplomi dati da Luigi e Giovanna, prima che il re morisse, fu inviato all‟università di Reggio il 6 maggio 1362. I sovrani, accogliendo le richieste avanzate da Andrea de

Logotheta, giudice, e da Nicola de Gisso, sindaci dell‟università di Reggio, inviarono mandato ai

capitani della città predetta, con il quale accordarono ai cittadini reggini che il capitano della città non permettesse di pretendere o esigere nulla da alcun detenuto in carcere in mancanza di cauzione fideiussoria, tranne nel caso in cui i detenuti pernottassero nel carcere, sicché i capitani erano tenuti a non chiedere oltre il dovuto; che il predetto capitano facesse in modo che nei casali della città fosse nominato un solo ufficiale e proibisse le ingiuste angherie perpetrate dai mastrigiurati; che la moneta aragonese, i gigliati ed i denari di piccolo taglio in uso a Messina e che circolavano anche a Reggio, potessero esser spese dai reggini in tutto il ducato di Calabria; che il capitano facesse riparare la via pubblica che passava sotto il castello che il castellano aveva arbitrariamente occupato per impiantare vigneti, con grave detrimento per il demanio regio e pregiudizio per i cittadini di Reggio; che i forestieri per ogni salma di vino da importare, vendere e commerciare in città, come già stabilito dal re Roberto d‟Angiò, pagassero due tarì; infine, che il castellano ed il capitano non accogliessero come inservienti e familiari propri i cittadini e gli uomini di Reggio, per evitare altre brighe, risse e scandali che si erano verificati195.

Due giorni dopo la morte del sovrano, il 28 maggio, la regina Giovanna ritornò ad emanare un atto pubblico, intitolato ora con il suo solo nome, con il quale notificava gli editti e le ordinanze

193 Sul parlamento generale di Napoli del 1362 si vedano P

ALMA, II, pp. 71-72; LÉONARD, p. 496; DE

FREDE, p. 276; G.GALASSO, Il regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese, p. 197; KIESEWETTER, Giovanna I d’Angiò, p. 465; ID.,Luigi d’Angiò (d’Angiò-Taranto), p. 491.

194 C

AMERA, Elucubrazioni storico-diplomatiche su Giovanna I, pp. 240-243; LÉONARD, pp. 495-496; KIESEWETTER, Giovanna I d’Angiò, p. 465.

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disposte al parlamento generale tenutosi a Napoli poco tempo addietro (sicuramente quello, prima citato, del 5 aprile), mentre era ancora in vita il re Luigi di Taranto, suo marito, ricordato, nonostante tutto, come illustris carissimus vir. Al parlamento erano intervenuti i magnati, conti, baroni ed altri nobili feudatari, riuniti personalmente o rappresentati dai loro procuratori, i quali, a causa delle guerre e vessazioni fiscali continue, nonché delle pesanti prestazioni militari con fornitura di servizi e versamenti per gli arruolamenti, pagamenti di riscatti dei prigionieri in mano al nemico, devastazioni delle campagne, avevano ottenuto dalla maestà regia che fosse loro dimezzata la soluzione dei servizi militari o dell‟adoha per tutto l‟anno di XV indizione, e che ai loro vassalli fossero condonati i residui dei pagamenti fiscali, collette, funzioni generali, doni e sussidi di imposte della XIV indizione dovuti alla regia curia. I sovrani, inoltre, in quell‟occasione avevano condonato con una generale amnistia tutte le ingiurie, offese, crimini, rapine, colpe e danni commessi fino al mese di aprile, e stabilito, infine, che coloro i quali avessero somministrato vettovaglie ai nemici, o da loro le comprassero, fossero ritenuti colpevoli del reato di lesa maestà ed esclusi dai precedenti benefici di remissione. La lettera regia, prodotta in triplice copia ed affissa ai portici di Castelnovo, della vicaria e della chiesa maggiore di Napoli, viene confezionata e spedita con ritardo, rispetto alla data del parlamento, a causa del grave morbo che colpì il re Luigi di Taranto e lo portò alla morte196.

Il 10 dicembre 1362 la regina, su richiesta avanzata dai sindaci dell‟università di Reggio, inviò lettera ai vicegerenti del ducato di Calabria e della Sicilia e ai loro luogotenenti, mediante la quale li induceva a difendere e tutelare i cittadini di Reggio nell‟uso dell‟acqua, dei pascoli e della legna dei boschi, che hanno comune con gli abitanti della terra di Sant‟Agata, dalle aggressioni e molestie di quest‟ultimi197

.

