3. Capitolo III – Il secondo periodo di riforme (1847 1848) –
3.5. La discussione in seno al Consiglio di Stato sulle basi di un nuovo regolamento di giustizia
3.5.3. Sull’ istituzione del Tribunale di Cassazione e di un terzo grado di giudizio
«La Cassazione è l’estremo fra i rimedi straordinari che la nostra procedura civile accorda contro le sentenze: per esso chiedesi l’annullamento per violazione di legge delle decisioni giudiziarie pronunciate in grado di appello. Conosce di tale rimedio la Corte di Cassazione che è la Magistratura Suprema
del Regno, istituita per mantenere l’esatta osservanza delle leggi.250» Secondo l’autore di questa classica definizione della
suprema tra le magistrature, quando si avvertì il bisogno di unità nella legislazione, si sentì anche quello di avere un tribunale superiore che si occupasse di applicarla.
Una della questioni che da sempre si è dibattuta è stata quella tra Cassazione e terza istanza. Culla del Tribunale di Cassazione è pacificamente ritenuta la Francia, e così come in Francia ebbe origine la Cassazione, così in Italia sorse l’altro istituto ad essa contrapposto, vale a dire quello della terza istanza. La terza è istanza è un istituto comune in Italia fin dai tempi del Medioevo, da Venezia, alla Sicilia, passando per la Sacra Rota romana251 e la Segnatura. Il principio della terza
istanza, andava così di pari passo con la creazione, nei vari Stati, di tribunali supremi. Ma, come sottolinea il Calamandrei, sarebbe fuorviante ricercare l’origine delle Corti di Cassazione nei Tribunali supremi degli Stati italiani dell’età intermedia. Questi ultimi, infatti, pur essendo posti al vertice delle rispettive gerarchie giudiziarie, come emanazione della sovranità giurisdizionale del principe, erano in realtà organi di terza istanza o suprema istanza, che estendevano il loro riesame a tutti gli errori, di diritto o di fatto, al solo scopo di garantire il buon funzionamento della giustizia nel caso singolo, senza il bisogno, dunque, di garantire la difesa dell’unità del diritto attraverso l’uniformità della giurisprudenza252. Non esisteva
dunque un’idea di separazione tra i due istituti. Con il tempo, questo concetto cominciò ad affermarsi, soprattutto la Francia,
250 F. BENEVOLO, Cassazione e Corte di Cassazione (ord. Giu. E Proc.
Civ.), in Dig. It., vol. VII, Torino, 1887-1896, pp. 32-488.
251 Ibidem, pp. 36-37.
252 P. CALAMANDREI, Cassazione civile, in Nuov. Dig. It. vol. II, 1937, p. 987. «Ogni tentativo di trovare l’archetipo della Corte di Cassazione in questi tribunali supremi, e specialmente, Consiglio del Regno di Napoli o del Supremo, Tribunale della Segnatura dello Stato pontificio è destinato a fallire, perché, se in questi tribunali supremi si può riscontrare qualche somiglianza di forme esteriori, manca in essi del tutto quello scopo politico, eccedente lo scopo strettamente giurisdizionale, che è la novità della Corte di Cassazione nello Stato moderno. »
indicava una prospettiva abbastanza chiara in tal senso, vale a dire quella di trasformare il potere di cassation in strumento di difesa della legge e farne l’elemento di differenziazione tra il vertice della giurisdizione e la magistratura ordinaria253; il terzo
grado di giudizio veniva così ripensato come strumento processuale destinato ad occuparsi della violazione di legge come di un elemento giuridico diverso dall’ingiustizia254. Si
trattava di un’operazione essenziale, concepita per l’attivazione di meccanismi di segno antigiurisprudenziale e con finalità ultima di costruire il nuovo baricentro del sistema intorno alla legge e il nuovo assetto costituzionale intorno al potere legislativo.
