3. Capitolo III – Il secondo periodo di riforme (1847 1848) –
3.5. La discussione in seno al Consiglio di Stato sulle basi di un nuovo regolamento di giustizia
3.5.2. Sull’introduzione dei giudici conciliator
Il giudice conciliatore, quale magistrato popolare istituito per comporre le controversie, in particolare quelle di modico valore, è un istituto di origine antica, presente già nelle prime legislazioni romane e rimasto sempre presente, sotto varie forme, durante tutto il corso del medioevo242.
In Italia, meglio che altrove, la conciliazione venne eretta a grado di istituzione giudiziaria nel codice di procedura civile del 1865, ma Stati come l’Inghilterra e la Francia avevano da sempre mostrato un interesse particolare verso questa figura. In Inghilterra, in particolare, i giudici conciliatori avevano poteri amplissimi ed erano dotati di grande autorità; erano figure di grande prestigio, scelte tra i proprietari della contea la cui rendita fondiaria superasse le 100 sterline, a garanzia dell’indipendenza di persone investite di una carica puramente onorifica. Essi non necessitavano della laurea in legge e la loro carica durava a vita; rappresentavano il self government della nazione, la responsabilità lasciata al popolo stesso e riposta in coloro che per i propri averi erano garanzia materiale di indipendenza, costituendo una parte eletta della Nazione che gratuitamente si occupava dell’amministrazione pubblica.
Anche nell’antica Francia vi furono giudici conciliatori per le cause di minimo valore ma senza unità di organizzazione e sotto dominazioni diverse. La prima assemblea costituente abbracciò con entusiasmo l’idea di una magistratura capace di giudicare i piccoli affari senza formalità e lungaggini e in questa prima formulazione i giudici di pace, i quali venivano assistiti da due assessori, avevano una competenza limitata per valore e materia ed erano istituiti principalmente come “ministri di conciliazione” in quanto nessuna causa poteva essere portata innanzi a un tribunale se prima non fosse stata tentata innanzi a loro la conciliazione.
242 Per una storia del giudice conciliatore si vedano L. SCAMUZZI,
Conciliatore e conciliazione giudiziaria, in Dig. It., Torino, 1896, pp. 32-209;
G. RAFFAGLIO, Conciliatori - conciliazione, in Enc. Giur. Milano, 1936, vol. XV, pp. 1-57.
Le differenze principali tra il judge of the peace inglese e il
juge de pax francese riguardavano soprattutto le reciproche
attribuzioni: ad entrambi erano assegnati i ruoli di conciliare e giudicare, ma mentre il primo aveva una competenza molto estesa soprattutto in materia penale, il secondo aveva competenze nel penale limitate per valore e per materia. Tuttavia anche i giudici di pace francesi avevano poteri piuttosto ampi se si pensa che le loro sentenze (quelle di valore non superiore alle 50 lire) erano inappellabili e soggette soltanto al ricorso in cassazione e solo per vizi di incompetenza o eccesso di potere243.
L’ istituzione dei giudici di pace venne conservata in tutte le costituzioni che si succedettero in Francia, seppur con alcune modifiche tese a semplificarne l’operato. Iniziarono a diminuire i casi di conciliazione obbligatoria (ne furono sottratte le cause di appello), il giudice di pace divenne autonomo e singolo, in quanto i due assessori vennero considerati dei supplenti e la nomina veniva fatta non più dal popolo ma dal capo dello Stato. Questi interventi non riuscirono comunque a evitare tentativi di abuso da parte dei giudici di pace che non erano ben penetrati nella loro missione di conciliatori, al punto tale che durante la discussione nel 1807 sul codice di procedura civile, molti ne chiedevano esplicitamente la soppressione. Ma il principio di pace e concordia tra i cittadini venne conservato e tutta la materia venne raccolta nel titolo primo del libro secondo di quel codice di procedura civile.