Dieci giorni dopo inviò un mandato ai vicegerenti del ducato di Calabria, ai giustizieri di Calabria, ai capitani della città di Reggio, ai giudici, erari ed altri ufficiali con il quale notificava di aver esentato i cittadini della predetta città dalla soluzione delle collette generali, donazioni ed esazioni, ad ulteriore conferma della lettera di immunità già concessa dal re Luigi di Taranto, suo marito, ed un altro al capitano della predetta città ed al giudice incaricati a sindacare gli eredi del defunto Pietro de Napoli, milite, precedente capitano di Reggio, che, al tempo della gestione del suo ufficio, aveva commesso soprusi nei confronti dei cittadini reggini sottraendo illecitamente quantità di denaro dalle entrate della gabella del settino198 o del buon denaro199 per uso proprio,

196 Doc. n. 35. 197 Doc. n. 36.

198 La gabella del settino ordinario e straordinario era la tassa dovuta sopra ogni rotolo di carne che si

macellava, in genere corrispondente in tutto a grana 2 ogni rotolo (cfr. GALLO, p. 344; DI BELLA, p. 27). Come il morticium era, dunque, una gabella pagata sulla carne macellata, ed era anch‟essa destinata ad edifici pubblici, ai porti, alle mura e all‟acquedotto delle città. Veniva comprata ai pubblici incanti dai migliori offerenti, come in genere avveniva per le altre gabelle. In un rogito 6 settembre 1427, rogato a Messina,

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ordinando che le predette somme fossero celermente recuperate rivalendosi sui beni stabili appartenuti allo stesso Pietro esistenti nella città di Reggio. Infine, confermò il testo della lettera di re Luigi di Taranto, con la quale era stato sancito che la terra di Sant‟Agata fosse amministrata sotto la giurisdizione della capitanìa reggina, e tutti i privilegi, immunità e grazie concesse alla città di Reggio da re Roberto d‟Angiò, dal suo defunto marito e da lei stessa200

.

Nel mese di aprile del 1363 la regina Giovanna concesse e confermò numerose grazie alla città di Reggio. L‟8 aprile in seguito a supplica avanzata da Bartolomeo Granaordei, di Messina, giurisperito, sindaco della città di Reggio, notificò al futuro mastro giustiziere del regno di Sicilia, ai reggenti della curia della vicaria, al capitano generale, al riformatore della giustizia ed ai giudici delle predette curie, al giustiziere ed ai vicegerenti di Calabria, nonché al capitano di Reggio ed agli ufficiali, di rispettare gli editti e le ordinanze emanate al parlamento generale tenutosi a Napoli l‟anno precedente senza arrecare alcuna molestia all‟università di Reggio e contro gli uomini della medesima città con il pretesto di qualsiasi crimine o delitto commesso da essi per tutto il mese di aprile della XV indizione appena conclusasi201.

Il 20 aprile, in seguito ad esposto presentato dal magnifico Ruggero Sanseverino, conte di Mileto e Terranova, che lamentava insulti ed omicidi commessi dal capitano e dagli uomini di Reggio contro i suoi vassalli che custodivano la chiesa di Sant‟Antonio, perpetrati in occasione della sua festività, inviò mandato al capitano generale, ai giustizieri della provincia di Calabria e ai loro luogotenenti, per revocare, se già iniziato, il processo intentato mediante la scelta dell‟accusa ordinaria dinanzi al capitano generale, affinché non si procedesse d‟ufficio. Lo stesso giorno inviò altro mandato ai giustizieri ed ufficiali del ducato di Calabria ed ai capitani di Reggio, con il quale confermava i privilegi già concessi da re Roberto d‟Angiò e da Carlo duca di Calabria, che assicuravano ai reggini di non essere giudicati ex officio nelle cause civili e criminali, ma comparire soltanto dinanzi al capitano dell‟università di Reggio202

.

Nardo Gotto prende Pietro Porco come socio e compartecipe per 6 carati su 24 della gabella settini, da lui comprata dai mastri giurati di Messina, e dichiara di avere da lui ricevuto la quota del mutuo che gli doveva, pari a 23 once e 3 tarì (Archivio di Stato di Messina, Fondo Notarile, notaio Tommaso de Andriolo, aa. 1416- 1418, vol. 2, AT2). A Reggio la gabella del settino consisteva in una esazione pari a 6 grana per oncia (cfr. doc. n. 119).

199 La gabella del buon denaro era l‟aggiunta alle gabelle sulla circolazione delle merci che pagavano i

compratori e che, in origine, era destinata alla riparazione di chiese ed edifici pubblici. In particolare tale gabella consisteva in un‟esazione di grana venti ad oncia ossia del tre ed un terzo per cento che si faceva nel fondaco maggiore della città di Napoli sulle merci che ivi si contrattavano (BIANCHINI, I, pp. 132-133; II, pp. 78-81, 179-180, 378). Inizialmente era detta del mal denaro e consisteva nell‟esazione di dieci grana ad oncia. Fu poi aumentata a venti grana, in occasione della costruzione del porto di Napoli nel 1306 e d‟allora chiamata del buon denaro, ma sovente venivano nominate indistintamente (cfr. Della descrizione geografica e politica delle Sicilie, II, p. 36).

