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Sulla pubblicità delle discussioni nei giudizi civili e penal

3. Capitolo III – Il secondo periodo di riforme (1847 1848) –

3.5. La discussione in seno al Consiglio di Stato sulle basi di un nuovo regolamento di giustizia

3.5.1. Sulla pubblicità delle discussioni nei giudizi civili e penal

La nozione di pubblicità nei giudizi è storicamente riconducibile a due componenti, come forma di controllo dall’esterno dell’amministrazione della giustizia, ovvero come uno dei modi per poter assicurare la partecipazione dei membri della comunità all’esercizio del potere giurisdizionale: due momenti che non si escludono reciprocamente, ma possono integrare un processo circolare che mostra ora il prevalere dell’una ora dell’altra230.

In materica civile, il processo che si delinea a partire dal XIII secolo è essenzialmente un processo scritto, basato sull'aumento della formalità e la sostituzione della scrittura all'oralità, caratterizzato da una serie di atti metodici e consecutivi, di modo tale da rendere costante la verifica del loro adempimento231.

230 V. VIGORITI, La pubblicità delle procedure giudiziarie, (prolegomeni storico-comparativi), in La formazione storica del diritto moderno in Europa. Atti del III Congresso internazionale della Soc. ital. di Storia del diritto,

Firenze, Olsichki, 1977, II, p. 638.

231 G. SALVIOLI, Storia della procedura civile e criminale, in Storia del

diritto italiano, pubblicata a cura di V. DEL GIUDICE, vol. III, Milano, 1927, p. 222.

Per quanto riguarda il sistema delle procedure, in Italia, in campo civile, le legislazioni processuali dei vari Stati italiani alla fine del XVIII secolo prevedevano in genere un procedimento ordinario, per le cause di maggior importanza, e uno sommario, per le liti meno complicate. Nel primo prevalevano i principi del formalismo e della segretezza, nel secondo invece avrebbero dovuto prevalere i principi dell’oralità e della concentrazione; tuttavia anche nel procedimento sommario rimaneva costante l’influenza del processo romano-canonico, cosicché entrambe le tipologie di processi non riuscivano a liberarsi del formalismo e della scrittura232.

In un processo ispirato a questi principi, dunque, il problema della pubblicità neanche poteva porsi, data l’impossibilità pratica dei terzi di comprendere un processo basato sulla scrittura, le citazioni e l’abuso di formule latine e in generale di un linguaggio alquanto involuto e poco comprensibile233.

Per quanto riguarda la pubblicità nel processo penale, già alla fine del XVIII secolo il processo penale degli Stati italiani non si differenziava da quello francese prerivoluzionario. Tutto il processo penale si ispirava al più rigoroso principio inquisitorio, alla scrittura, alla regola della prova legale e alla tortura. Il giudice riceveva le accuse degli offesi o procedeva d'ufficio, e il processo inquisitorio, sviluppatosi sulle leggi canoniche e sulla pratica dei tribunali ecclesiastici, divenne il procedimento ordinario italiano234.

232 V. VIGORITI, La pubblicità delle procedure giudiziarie... cit., p. 687. 233 Ibidem, p. 688; G. SALVIOLI, Storia della procedura civile e

criminale... cit., pp. 24-25. Sulla pubblicità nel processo civile cfr. P.

AIMERITO, La codificazione della procedura civile nel Regno di Sardegna, Giuffrè, 2008, p. 24 e nota 83. Sulla pubblicità nel processo penale si veda F. CARNELUTTI, La pubblicità nel processo penale, in Rivista di diritto

processuale penale, X, 1955.

234 G. SALVIOLI, Storia della procedura... cit., pp. 347 e ss. Sul processo inquisitorio esiste una vasta bibliografia. In questa sede il richiamo è ai classici di PADOA SCHIOPPA, M. ASCEHRI, Tribunali, giuristi e

istituzioni dal medioevo all’età moderna, Bologna, 1989. E. DEZZA, Accusa e inquisizione: dal diritto comune ai codici moderni, Milano, 1989.