La giustizia di pace venne importata con le armi e con le leggi francesi in Italia ma soprattutto le province napoletane, abituate ad affidare le piccole cause ai cosiddetti Bajuli, non si ritenevano soddisfatte della giurisdizione dei giudici di pace. Caduta la dominazione francese, nel Regno delle Due Sicilie venne introdotto un sistema di conciliazione più omogeneo 243 N. PICARDI, I giudici di pace fra Storia e comparazione, in I giudici
di pace. Storia, comparazione, riforma, Atti del Convegno Macerata 17 giugno 1955, a cura di L. Moccia, Milano, 1996, pp. 3-42.
rispetto a quello forzoso importato dalle leggi francesi, sistema che sarà adottato nella sostanza dal successivo legislatore italiano e l'ufficio del giudice conciliatore venne ampiamente disciplinato dal Codice per le leggi di procedura civile del 1819244.
Negli Stati sardi invece non era prevista alcuna forma di conciliazione obbligatoria, infatti il codice del 1854 non prevedeva la figura dei conciliatori, anche se una conciliazione poteva intervenire tra le parti ad opera del giudice procedente245.
In Lombardia e nel Veneto, territori soggetti alla dominazione austriaca, non erano previsti giudici conciliatori, e quest'ufficio era affidato al Pretore e la conciliazione aveva carattere obbligatorio, in quanto non potevano adirsi i tribunali provinciali senza l'esibizione del certificato di mancata conciliazione, eccettuati solo i casi urgenti e le cause riguardanti la materia commerciale o tributaria246.
Anche il Codice estense del 1852 conosceva i conciliatori, il cui intervento era anche in questo caso obbligatorio prima del giudizio di merito247.
Nel Codice di Maria Luigia del 1829 per il Ducato di Parma invece, una procedura di conciliazione era prevista solamente nelle azioni contro gli ascendenti paterni, le quali non potevano essere promosse senza il consenso del presidente del tribunale che doveva prima effettuare un tentativo di conciliazione248.
I consiglieri passavano allora all’esame del secondo quesito: “Se nelle questioni civili fosse conveniente alla retta
244 Codice per lo Regno delle due Sicilie, parte terza, Leggi della
procedura nei giudizi civili, Napoli, Stamperia reale, 1837, Libro I, "De' conciliatori". Una disciplina dei conciliatori era già presente nella Legge organica dell'ordine giudiziario, in Collezione delle Leggi e de' Decreti Reali del Regno delle Due Sicilie Napoli, Stamperia reale, 1817, pp. 569 ss.
245 G. RAFFAGLIO, Conciliatori - conciliazione... cit., p. 9. 246 Ibidem.
247 Codice di procedura civile per gli Stati estensi (1852), in Testi e
documenti... cit., Titolo II, "Dei Conciliatori", p. 4.
248 Codice di processura civile di Maria Luigia (1828), in Ibidem, art. 978, p. 252.
amministrazione della giustizia lo istituire giudici conciliatori portando a cognizione dei medesimi le controversie prima di contestarne lite propriamente detta249”.
Il presidente notava come vi fossero due importanti motivi per ammettere i giudici conciliatori: l’abbreviazione dei tempi processuali, qualora si giungesse alla composizione della lite, in caso contrario sarebbero comunque state conservate nel verbale le ragioni dei contendenti.
Lo Sturbinetti riteneva utile solo in astratto la presenza di quei giudici, data la difficoltà di trovare persone qualificate e stimate da poter riscuotere la fiducia di entrambe le parti contendenti, difficoltà che rappresentava un problema ancora maggiore nelle Province, la cui soluzione avrebbe sicuramente comportato una spesa di non poco conto per l’Erario. Egli suggeriva pertanto di creare dei giudici economici competenti a decidere le cause riguardanti le piccole somme e lasciare la possibilità alle parti di scegliersi “mediatori” del luogo in alternativa al ricorso in tribunale.
Il presidente riteneva che in questo modo una delle parti in causa poteva ritrovarsi vittima ignara di individui che potevano favorire una parte a discapito dell’altra e che per questo motivo l’imparzialità nelle decisioni sarebbe stata meglio garantita se i giudici conciliatori fossero stati nominati dal governo.