200 Docc. nn. 37-39. 201 Doc. n. 40. 202 Docc. nn. 41-42.

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Il 24 aprile inviò mandato ai vicegerenti del ducato di Calabria, ai giustizieri di Calabria ed ai capitani di Reggio, con il quale ordinava la difesa dell‟università di Reggio dalle molestie loro perpetrate da parte degli ufficiali e vassalli di Ruggero Sanseverino, conte di Mileto e Terranova, delle terre d‟Oltre Mesa, nel possesso del territorio di Sant‟Antonio sino al vallone detto di „Scaziota‟, dove annualmente si teneva la festa dedicata al santo al quale i capitani ed i cittadini di Reggio partecipavano con il vessillo regio di re Roberto e dei suoi predecessori, in segno di tenuta di quel territorio, come era notoriamente risaputo non solo a Reggio, ma anche a Messina e negli altri luoghi circostanti203. Ancora, il 6 giugno, ordinò loro di non vessare i cittadini reggini con spese superiori al dovuto per il mantenimento delle sentinelle notturne, se non di riscuotere la giusta pena pecuniaria versata dai renitenti da destinare alla riparazione delle mura della città. Allo stesso modo non avrebbero dovuto costringere i marinai della città a fare di notte la guardia al porto con le loro barche. Infine, i medesimi capitani, in virtù del privilegio già concesso da re Roberto, avrebbero dovuto destinare il ricavato della gabella del settino pure per la fortificazione delle mura cittadine e non per altri usi204.

Per evitare una nuova usurpazione del potere da parte di Roberto di Taranto o di suo fratello Filippo II e della di lui moglie Maria, che già da quasi vent‟anni avevano speranze sul trono, Giovanna tenne segreta la morte del marito per due giorni, in modo da avere il tempo di informare papa Innocenzo VI e sollecitare il rientro dell‟Acciaiuoli dalla Sicilia. La preoccupazione della regina non era immotivata, perché Roberto e Filippo, temendo un matrimonio di Giovanna con il loro antico avversario Luigi di Durazzo, pensavano addirittura di sostituirla con Maria. I Tarantini, perciò, il 25 giugno 1363 (o forse il 22 luglio) fecero avvelenare il duca di Durazzo. Il figlio di questo, Carlo, di appena cinque anni, ebbe la vita salva grazie alla regina, la quale certo non immaginava che vent‟anni più tardi proprio lui l‟avrebbe prima detronizzata, poi fatta uccidere205

. Sebbene il 5 giugno, in un‟assemblea a Napoli, Giovanna avesse fatto dichiarare di voler assumere personalmente il governo nel Regno e in Provenza, ella era consapevole della sua situazione delicata, minacciata soprattutto dalle ambizioni dei due tarantini. Si impose, perciò, la necessità di trovare un nuovo marito. La scelta ricadde sul re titolare di Maiorca Giacomo III, che sin dalla conquista del suo Regno ad opera di re Pietro IV d‟Aragona nel 1349 era stato prigioniero in Aragona e che nel maggio 1362 era riuscito a fuggire, forse con l‟aiuto della corte napoletana. Giovanna fece concludere il matrimonio con Giacomo di Maiorca il 14 dicembre 1362 ad

203 Doc. n. 43. 204 Doc. n. 44. 205 K

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Avignone tramite procuratori. Urbano V diede allora la sua approvazione. Il 16 maggio 1363 Giacomo poté fare il suo ingresso a Napoli e le nozze furono immediatamente celebrate206.

La regina dovette ben presto riconoscere che la lunga prigionia aveva innegabilmente causato danni psichici nel suo terzo marito, pertanto la sua situazione non poteva che ritenersi peggiorata anche per via degli intrighi a corte, che dopo la morte di Luigi di Taranto e di Luigi di Durazzo avevano subito soltanto una breve interruzione. Nel frattempo, Giacomo di Maiorca richiese di partecipare alle faccende dello Stato, anche se nel contratto di matrimonio con Giovanna tale diritto gli era stato negato. Già nell‟agosto 1363 pretese la nomina a capitano generale del Regno, pretesa alla quale Giovanna, dopo che il marito era ricorso contro di lei alla violenza fisica, alla fine diede il suo assenso. Le tensioni politiche influenzarono anche la vita privata della coppia, dato che si arrivò pubblicamente a scontri tra Giovanna e il consorte, che accusava la moglie dell‟assassinio del primo marito. Inoltre, Giacomo distribuiva ai propri familiari benefici e pensioni annue attingendo alle disastrate finanze statali. I contrasti arrivarono al punto che Giacomo minacciò di richiamare le Compagnie di Ventura nel Regno, così Giovanna fu costretta sin dal gennaio 1364 a metterlo sotto sorveglianza. Conflitti di competenza tra l‟arcivescovo di Napoli, Pierre Ameilh, che su incarico del papa doveva risanare le finanze del Regno e riformare l‟amministrazione, e Niccolò Acciaiuoli, che temeva per la sua posizione di predominio a corte a causa dell‟intervento del prelato, complicarono ulteriormente il gioco d‟intrighi207

.