Nel tempo, nonostante le denunce della dottrina penalistica, la maggior parte dei sovrani italiani si mostrava indifferente alle istanze di riforma. L’esigenza di pubblicità delle procedure venne avvertita, per la prima volta in termini moderni, alla fine dell’ancien régim, quando giunsero a maturazione quei fermenti e si fecero più pressanti le esigenze che troveranno poi nella Rivoluzione l’ambiente adatto per manifestarsi ed imporsi235.

Nell’esperienza francese la codificazione cristallizzò a livello di legislazione ordinaria la nozione di pubblicità elaborata dalla costituente e accolta poi nelle prime costituzioni; il concetto di pubblicità scomparve però nelle successive costituzioni e già nel 1848, nei testi fondamentali francesi, non vi era alcun riferimento alla garanzia della pubblicità e non vi erano disposizioni normative che prevedevano apertamente la pubblicità delle procedure, questo perché, il problema del controllo dell’amministrazione della giustizia attraverso la pubblicità delle discussioni veniva ormai considerato risolto in maniera sufficiente dalle norme dei codici236.

Durante l’occupazione francese l’Italia conobbe il fenomeno del costituzionalismo e della codificazione e il modello francese post-rivoluzionario si impose in tutti i campi dell’esperienza giuridica; in particolare, nel procedimento penale era prevista la netta distinzione tra l'attività istruttoria, coperta dal segreto, e l'attività dibattimentale, caratterizzata dall'introduzione del contraddittorio237. Si tratta del cosiddetto “modello misto per

eccellenza" mirante a fondere in un'unica struttura processuale i caratteri del sistema inquisitorio con quello accusatorio, in quanto la fase della raccolta delle prove (istruzione) era 235 V. VIGORITI, La pubblicità delle procedure giudiziarie... cit., pp. 635-698.

236 Ibidem, p. 680. Cfr. anche I. SUFFIETTI, Sulla storia dei principi

dell'oralità, del contraddittorio e della pubblicità nel procedimento penale. Il Periodo della Restaurazione del Regno di Sardegna, estratto da «Rivista di

Storia del diritto italiano», vol. XLIII-XLIV (1971-72).

237 In generale per il sistema procedurale francese si rimanda a A. ESMEIN, Histoire de la procédure criminelle en France et spécialement de la

prevalentemente segreta, mentre la fase del dibattimento era prevalentemente accusatoria238.

Dopo la Restaurazione, in un primo momento i sovrani dei vari stati italiani rifiutarono le leggi di Napoleone, ma già intorno alla metà del secolo XIX, tutte le leggi processuali italiane provvidero a garantire la pubblicità delle udienze di discussione delle cause civili, anche se i codici italiani, in generale, mantennero in misura più limitata del codice francese l’oralità dei procedimenti239.

Nello Stato pontificio, in materia civile, il Regolamento legislativo e giudiziario per gli affari civili stabiliva, al paragrafo 572 che nel giorno indicato dall'atto di intimazione la causa sarebbe stata proposta e discussa in contraddittorio in pubblica udienza. Diversa era invece il principio per quanto riguarda il ramo penale.

Se ci riferiamo al Regolamento organico e di procedura criminale del 1831 allora vigente nello Stato pontificio, la storiografia è sostanzialmente concorde nel riconoscere il rito inquisitorio di quel Regolamento. Si tratta infatti di un processo minuziosamente delineato dal legislatore, nel quale assumono particolare importanza il ruolo del giudice processante, cui spetta l'obbligatorietà dell'azione penale e che forma il processo (rigorosamente scritto) e istruisce la causa, e la raccolta delle prove. La fase dibattimentale è presente, ma è incentrata sulla verifica del materiale probatorio raccolto dal giudice processante.

Nel processo gregoriano l'udienza era essenzialmente la fase del confronto e dell'escussione dei testimoni; i testi non sentiti in istruttoria non erano ammessi e nonostante il dibattimento fosse improntato al principio dell'oralità, il pubblico di regola non veniva ammesso240.