Il Pagani, che era stato testimone dell’esperienza avutasi durante il Regno d’Italia, parlava dell’inutilità di quei giudici di pace, poiché il più delle volte accadeva che le parti si comportassero proprio come ad un processo, facendosi sostituire da legali e cogliendo di sorpresa la parte opposta, senza considerare poi a che quasi mai le parti si ritenevano soddisfatte della decisione del conciliatore così che egli “non aveva mai tale influenza sull’animo delle parti da vincere la franca assicurazione dei loro confidenti sul rispettivo buon
249 Quesito discusso nella seduta del 20 luglio 1848, ASR, Consiglio di
diritto.” E prevedendo che gli stessi disordini si sarebbero potuti verificare anche nello Stato pontificio, propendeva per la non ammissione di quei funzionari.
Il Potenziani riportava l’esempio della Francia, dove egli aveva personalmente verificato che i giudici conciliatori non riuscivano a comporre mai le questioni di “nuovo fatto” essendo troppo discorde l’affidamento delle parti sul valore delle reciproche prove.
Monsignor Pentini concordava con i suoi colleghi sulla difficoltà di trovare soggetti abili e tali da non comportare una spesa eccessiva per il pubblico erario; egli aggiungeva anche l’ inutilità, a suo parere, di incaricare i giudici ordinari di esperire un tentativo obbligatorio di conciliazione in quanto “il timore di vedere escluse in giudizio le sue pretensioni, determina il renitente, infine, a transigere senza che l’opinione de magistrati sia in caso contrario pregiudicata per decidere iuris ordine, perché altro è il consigliare un reciproco sacrificio per amore di pace, altro il rendere col rigor di giustizia a chiunque spetta il suo diritto.”
Monsignor Ruffini riteneva assi utile istituire dei giudici conciliatori, poiché, diceva, pagandoli bene, i soggetti idonei si sarebbero facilmente trovati; egli, d’altro canto, riteneva pericoloso affidare il tentativo di conciliazione ai giudici ordinari, i quali avrebbero potuto compromettere il loro parere sul merito della causa, in quanto la resistenza di una delle parti a non voler comporre la questione avrebbe potuto indispettirli, ritenendo inoltre che “è assai difficile la docilità dei contendenti dopo i primi passi di guerra o per lo meno è ingiurioso e ledente la libertà del consenso l’ingerito timore di una soccombenza sicura.”
Anche il Piacentini riteneva che dovesse escludersi la possibilità per i giudici di primo grado di esperire il tentativo di conciliazione suggerendo che l’incarico avrebbe potuto essere
affidato al “capo del municipio” evitando così qualunque aggravio per il Tesoro.
L’Orioli credeva utile il rimedio proposto dal Piacentini soprattutto nei piccoli paesi, dove sarebbe stato più che mai difficile trovare dei legali cui affidare l’incarico di giudici pacificatori né tanto meno reputava conveniente inviare in quei luoghi un soggetto estraneo. Al progetto si associava anche il Bonacci, il quale proponeva di stabilire delle norme nelle leggi municipali individuando nel “capo del municipio” l’esecutore.
Il presidente notava però che nel nuovo ordinamento dei comuni i gonfalonieri o i priori avrebbero avuto già abbastanza compiti da non potersi far carico anche di questo ulteriore incombente; inoltre egli riteneva necessario verificare nei mediatori il possesso almeno degli elementi base di giurisprudenza.
Il Ciofi, sentite le opposte ragioni, propendeva per lasciare al libero arbitrio delle parti rivolgersi o meno ai giudici conciliatori, come avveniva nei territori napoletani, così che anche “i poveri o meno agiati, che mal cercherebbero chi si prestasse gratuito e non obbligato a tentar di comporre le loro questioni, avrebbero nella benefica concessione del Governo un provvido mezzo a sfuggir i pericoli di dispendio e il disgusto di una dubbia lotta giudiziale.”
La questione veniva allora messa ai voti e il risultato che si ebbe fu di dieci voti a favore dell’istituzione dei giudici conciliatori e sette contrari.
3.5.3. Sull’ istituzione del Tribunale di Cassazione e di