3. Capitolo III – Il secondo periodo di riforme (1847 1848) –
3.5. La discussione in seno al Consiglio di Stato sulle basi di un nuovo regolamento di giustizia
3.5.5. Sull’ammissione dei giurat
Il giurì storicamente costituisce la partecipazione del popolo all’esercizio del potere giudiziario. Sotto il nome di giurati si intende un numero determinato di cittadini temporaneamente chiamato all’esercizio di funzioni giudiziarie ed esclusivamente incaricato di esprimere, sull’accusa di un reato, una dichiarazione di fatto in conformità alla quale deve poi il magistrato applicare la legge. L’ interesse del popolo alla partecipazione del potere giudiziario non si verifica in ogni evenienza, ma quando si tratta di fatti che turbano l’ordine pubblico o, in genere, che diminuiscono il sentimento della sicurezza sociale. In epoca moderna, il concetto di giurì, che funzionava già nel procedimento inglese ed era stato recepito nell’ordinamento degli Stati Uniti, non poteva rimanere estraneo ai rinnovamenti giudiziari portati dalla rivoluzione francese266.
Era chiaro che, al pari degli altri principi, anche il principio di giurì dovesse diffondersi nel continente europeo come prodotto finito del movimento di riforma cui diede vita la rivoluzione francese e che aveva suscitato già grande interesse nei maggiori esponenti dell'illuminismo giuridico, da Montesquieu a Voltaire, da Beccaria a Filangeri.
Il dibattito in seno all'Assemblea Costituente svoltosi tra il 1790 e il 1791 e che portò all'introduzione della giuria anche nel Continente europeo è stato saggiamente analizzato da Antonio Padoa Schioppa; l'autore definisce l'istituzione del jury nel continente europeo un vero e proprio trapianto di un istituto di
common law e definisce il dibattito tenutosi in seno
266 Per un esame de ruolo della giuria nei diversi stati europei si veda A. PADOA SCHIOPPA, The trial jury in England, France, Germany, Berlin, Duncker & Humblot, 1987.
all'Assemblea, di "impressionante attualità", per l 'esame lucido e attento sui i temi concernenti i vantaggi ed i rischi connessi a questo istituto, e sui temi fondamentali del processo penale, quali il libero convincimento del giudice, le regole legali sulle prove, la raccolta e la valutazione delle deposizioni testimoniali, l'oralità del dibattimento, la distinzione tra questioni di fatto e questioni di diritto, le rispettive funzioni dei giurati e dei giudici nell'ambito del dibattimento267. La giuria agli occhi dei
philosophes francesi era uno dei rimedi più validi alla crisi del
sistema penale di ancien régime.
Originariamente, accanto al giurì di giudizio, era previsto il giurì d'accusa (Jury d'accusation): proprio come nel sistema inglese, nessun cittadino poteva essere sottoposto ad un giudizio senza che l'accusa fosse stata ammessa da giurati. Precisamente, il giurì d'accusa operava quando l'imputato era stato accusato di un delitto che comportava una pena afflittiva o infamante. I giurati, dopo aver prestato giuramento, dovevano esaminare l'atto di accusa e i documenti concernenti la causa in esame e dovevano ascoltare i testimoni. Al termine dell'esame i giurati si ritiravano per deliberare e la decisione veniva adottata a maggioranza. Se l'accusa veniva ritenuta fondata, il giurì dichiarava “oui, il y a lieu”; se invece i giurati ritenevano non vi fossero gli elementi per instaurare un processo, dichiaravano
“non, il n'y a pas lieu”. Se infine l'accusa era fondata, ma mal
motivata, la formula era la seguente: “il n'y a pas lieu à la
presente accusation268”.
L'istituto della giuria venne recepito dal Code d' instruction
criminelle del 1808, che soppresse la giuria d'accusa,
mantenendo solamente quella giudicante nella Corte d'assise, presieduta da un magistrato della Corte di appello. Il codice venne applicato in Francia e nei territori ad essa direttamente annessi, ma non fu esteso al Regno di Italia nè al Regno di 267 A. PADOA SCHIOPPA, La giuria penale in Francia. Dai
«philosophes» alla Costituente, Rozzano, 1994.