Le linee generali per la messa in opera della nuova giurisdizione vennero recepite in Italia rapidamente durante la dominazione napoleonica, e mantenute, seppur in forme differenti, in diverse regioni della penisola durante la Restaurazione. La Cassazione veniva così accolta nei diversi Stati italiani. Nel Regno delle Due Sicilie veniva confermato il modello francese del 1807, nel quale la soluzione del contrasto tra Corte suprema e giudice di merito era affidata all’istituto del
référé legislatif previsto dopo il terzo ricorso contro la stessa
sentenza per gli stessi motivi. Nel Regno di Sardegna la Cassazione venne introdotta piuttosto tardi, facendo riferimento al modello francese del 1837, accogliendo il sistema delle sezioni unite dopo il secondo ricorso per gli stessi motivi. Nel Granducato di Toscana la recezione della cassazione avvenne con motu proprio del 2 agosto 1838. Nel Ducato di Modena, il Codice di procedura civile per gli Stati estensi del 1852 prevedeva un Tribunale supremo di revisione; nel Lombardo Veneto il Regolamento generale giudiziario del 1815 avrebbe 253 J. - L. HALPAPERIN, Le Tribunal de Cassation et la naissance de la
jurisprudence moderne, in Une autre justice, p. 227 «In Francia, la necessità
di uniformare la giurisprudenza e di far applicare la legge in maniera letterale e uniforme da tutti i tribunali aveva spinto la Costituente a istituire il Tribunale di Cassazione.»
254 E. SALA, Osservazioni sulla istituzione del tribunale di Cassazione, in La legge, I, 1861, p. 149.
previsto, secondo il sistema austriaco, una corte suprema di revisione. Nello Stato pontificio il sistema di riferimento è quello dei Regolamenti gregoriani, che indicavano, quali tribunali supremi, il Tribunale Supremo della Sacra Consulta, per il ramo penale e il Tribunale della Sacra Rota e quello della Segnatura apostolica255.
La discussione dei consiglieri su questo punto si apriva sul quesito “se nei giudizi civili debba ammettersi o no un terzo grado di giurisdizione256.”
Il Giuliani proponeva un paradosso. O le parti in causa sottostavano al giudizio del primo collegio di giudici o, se decidevano di ricorre ad un consesso più autorevole, perché la maggioranza di persone o la loro competenza ispirava maggiore fiducia nelle parti, allora tanto valeva rivolgersi direttamente al secondo collegio, con un evidente risparmio di tempo e di spesa. Egli inoltre aggiungeva che tribunali di secondo grado così distinti se ne sarebbero potuti creare al massimo tre, uno in ogni dipartimento dello Stato, dei quali due sarebbero perciò stati necessariamente eretti nei confini estremi dello Stato pontificio. Le enormi distanze massime dai luoghi montuosi al centro, sarebbero state causa di fatale ritardo alla conclusione dei giudizi per le necessarie dilazioni a raccogliere mezzi di prova, e ad eseguire le inquisizioni e le difese. Il ritardo sarebbe stato accresciuto dal gran numero di cause rimesse alla decisione del consesso che, sebben numeroso, non avrebbe potuto occuparsi di tutte quelle cause, e se anche si fosse diviso in turni, non sarebbe stato più quel collegio imponente, anche per numero, da guadagnarsi “la morale persuasione di quasi infallibilità di giudizio.” L’ economia dello Stato avrebbe subito il pregiudizio del trasporto degli imputati e delle indennità da elargire ai
255 M. MECCARELLI, Le Corti di Cassazione nell’Italia Unita. Profili
sistematici e costituzionali della giurisdizione in una prospettiva comparata (1865-1923), Milano, 2005, pp. 9-13. Sui tribunali supremi dello Stato
pontificio v. infra, cap. II.
256 Quesito discusso nella seduta del 20 luglio 1848. ASR, Consiglio di
testimoni nei giudizi penali, e anche l’economia dei privati sarebbe stata compromessa a causa dei dispendiosi viaggi e dalla lontananza dalle famiglie. Da ultimo egli aggiungeva che “la venerazione all’autorità dei decidenti si otterrebbe forse quando o l’unanimità o una maggioranza che vi si approssima facesse fede del reso giudizio, non già se, come di frequente accade, un solo voto supera la metà dei decidenti, poiché allora, non è un collegio, ma un giudice singolo che decide a danno del soccombente e soverchia e contraddice efficacemente il parere di molti.” Considerato pertanto che “l’unanimità costituisca la morale certezza della rettitudine del giudicato, la parità il dubbio, la maggioranza una probabilità più o meno grave, rimarcava anche alcuni inconvenienti derivanti dal costituire due gradi di giurisdizione, avanti di esporre un suo progetto tendente a rimuovere o diminuire, per quanto la combinazione delle cose umane vi si presta, tutti i possibili disordini.”