Nella primavera 1364 il cardinale Egidio Albornoz fu investito dell‟ufficio di legato nel Regno, dopo essere stato rimosso dal suo incarico nell‟Italia settentrionale, ma arrivò solo all‟inizio dell‟ottobre 1365 nel Regno. Poco dopo, l‟8 novembre 1365, morì Niccolò Acciaiuoli, che negli ultimi quindici anni aveva esercitato una forte influenza sul governo del Regno: la sua scomparsa dalla scena politica apriva un vuoto di potere208. Invece di realizzare riforme sostanziali nell‟amministrazione del Regno, anche l‟Albornoz dovette dedicare le sue energie principalmente alla mediazione nella lotta di potere a corte. La sua legazione napoletana trascorse pertanto senza successo, dato che il cardinale, soprattutto a causa dell‟opposizione della nobiltà, non riuscì né a frenare l‟inflazionata concessione di appannaggi né a sanare le finanze statali. L‟Albornoz così nel giugno 1366 lasciò il Regno209.

Nonostante l‟insuccesso dell‟Albornoz e la condotta autonoma di Giovanna, che aveva messo in crisi i rapporti con Urbano V, la tensione nei rapporti tra la corte napoletana e la Curia papale non poteva durare a lungo. Vero artefice della rinnovata alleanza pontificio-angioina fu soprattutto

206 L

ÉONARD, Gli Angioini di Napoli, pp. 508-509; G. GALASSO, Il regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese, p. 200.

207

LÉONARD, pp. 510-515; DE FREDE, p. 280.

208 C

AMERA, Elucubrazioni storico-diplomatiche su Giovanna I, p. 256; G.GALASSO, Il regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese, pp. 202-204.

209 L

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Niccolò Spinelli di Giovinazzo, molto stimato in Curia, e che, dopo la morte dell‟Acciaiuoli e di Niccolò d‟Alife, li avevi sostituiti come primo consigliere della regina e cancelliere del regno di Napoli210.

Altrettanto efficace fu l‟azione dello Spinelli a favore di Giovanna in Provenza. Dopo la morte di Luigi di Taranto la contea aveva goduto di una relativa calma e Giovanna aveva potuto realizzare alcune riforme amministrative: nel maggio 1365 le investiture feudali a carico del demanio comitale furono revocate e, soprattutto, in due documenti del settembre 1365 e 1366 furono ridimensionate le competenze del siniscalco, al quale fu sottratta l‟amministrazione del patrimonio demaniale e delle finanze, trasferita alla Corte dei conti. Inoltre, dal 1363 erano state realizzate misure difensive, come il rafforzamento o la costruzione di castelli e l‟introduzione di un‟imposta straordinaria per il rinforzo delle truppe stanziali, per cui i guasti causati dai ripetuti assalti di piccole compagnie di ventura poterono essere ridimensionati. Solo nella primavera 1368 un serio pericolo fu rappresentato dall‟attacco di Bertrand Duguesclin e del duca Luigi I d‟Angiò, appoggiato dal fratello maggiore, Carlo V di Francia, perché le truppe provenzali si dimostrarono deboli per arrestare l‟avanzata dei mercenari. Tuttavia, le misure difensive prese negli anni precedenti furono efficaci: Duguesclin e Luigi d‟Angiò non conseguirono un successo decisivo e Giovanna, nell‟agosto 1368, ebbe tempo per inviare rinforzi dal Regno. Dato che pure Urbano V nell‟aprile 1368 era intervenuto presso Carlo V, Luigi d‟Angiò all‟inizio di novembre fu costretto a concludere un armistizio e sgomberare i territori occupati211.

Non mancarono interventi anche a favore della città di Reggio. Il 27 giugno 1365, infatti, la regina Giovanna ordinò che il beneficio di tenere la fiera, che si celebrava ogni anno nel mese di luglio nel tenimento della chiesa di San Sperato, fosse dato all‟università reggina, come già avveniva da lunga memoria, assegnandone la custodia ai capitani e mastrigiurati della predetta città, senza che fosse perpetrata alcuna molestia da parte degli uomini della terra di Sant‟Agata212.