Napoli, proprio in ragione della giuria. Napoleone infatti
riteneva gli italiani "non pronti" per questo istituto.
Assente nei territori occupati da Napoleone (anche se nella Costituzione della Repoubblica Cispadana del 1797 molteplici articoli si occupavano già dell'istituzione dei giurati, così come la Costituzione della Repubblica Cisalpina Costituzione della
Repubblica italiana del 1802269 la Costituzione siciliana del 1812
prevedeva l’utilizzo dei giurati. Anche nel Lombardo Veneto si discusse se introdurre o meno i giurati nell’ordinamento giudiziario, ma il ministro di giustizia Schmerling aveva dichiarato in suo rapporto di non ritenere il giurì un’istituzione che si confacesse all’indole dei lombardo veneti o alle condizioni del regno270.
In Piemonte invece le cose andarono diversamente, almeno in parte, perché in seguito alla promulgazione dello Statuto albertino (4 marzo 1848), venne emanato il 26 marzo 1848 il Regio Editto sulla stampa numero 695 che prevedeva, unicamente per i reati di stampa, l'istituto della giuria. Se in un primo momento quindi l'istituzione della giuria venne adottata unicamente per i reati di stampa (anzi la cognizione dei giurati, come detto sopra, venne ulteriormente ridimensionata nel 1852), questo non impedì che negli anni successivi venissero formulati e presentati progetti di legge per l'estensione dell'istituto ai reati comuni.
Anche nello Stato pontificio, nonostante fino all’elezione di Pio IX si discutesse sull’ammissione di questa carica nel sistema costituzionale non si era mai riusciti a procedere alla loro ammissione271.
Ma la discussione sul Regolamento organico poteva essere la sede appropriata per riesaminare la questione. Si passava allora all’esame del settimo quesito: “se l’uso dei giurati deve
269 A. AQUARONE, Le Costituzioni italiane, Milano, 1958, pp. 67 e 107. 270 G. SALVIOLI, Storia della procedura civile…cit.
ammettersi nei soli delitti per contravvenzioni alle leggi intorno alla libertà di stampa272.”
L’Orioli riportava l’esempio delle Nazione straniere, ove egli era vissuto per sei anni. Egli riteneva che o per errore, o per ignoranza oppure forse a causa di un eccesso di impeto, quei giudici avevano protratto in quei luoghi lunghe ingiustizie; riportava anche l’esempio della Grecia, che non aveva introdotto l’uso dei giurati perché diffidava dal loro giudizio e allo stesso modo non aveva adottato il principio dell’amovibilità dei giudici, perché credeva di imporre loro un freno attraverso il pericolo della rimozione. Per queste ragioni terminava il suo intervento auspicando che l’uso dei giurati venisse adottato solamente nei reati contro le leggi sulla stampa.
All’obietto di monsignor Morchini, secondo cui se i giurati erano utili per quella categoria di delitti non vi era ragione perché non potessero esserlo anche per tutti gli altri, il Betti rispondeva che nel primo caso aveva luogo una sorta di intimidazione, e che inoltre il corpo del delitto racchiudeva in sé la prova decisiva per ammettere o escludere la censura.
Il Giuliani, rispondendo allo stesso obietto, rilevava le difficoltà di valutare le prove negli altri delitti. Citava il Romagnosi273, che distingueva tra il giudizio sul merito delle
persone e quello sui fatti, dove il primo dipendeva dall’ opinione pubblica, che era facilmente individuabile, mentre il secondo richiedeva una critica logica sull’entità della prove, che variava per variar di circostanza, di luogo, di tempo, di qualità dei deponenti. Egli osservava come nei delitti sulla stampa, la stampa stessa costituisse l’oggetto e, attraverso l’autore, anche la persona imputata. Bisognava solo stabilire se fosse stata
272 Quesito discusso nella seduta del 25 luglio 1848. ASR, Consiglio di
Stato (1848-1849)…cit.