In più egli diceva, a parte la materiale fabbricazione degli atti, “nulla di reale e di valido” veniva eseguito dai giudici di primo grado, gli avvocati, ad esempio, non avevano interesse a sviluppare le difese in prima istanza e nel Regime italico, che diede vita ad un sistema simile, quasi sempre i documenti di maggior rilievo si esibivano dinanzi al tribunale superiore. Il sistema austriaco, continuava, vietava in appello la produzione di documenti non esibiti in primo grado se non si provava che la mancata esibizione non era avvenuta per dolo o colpa. Il progetto avrebbe dovuto essere quello di creare un tribunale di primo grado con un numero pari di giudici, e un altro di appello, di numero sempre pari ma maggiore quanto a numero di persone. La sentenza resa ad unanimità in primo grado si sarebbe dichiarata inappellabile, mentre l’unanimità nel tribunale superiore, sia per la conferma, sia per la revoca, avrebbe costituito la cosa giudicata, e la parità sulle due opinioni di primo grado, o la maggioranza, per la revoca, avrebbe dato luogo al terzo grado di giudizio innanzi ad un
tribunale supremo composto da un maggior numero di magistrati ma in numero dispari, per definire con il criterio della maggioranza la disputa a favore di un parte. “La legge non sospetterebbe della fallibilità dei primi giudici, quando per l’unanimità è tolto di mezzo il dissenso, solo titolo di dubbio sulla rettitudine del giudicato, e si estinguerebbero in questo caso con una sola sentenza inappellabile le diciture discordie fra i cittadini, e le cause di rovina economica delle famiglie. Questa unanimità sarebbe immancabile nelle liti meramente pecuniarie, o altre affidate ad uno scritto incontrovertibile, ed in quelle evidentemente calunniose o definite da una massima assentata e pacifica, tal che non vedrebbesi un fraudolento debitore o un ricco prepotente stancare per mala fede o capriccio, col dispendio di due giudizi, il suo avversario assistito da indiscusso diritto.”
Presa la parola, lo Sturbinetti, ricordava come il sistema di un solo grado di giudizio fu salutare solo quando, “nella severa semplicità de’ costumi”, gli antichi romani non avevano possibilità di appello avverso le sentenze del pretore, “allorché per i costumi ingentilendosi si corruppero ancora”, si palesò la necessità di inserire un terzo giudizio fra due difformi, e nel tempo questo metodo era stato conservato. L’inappellabilità del primo grado, conseguente all’unanime voto dei giudici, poteva essere causa di una condanna ingiusta. Riteneva pertanto di mantenere i tre gradi di giudizio “per distruggere il temuto disordine della minorità vincente contro la collettiva maggioranza dei suffragi verificata nel cumulo dei gradi”, proponendo di comporre di un numero pari di giudici ciascuno dei tre tribunali, con l’intervento di un relatore che dava il proprio voto in caso di parità di giudizio.
Alle riflessioni dei due colleghi il presidente opponeva il parere contrario che la Sezione legale della Consulta di Stato aveva manifestato nel suo rapporto e riepilogandone le principali ragioni, osservava come “l’impianto di tre
magistrature, l’una correttiva della sentenza dell’altra, fosse una manifestazione di diffidenza su di ciascuna di esse da parte del potere centrale. Che, se un tal principio condurrebbe all’unicità del grado di giurisdizione, due ragioni consigliano d’instituire tribunali inferiori e supplementari oltre i veri grandi tribunali, una per la impossibilità di stabilire in ogni cantone dello Stato un magnifico consesso di giudici in numero di ventuno perlomeno, l’altra avere gli istruttori del processo, onde i tribunali di merito non giudichino con idee preconcepite durante la formazione di quello e non siano occupati da un criterio men retto difficile ad abbandonarsi a processo compiuto. Dovrebbe tuttavia ingiungersi a codesti magistrati inferiori impropriamente chiamati tribunali, di emanare una sentenza che sebbene di nessun conto, servirebbe per obbligarli a costruire regolarmente la procedura. Ma la sentenza piena, ragionata e definitiva sarebbe quella del secondo grado e così si eviterebbe il pericolo che nei tre gradi la maggioranza soccomba alla minorità.”
