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Gli ultimi scontri tra Aragonesi e Angioini I privilegi di re Ferdinando I alla città di Reggio.

Reggio al tempo di Ferdinando I d’Aragona

2. Gli ultimi scontri tra Aragonesi e Angioini I privilegi di re Ferdinando I alla città di Reggio.

Nel frattempo proseguiva la guerra tra Aragonesi ed Angioini. Quest‟ultimi, che controllavano quasi tutto il territorio intorno a Reggio, nel 1463 a Vibo vinsero le truppe condotte da Mase Barrese, per cui re Ferrante si vide costretto ad inviare direttamente sul campo di battaglia il duca

537 Ibidem, pp. 634-640. 538

Ibid., pp. 659-666.

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Doc. n. 129. Il re si trovava a Catanzaro nel settembre del 1459 per riconquistare la città dopo la ribellione del Centelles. In breve tempo assediò e conquistò la città, nella cui difesa trovò la morte anche il ribelle Nicola Tosto, per poi occupare Santa Severina, Cirò e altre terre del Centelles (cfr. FODALE, La Calabria angioino-aragonese, p. 253). Sulla ribellione del Centelles del 1459, in maniera più dettagliata, si rimanda a G. GALASSO, Il regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese, pp. 659-661; G. D‟AGOSTINO, pp. 233-235. Sulle fasi belliche svoltesi in Calabria si veda PONTIERI, La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, pp. 207 e ss.; F.PETRUCCI, Centelles (Centeglia, da Ventimiglia), Antonio, p. 587.

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Alfonso. Egli riuscì dopo alcune vittorie a conquistare la Motta Anomeri e più faticosamente la Motta Rossa, grazie al tradimento subito ad opera di un ex frate chiamato “Gabba Dio”540

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Il re Ferdinando I l‟11 maggio 1465 concesse al nobile Nicola Geria ed a Giacomo Foto, sindaci della predetta università, i capitoli relativi ai privilegi, grazie ed immunità. Ciò in considerazione del fatto che la città di Reggio, posta a ridosso della Sicilia, insigne per il sito e l‟antichità, fu tenuta sempre dai suoi predecessori nella condizione di demanialità, che, durante il periodo delle guerre, era stata tolta dal duca Alfonso per averla alienata ad Alfonso de Cardona, conte di Reggio, e conseguentemente a suo figlio Antonio, e, successivamente, a Berlingerio Malda, castellano e viceconte, il quale, entrato pure in contrasto con la corte, l‟abbandonò. In primo luogo, trovandosi la città circondata da nemici ed avendo subito danni nelle persone, nei beni, negli animali, soggetta ad incendi e taglio di alberi, il re dichiarava ora di ben tenere in considerazione dalla regia maestà. I sindaci esposero, inoltre, che la città abbandonata e priva di sostegno per cinque anni, aveva sostenuto le spese ed i danni delle guerre poiché il conte Antonio de Cardona, a causa dei debiti paterni e suoi, non poteva risiedere in città, né portare alcun giovamento e lo si doveva anche sostentare. Lo stesso Antonio, entrato in conflitto con il viceconte della città, partì per la Sicilia541 abbandonando la città esposta ai pericoli dei nemici, per cui i sindaci chiesero al re che essa fosse reintegrata nel demanio regio affinché la fedeltà al re non fosse violata dalla vicinanza dei nemici e dai tumulti del popolo. Il re concesse che la città restasse in perpetuo nel regio demanio e che mai fosse alienata o infeudata per alcun motivo, essendo caput et mater di tutte le altre città del ducato di Calabria. Egli accettò il ligio omaggio ed il giuramento della città e dichiarò che se la città fosse stata in futuro alienata, i cittadini potessero opporsi a qualsiasi avversario, anche impugnando le armi se necessario. Ordinò che fosse dato l‟indulto per i delitti, colpe e pene sia civili che criminali, anche per il delitto di lesa maestà, commessi da tutti i cittadini, sia cristiani che ebrei, i quali saranno reimmessi nel loro onore, stato, dignità e fama. Confermò tutti i privilegi e le grazie già concesse dai suoi predecessori, e particolarmente che i reggini fossero esenti da ogni tassazione durante le fiere che si tenevano in città nei mesi di aprile e agosto, così come accadeva la tempo in cui essa era in condizione di demanialità, e che i mastri di fiera fossero gli stessi sindaci che di volta in volta ricoprono annualmente tale incarico. Alla richiesta della città di non pagare altre tasse, che non fossero quelle già dovute alla corte nella ragione di dieci once per ogni colletta, il re concesse di non pagare il diritto della dogana e altre imposizioni, se non quelle che la città versava al tempo della regina Giovanna II. Concesse, per mezzo di un suo albarano, che la metà delle collette dovute alla corte fosse devoluta per la riparazione delle mura cittadine danneggiate dalla

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SPANÒ BOLANI, Storia di Reggio Calabria, ediz. 1993, p. 315; DE LORENZO, Le quattro motte estinte, pp. 190-202; CARIDI, Reggio Calabria, pp. 59-60.