273 Il giurista Giandomenico Romagnosi era stato incaricato dal governo italico di redigere un codice di procedura penale per il Regno d'Italia. Per questo codice si veda E. DEZZA, Il codice di procedura penale del regno
Italico (1807). Storia di un decennio elaborazione legislativa, Padova, 1983;
violata la legge limitativa della libertà, affidando al buon senso del giudice il criterio per decidere.
Monsignor Morchini osservava come gli antichi romani avevano mantenuto per secoli l’utilizzo dei giurati, riconoscendone i grandi vantaggi; anche la Francia, e soprattutto l’Inghilterra, ne riconosceva l’utilità. Per evitare disordini era necessario, secondo quanto già sostenuto dal Romagnosi, scegliere i giurati tra le classi più abbienti di cittadini e non tra la massa del popolo. Al reo doveva concedersi la possibilità di escludere una parte dei giurati chiamati a giudicarlo.
L’Orioli non attribuiva la brevità del processo alla presenza dei giurati, perché in ogni caso l’ordinatoria degli atti era affidata ad ufficiali stipendiati e fissi e dipendeva anche da un sistema semplice e veloce di procedura.
Anche il Pagani era di avviso di circoscrivere la giurisdizione dei giurati ai delitti contro la libertà di stampa, perché il fatto su cui ricadeva l’accusa era sempre certo. Per quanto riguardava gli altri delitti, un esempio per escludere la presenza dei giudici popolari lo offrivano le Romagne. In quei luoghi, diceva, l’impunità dei delitti era all’ordine del giorno, in quanto spesso i giurati erano vittima di minacce; il magistrato ordinario, viceversa, godeva di maggiori garanzie per la sua sicurezza personale, in quanto era libero dall’aver contatti col popolo e poteva condurre una vita riservata e porsi in una posizione che sarebbe stata impossibile al commerciante o artista “che dal tribunale ove segnò la sentenza fatale all’inquisito è costretto discendere alle piazze, alle officine, ove incalza la plebe chiamata dai vari interessi di pubblica negoziazione.”
Monsignor Pentini, inoltre, ricordava la mancanza di istruzione del popolo riguardo agli affari amministrativi e legali, soprattutto rispetto agli altri Stati, nei quali, al contrario, ogni classe di cittadini aveva dimestichezza con gli affari pubblici.
Convenendo poi con l’ammissione dei giurati nelle cause riguardanti i reati di stampa, credeva di poter estendere il loro “giudizio di fatto” anche ad una parte di reati politici.
Il Santucci aggiungeva a quelli i reati di contravvenzioni alle leggi fiscali, che riguardavano anch’essi la conoscenza di fatti semplici e di leggi facili.
Monisgnor Ruffini riteneva invece che quel tipo di contravvenzioni costituisse una materia meramente civile sul pagamento del danno, e perciò fosse fuori da ogni competenza dei giurati.
Il Giuliani rilevava che quando la contravvenzione non era semplice, ma qualificata, aveva luogo anche l’azione penale la quale coinvolgeva questioni di diritto superiori alla capacità di quella classe di giudici, come ad esempio avveniva nella “conventicola ed in altre specie ignote forse anche di nome alla più parte del volgo”.
Lo stesso inconveniente il Ciofi considerava potesse aversi nei delitti politici, per la facile commistione con altri delitti comuni, confermando così il sentimento degli altri suoi colleghi sulla necessità di limitare il giudizio dei giurati alla violazione delle leggi sulla stampa.
A questo punto il presidente riteneva più conveniente dividere la proposta in tre parti, la prima delle quali era: “l’uso de giurati deve specialmente ammettersi per contravvenzioni alle leggi intorno alle stampe? ”
L’alzata di tutti i presentì comportò l’unanimità dei voti favorevoli.
Si riapriva perciò la discussione intorno ai delitti politici, e il Bonacci riaffermava la sua idea secondo la quale la libertà di stampa era il fondamento della vita costituzionale ed era protetta dalle cure gelose del popolo. Così come i giurati erano utili nelle materie penali, così lo erano nei reati politici. I giudici, stipendiati ed eletti dal potere esecutivo, erano sospettati dal popolo di eccessivo rigore, erano ritenuti un freno alla sua
libertà ed era per questo che il popolo prediligeva i giudici gratuiti, scelti fra gli stessi cittadini. Di certo in quei casi occorrevano dei giurati speciali, scelti tra una schiera di cittadini di “fama superlativa e non contraddetta per onestà e per retto sentire” ed avrebbero dovuto prestare il loro servizio gratuito.