Lo Sturbinetti contraddiceva i motivi addotti dalla Consulta. “La fiducia del Governo e dei contendenti era presente in tutti e tre i gradi di giudizio; la revisione che si accordava al giudizio di primo grado non serviva a distogliere la fiducia del popolo nei confronti della giustizia, ma ad accrescerla attraverso una conferma, ed ove ciò non avveniva, a procurare tra due diversi giudizi un terzo criterio di verità che ad uno dei due si avvicini, ed induca, nella fallibilità degli umani giudizi, una morale certezza di amministrata giustizia. L’inconveniente del maggior numero dei giudici dal lato di chi perde è più facile è più forte nel sistema dei due gradi ed un inconveniente inevitabile non legittima la falsità di un principio. Infine l’obbligo ingiunto al tribunale inferiore di pronunziare un giudizio per meglio creare il processo non obbliga la probabilità di raggiungere lo scopo perché la sicurezza che quello riesca sterile, monco e che la sentenza non nasce dal calore del contraddittorio o della difesa
delle parti e perciò deve necessariamente rigettarsi, non impegna l’amor proprio e la coscienza de’ giudici ad un accurato lavoro e forse ridotto a quasi mera formalità va a divenire l’opera privativa di un meccanico cancelliere.”
Monsignor Ruffini, appoggiando le conclusioni dello Sturbinetti, aggiungeva che quando una prima sentenza veniva revocata da una seconda, la prima sentenza non esisteva più perché una collideva con l’altra. Dunque un terzo grado era necessario perché la lite terminasse con una sentenza “viva e irretrattabile”. I motivi che avevano spinto la Consulta di Stato ad ammettere due gradi di giudizio e non uno solo, venivano resi inefficaci, attraverso l’impianto del primo grado. Se si riconosceva la necessità di istituire un tribunale in ogni cantone dello Stato, “perché un solenne areopago di almeno 21 membri non si sarebbe potuto creare che in due o tre punti dello Stato medesimo”, doveva riconoscersi anche la necessità di procedere con quei tribunali di cantone ai bisogni delle popolazioni soggette, ed impedire possibilmente i mali rappresentati dal Giuliani con l’esistenza di un grado solo di giurisdizione. Ma si domandava se un tribunale composto da un solo giudice processante, che rendesse una sentenza inutile da non persuadere del buon diritto né il vincitore né il soccombente, sentenza che inevitabilmente si appellerebbe a quel tribunale superiore, ove si traducono le difese e le prove, allontanerà i danni dall’economia privata e pubblica e dal ritardo della giustizia.
Anche il Pagani sosteneva l’utilità dei tre gradi. Non è vero, egli diceva, che la prima sentenza non riscuoteva la fiducia del potere esecutivo e dei litiganti, talvolta questa era implicitamente dichiarata la migliore dal terzo grado che la confermava, revocando la seconda. La legislazione francese in Italia aveva dimostrato come i due soli gradi di giurisdizione fossero fonte di perenne pregiudizio per l’interesse dello Stato e
dei cittadini sotto ogni rapporto di bene materiale civile e politico.
Monsignor Pentini non concordava sul fatto che la fiducia nei giudici dipendesse dal grado più alto al quale essi appartenevano. “Ogni magistrato eletto dal governo esser dovrebbe fornito di un patrimonio di integrità e di sapere uguale a qualunque altro superiore, perché pari è il mandato santissimo di rendere a ciascuno suo diritto in ciò che riguarda la fortuna, l’esistenza civile, la libertà, la vita dall’ultimo al primo dei cittadini.” Il governo doveva curare che la prima sentenza avesse un peso tale sull’animo delle parti da riscuotere la reciproca fiducia ad estinguere ogni causa di lite, cosicché l’appello divenisse un beneficio, non una necessità. Quindi appoggiava il progetto del Giuliani di rendere inappellabile la sentenza pronunciate ad unanimità e dar luogo alla revisione solamente in caso di maggioranza di voti, escludendo attraverso il numero dispari dei giudici, il caso di parità. “Così – proseguiva - senza il concentramento di enorme quantità di giureconsulti giudicanti in un punto solo, ove prestando opera contemporanea su tutta la disputa non potrebbero con retta sollecitudine definirne l’esorbitante moltitudine, sarebbe a proporsi che si dividano in discreto numero e non gravi distanze, onde ottener che il comodo dell’istituzione dei tribunali sia sparso in più luoghi, e lungi dal divenire un privilegio di poche fortunate città serva al suo vero fine di prestamente restituire a chi si debba il possesso delle reali e personali proprietà o di vendicare l’offesa coll’edificante prontezza della pena irrogata.