238 P. TONINI, Lineamenti di diritto processuale penale, Milano, 2011. 239 Ibidem, pp. 690-691.

240 E. DEZZA, Il modello nascosto. Tradizione inquisitoria e riferimenti

Il primo quesito sul quale si interrogava l'Assemblea era perciò “se nei giudizi criminali, come nei civili, convenga adottare per modo di regola l’assoluta pubblicità delle discussioni241”.

Il presidente esprimeva il proprio parere favorevole verso il principio in questione eccettuati solamente i casi in cui la pubblicità delle sedute avrebbe potuto offendere il pubblico pudore o compromettere l’ordine pubblico.

Il Piacentini riteneva conveniente non lasciare all’arbitrio dei giudici la decisione sulla pubblicità o segretezza delle sedute, per non creare disordini o parzialità, mentre il Giuliani riteneva fosse più opportuno ammettere come regola generale la pubblicità delle udienze ed escludere dalla regola solamente i delitti contro l’ordine pubblico e quelli contro l’ordine delle famiglie.

L’Orioli, invece, considerava preferibile rimettere la decisione sempre alla discrezionalità dei singoli tribunali, in considerazione dei diversi luoghi, periodi di tempo e circostanze, che alcune volte rendevano opportuna (anche nei casi di eccezione), altre volte inappropriata, la pubblicità delle udienze.

Il Giuliani riteneva che ogni qualvolta ci si trovasse di fronte a delitti quali lo stupro, l’adulterio, l’incesto, il ratto, non sarebbe stato opportuno lasciare al tribunale la decisione se condurre l’udienza in forma pubblica o privata; lo Sturbinetti notava inoltre che poiché nei tribunali si sarebbe insediato un Pubblico Ministero, dovesse essere affidata a quest’ultimo la decisione sulla possibilità di ammettere o meno la partecipazione del popolo alle cause riguardanti i delitti contro l’ordine pubblico o le famiglie.

Il Morchini non condivideva l’idea di affidare al Pubblico Ministero la decisione sulla pubblicità o segretezza delle

241 Quesito discusso nella seduta del 20 luglio 1848. ASR, Consiglio di

udienze in quanto i magistrati, che godevano della fiducia del governo erano “i soli capaci a bilanciare l’importanza intrinseca degli atti compilati sotto la loro direzione ed autorità e la possibile impressione di un pubblico contraddittorio sugli animi d’interessati spettatori.”

Il Palma suggeriva di ammettere come regola generale la pubblicità delle udienze e di lasciare all’arbitrio dei giudici i casi particolari relativi all’ordine pubblico e alle famiglie.

Monsignor Pentini concordava con lo Sturbinetti sul punto di lasciare al Pubblico Ministero la decisione sulla pubblicità o segretezza dell’udienza, ma vi si opponeva monsignor Ruffini, il quale riteneva che i casi di eccezione dovessero essere chiaramente indicati nel testo di procedura, anche perché solamente nella fase del dibattimento era possibile constatare se ci si trovasse davanti ad un caso di eccezione, e solamente a quel punto era possibile giudicare se il caso in esame poteva dar luogo a scandali o tumulti. Egli aggiungeva inoltre che “troppa sarebbe la latitudine dell’arbitrio nel Ministero se nell’esso si rendesse facoltativo di dichiarare o no la sufficienza del titolo per applicare l’eccezione, mentre raro è che una passione, anche turpe, non abbia dato causa incidentale alla partecipazione del delitto e potrebbe giustificare colla incidente di poco conto l’arbitrio dell’ingiunto segreto.”

Il presidente, preso atto della discussione, moderava perciò la proposta nei seguenti termini “se debba assumersi per modo di regola l’assoluta pubblicità delle discussioni tanto nei giudizi civili che criminali salvi i casi di eccezione nei quali rimanesse compromesso il pudore o l’ordine pubblico.”

Alla proposta seguì la votazione per alzata o seduta e si ottenne come esito l’unanimità dei voti favorevoli.

La pubblicità delle discussioni sarebbe stata introdotta come regola generale nello Stato pontificio.