541 Ciò sarebbe accaduto nell‟anno 1462 nel corso della guerra che vide Giovanni d‟Angiò nel tentativo di

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guerra; che trovandosi la città quasi spopolata, tutti coloro che venissero ad abitarvi godessero degli stessi privilegi dei reggini e anche dei loro beni ovunque posti, e se osteggiati dai signori di quei luoghi, gli ufficiali facessero rappresaglie contro i loro beni; che la Motta Rossa e la Motta Anomeri, già appartenute per compera all‟università di Reggio, appena sottomesse all‟autorità regia, ritornassero all‟antica dipendenza con facoltà dell‟università di spopolarle, distruggerle e privarle del territorio; che avendo la regia corte certe gabelle e diritti per i quali i reggini erano tenuti a pagare i diritti del castello, queste non potessero mai essere concesse ad altri ma dovessero sempre restare nella potestà regia; che il capitano fosse soggetto direttamente all‟autorità regia e non potesse svolgere anche l‟ufficio di castellano, e soggetto a sindacato al termine del suo mandato annuale; che i cittadini, sia nobili che plebei ed ecclesiastici, che godevano di diritti sulle saline, potessero continuare a goderli come prima quando la città era del regio demanio; che l‟ufficio degli alguzini non fosse più tenuto nella città, ma che le ordinanze fossero eseguite dagli ufficiali della città come si era sempre fatto. Inoltre, poiché i baroni che possedevano terre vicine a Reggio usurpavano in maniera tirannica e violenta il diritto chiamato «la blava» sulle vettovaglie prodotte nelle terre dei reggini poste nei territori baronali, il re concesse che tale diritto fosse abolito e i reggini ne fossero esentati, e se i baroni o gli ufficiali li molestassero, fosse permesso ai reggini di fare rappresaglie sui loro beni. Confermò all‟arcivescovo di Reggio il possesso della terra di Bova con il suo castello che possedeva sin da tempi antichi, riservando però alla regia corte la castellania, che potrà concedere a chi vorrà, mantenendo valida l‟esecuzione di un mandato già emesso il 31 luglio 1462 dalla rocca di Mondragone542. Per la fedeltà della città nei riguardi della corona, quando tutte le altre città di Calabria si erano schierate con il nemico, per aver subito danni

542 Probabilmente non si tratta del 1462 ma del 1463, anno in cui re Ferdinando pose sotto assedio e

conquistò Mondragone, a seguito della cruenta lotta contro il cognato Marino Marzano, che provocò, di lì a poco, la morte di quest‟ultimo (cfr. TOMACELLI, pp. 289-290). Si ricorda anche un privilegio di re Ferdinando, di cui lo Scipione ne attribuisce la redazione al segretario Giovanni Pontano, che reca la seguente data topica: «spedito sotto IX agosto dell‟anno 1463 con la data in castris nostris felicibus contra roccam Montis Draconis» (cfr. SCIPIONE, I, pp. 199-200). Il re si era infatti spostato nel 1463 sotto la rocca di Mondragone. Nell‟agosto 1462 Ferdinando sconfisse a Troia il duca d‟Angiò e nel gennaio 1463 tornò a Napoli, accolto dai nobili e dal popolo, ma il Marzano continuava a resistere. Il re progettò di attendere l‟estate per devastare i raccolti e depredare il bestiame, senza attaccare le città e le fortezze, perché il Marzano aveva collocato cavalieri e fanti a presidiare i passi. Seguendo le sollecitazioni di Pio II e dello Sforza, Ferdinando mise a ferro e a fuoco la zona tra Capua e Teano e si spinse fino ai bagni di Sessa. Il Marzano si asserragliò presso il monte Massico e pose cavalieri e fanti a guardia di due passi, uno molto angusto e ben fortificato, l‟altro nei pressi dei bagni di Sessa, difeso da bastioni e sorvegliato. Le truppe del re assaltarono i bastioni, misero in fuga il Marzano e razziarono animali e raccolti, poi cercarono di conquistare la rocca di Mondragone, accampandosi nella pianura sottostante. Il Marzano e il duca Giovanni assaltarono l‟accampamento regio di notte con numerosi fanti e, respinti con difficoltà dal re, fuggirono con alcuni prigionieri. Sessa era ben fortificata, circondata da un territorio ricco di casali in cui abbondavano frumento e uva, e i contadini assicuravano al Marzano le vettovaglie. Dopo avere saccheggiato i casali e catturato 50 cavalieri e parecchi fanti sotto le mura di Sessa, l‟esercito regio s‟accampò a due miglia dalla città (cfr. SARDINA, Marzano, Marino, p. 448). Anche Marino Brancaccio, tra i più fedeli servitori della corte aragonese di Napoli, entrato nella cerchia dei gentiluomini al seguito di Alfonso duca di Calabria, nel 1463, mentre ricopriva la carica di corte di ripostiere del re, fece le sue prime prove di uomo d‟armi, partecipando proprio all‟assedio di Mondragone (cfr. ZAPPERI, p. 790).

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dalla ribellione degli abitanti della terra di Sant‟Agata, per aver finanziato 1200 ducati al duca di Calabria, per aver sostenuto gli assedi nelle terre di Pentedattilo, San Lorenzo, Motta Rossa e Motta Anomeri, e per aver versato mille ducati a Berlingerio Malda, prelevati dai redditi della gabella del vino, in seguito agli accordi presi tra il Malda e Antonio Gazo, segretario e consigliere regio, per togliere allo stesso Malda il castello di Reggio, il re, dunque, confermò tutti i privilegi, ritenendo che la città di Reggio resti sempre demaniale e non potesse essere mai alienata ad alcuno, fosse titolata nobile nei contratti e in tutte le altre scritture. Conferì alla città di Reggio la Motta Rossa, già in rovina e spopolata, e la Motta Anomeri con la sua torre, con gli uomini, pascoli, canali, monti, boschi e tutti i diritti, distruggendole quando vorranno, abbattendo la torre e le mura, riducendole a casali e conducendo i loro abitanti nella città cosicché non potessero più arrecare danni, senza alcuna autorizzazione, ma mantenne a favore della corona i diritti dei commerci e delle dogane543.

3. Note sulla giurisdizione dell’arcidiocesi di Reggio sulla terra di Bova dai Normanni al