Monsigor Morchini, all’opposto, era fermo sul punto dell’utilità di due soli gradi di giudizio in ossequio alle ragioni esposte dalla Consulta di Stato. Uno era il principio. Il secondo grado, per numero e qualità dei magistrati che dovevano comporlo, dava la presunzione di infallibilità del giudizio il quale sarebbe stato indebolito dalla concessione dell’appello. La Francia a seguito delle frequenti crisi politiche e delle continue
riforme amministrative e giudiziarie aveva sempre ritenuto inalterabile il sistema dei due gradi di giudizio e così anche gli Stati italiani napoletani e toscani, ai quali era opportuno uniformarsi.
Lo Sturbinetti evidenziava a tal proposito l’incertezza della giurisprudenza francese perché appunto il difetto di una grado supremo, che ne fissi le basi principali a norma delle inferiori giudicature, fa ondeggiare l’arbitrio delle opinioni e provoca le continue declaratorie del Ministero, che costituendo volumi di nuova legislazione, contraddicenti la preesistente, ed accrescevano la difficoltà dell’applicazione ai casi speciali. “Laddove poi una ragione irresistibile non persuada l’imitazione dell’esempio altrui, saranno troppe inconseguenti e degeneri dai nostri maggiori se noi copiar volessimo dallo straniero perfino il disordine, che tale sarebbe almeno per noi, per il nostro costume, e condizione sociale, il difetto di un terzo grado. Napoli e la Toscana conservarono il sistema che il Regno d’Italia aveva introdotto e non è certo ancora se intendono persistere in quelle o aspettano da altri l’esempio di una riforma che le consigli a cambiarlo.”
Il Potenziani raccontava la sua personale esperienza e sull’inconveniente dei due soli gradi di giudizio mentre monsignor Morchini diceva che i tre gradi di giudizio non davano uniformità alla giurisprudenza e solo il rispetto per la Rota aveva spesso e neanche sempre piegato le menti dei tribunali inferiori a venerar le sue massime
Lo Sturbinetti contrastava le parole di monsignor Morchini, replicando che sulla manifesta violazione di una legge chiara e precisa, la Cassazione avrebbe dovuto pronunciarsi, e in questo caso “non vi è e non vi può essere ondeggiamento di teorie, ma solo falsità di applicazione. Il vizio risiedeva nelle materie opinabili, nelle quali, appunto, pel difetto di metodo, di divider la Rota in due turni, si verificava il continuo conflitto di decisioni diverse sull’identico articolo. Dato un solo tribunale supremo di
terzo grado che definisca in unico consesso e con una sentenza inappellabile la controversia, i tribunali inferiori necessariamente professeranno la giurisprudenza medesima nella sicurezza che deviandone la loro sentenza all’ultimo grado sarà revocata.”
Anche gli uditori furono invitati ad emettere il loro parere sull’argomento, e l’ Alibrandi riteneva che la legge non accordava maggior fiducia di presunta infallibilità al secondo o terzo grado ma a due gradi che vengono nel medesimo giudizio e facciano nascere due sentenze conformi, era dunque necessario che se la causa giudicata o meno dal primo e secondo grado a questi da l’impronta d’infallibilità, col denegare l’appello, e se emerga dal terzo, la concede a quest’ultimo ed al grado di cui si conferma il giudizio. Senza l’efficacia dunque della prima sentenza non poteva mancare la cosa giudicata in secondo grado e nella difformità delle due sentenze la cosa giudicata può senza il benefizio del terzo grado.
Riflettendosi dai congregati che quando si adottava il sistema del terzo grado di giudizio il miglior partito era quello di non proporre innovazioni circa il numero dei giudici e il diritto di appello, e si subordinava alla votazione il quesito nei termini della interpellazione ministeriale con avvertenza che chi si alza ammette i due gradi, chi rimane seduto conviene nel terzo grado. Quattro si levarono, dodici restarono al posto. Per dubbio di accorso equivoco si è ordinata la controprova. Chi si alza ammette il terzo grado, chi si siede lo nega.