Il Betti rilevava che per quanto si potesse ridurre il numero dei giudici popolari, era troppo variabile l’opinione pubblica nel determinare cosa costituisse reato e cosa no e alla sua riflessione si associava il Pagani, che premeva affinché il giudizio dei giurati fosse escluso più che mai sui delitti politici, ricordando che “la stessa Francia che vide legittimare per azioni virtuose i vili attentati degli assassini, fu costretta a chiedere al Consiglio dei Pari la cognizione dei delitti di Stato”.
L’Orioli credeva che si sarebbe potuto porre rimedio a questo inconveniente attraverso la scelte di “persone amanti dell’ordine e delle quiete interna” qualunque fossero state le loro tendenze politiche, sempre però tenendo fermo il principio della possibilità data all’imputato di escludere parte dei giurati anche in considerazione dell’inappellabilità del loro giudizio.
Oltre alle difficoltà di scelta dei giurati, il Giuliani notava come tra 50 individui, essendo l’imputato in diritto di escluderne solamente dodici, poteva egli trovare nella parte restante “un partigiano della sua opinione”. Il procuratore del reo aveva diritto alla ricusa solamente dando ragione del suo rifiuto, e quando questa ragione non poteva giustificarsi, il rifiuto non era ammesso e il giudizio poteva essere inevitabilmente parziale.
Né poteva essere una soluzione restringere ulteriormente il numero dei giudici proponendo solamente i migliori, come proponeva il Bonacci, perché in una società dove le passioni agitavano l’intera massa del popolo, non poteva sapersi con certezza ove si nascondevano menti razionali tali da rendere un giudizio freddo ed imparziale; Ragion per cui bisognava affidare l’incarico a giudici ordinari, chiamati a giudicare quel popolo a
cui non appartenevano, in quanto provenienti da luoghi diversi, posti sotto la sorveglianza del Ministero e sottoposti a responsabilità personale.
Si votò così sulla seconda parte del quesito, se “l’uso de’ giurati deve ammettersi nei delitti politici”.
Undici votarono contro e rimasero seduti solamente tre si alzarono e la proposta venne esclusa a maggioranza di voti.
Si passò poi a votare il terzo assunto: “l’uso de’ giurati deve o no ammettersi negli altri delitti”. Temendo lo stesso risultato nelle votazioni, la proposta fu rigettata con tredici voti contro uno.
Cominciava allora la trattazione dell’ottavo quesito: “se l’uso dei giurati fosse limitato ai giudizi relativi a talune classi di delitti, negli altri sarà preferibile il processo di prove legali, ossia scritto, o piuttosto il processo orale?”
Il Giuliani riteneva logico, come diretta conseguenza della pubblicità dei giudizi, adottare il sistema del processo orale. L’interesse del pubblico, quando si trattava dell’onore, della libertà, della vita di una cittadino, nel processo orale trovava l’originale del processo medesimo, nello scritto la copia. Egli inoltre sosteneva che “la fede dei testimoni è incerta quando è raccomandata all’arbitrio di un processante è sicura quando è dichiarata alla presenza dei magistrati giudicanti e di una moltitudine spettatrice”.
Il Piacentini osservava che il processo orale non era necessariamente conseguenza della pubblicità, perché il processo civile era pubblico o scritto e non se ne metteva in discussione l’utilità.
Il Bonacci contestava il paragone in quanto mentre nel processo civile si aveva, ad esempio, quasi sempre la prova scritta, come nel caso del contratto, e le parti contendenti ed i rispettivi patrocinatori avevano libero accesso alla fabbricazione degli atti, e potevano contraddirli, nel processo penale la prova
era orale e la nuova escussione di alcuni testimoni in udienza riparava ai danni e ai pericoli del processo scritto.
Il quesito veniva sottoposto ai voti nella sua formulazione originale ed approvato ad unanimità.
3.5.6. Sull’ammissione dell’appello nelle cause penali