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116 che , prima ancora che si venisse al compimento di una strada di ferro , quegli uomini i quali, giorno per giorno devono ri-

trarre dalle loro fatiche un incerto guadagno onde sostentare la vita , a poco a poco dileguandosi il timore delle febbri an- dranno colà a cercare un' agiatezza maggiore , al coperto dei capricci della fortuna e dei cambiamenti delle umane cose. Ma se pur ciò non si verificasse ( il che non è da credersi ) è provato dal fatto che non abbandona l' antico mestiere il vetturale scacciato dalla costruzione di una strada di ferro: ne abbiamo esempj palpabili in Inghilterra, giacché cola si hanno osserva- zioni sicure che se è diminuito il numero dei cavalli impiegati sopra le strade ordinarie, quando queste hanno avuta la con- correnza di strade di ferro , il medesimo numero di cavalli non è però stato tolto dall'ordinario impiego dei trasporti; esso in tal caso ha servito a condurre alla nuova strada le genti circonvicine e le mercanzie delle campagne adiacenti; ed anzi il nu- mero dei cavalli è andato aumentando, tanto è gigantesco l'impulso che dà all'industria e al commercio lo stabilimento di una strada di ferro! Tutto adunque invita alla costruzione di una strada a rotaje da Firenze a Livorno , ed io sarei ben con- tento se la mia debole voce facesse cangiar pensiero ad alcuno di coloro che nutrono antipatia per questo nuovo mezzo di comunicazione! Terminerò col rammentare a questi che i resultati felici per le società le quali dopo maturo e giudizioso esame intrapresero la costruzione di strade di ferro in America e in Inghilterra , e i vantaggi che immediatamente risentiro- no le province traversate da esse, noti ovunque, le propagano e ne aumentano ogni di più il numero. In America , in Inghil- terra , in Francia, e in Germania continui sono i progetti, continue le associa7,ioni per stabilirle. L'Italia non resterà indietro; e già può contemplarsi il momento in cui l'Europa sarà intersecata in tutte le direzioni da queste vie che saranno come nuo- ve vene per una maggior diffusione della ricchezza e del progresso. I battelli a vapore sul mare , le macchine locomotive sul- la terra trasporteranno ovunque ne piaccia un immenso numero di viaggiatori e di mercanzie per il più dritto cammino con incredibile rapidità e con tenue spesa; il movimento degl' intelletti avrà così creato il movimento fisico degli esseri animati e delle cose inanimate , e questo in ricompensa renderà l'altro più attivo; e finalmente è credibile che non si troverà più alcu- no il quale non abbia veduto che la sola terra natia , tanto sarà divenuta abitudine degli uomini il viaggiare e il conoscere i paesi stranieri.194

Ottenuto l'assenso, i due banchieri costituirono subito una Società anonima, a responsabilità limitata e ga-

rantita da capitale azionario.195 L'organizzazione di questa società fu definita prendendo a riferimento l'e-

sperienza inglese, scelta che rimarcava la fiducia nel modello liberista d'oltre Manica, ma ne ripeteva gli er- rori e i rischi speculativi. Fu così che, sulla base di quanto accadeva in Gran Bretagna, Sen e Fenzi iniziarono, ancor prima della stipula della convenzione definitiva ma solo in virtù dell'autorizzazione ricevuta, ad in- traprendere gli studi, a vendere promesse d'azioni per coprire il capitale sociale, stabilito sulla stima del preventivato costo dell'opera. Le promesse erano delle ricevute provvisorie in attesa del titolo. Era questo un modo per raccogliere fondi, rateizzando il pagamento delle azioni. Le promesse di vendita erano com- merciabili, come le azioni, ma i sottoscrittori correvano il rischio di perdere quanto versato se veniva meno il pagamento delle rate successive o se, per mancanza di fondi, veniva ritirata l'autorizzazione ( come ef- fettivamente successe) se i lavori non venivano completati , ovvero se la Società entrava in crisi finanziaria o falliva.

Nel numero del 16 giugno 1838 della Voce della Verità- Gazzetta dell’Italia Centrale, un articolo senza firma dal titolo Gli azionisti e la mania delle azioni , puntava il dito sul facile sistema di reperire fondi per intra- prendere grandi progetti industriali, costituendo delle società anonime e metteva in guardia dai pericoli insiti nella speculazione di borsa:

«( Dal Costituzionale. ) Colla soppressione dei giuochi d' azzardo, coll' abolizione del lotto le camere ed il governo rinunciarono a i5 milioni d'imposta volontaria pagata dalla frenesia dei giocatori. — E stata questa una savissima disposizioni : ma a che serve, se al giuoco che agisce sopra alcune migliaja di franchi, e che paga tributo allo stato, è succeduto un giuoco che nulla produce, e che opera sopra milioni?

Ecco ciò che presentemente accade. La Borsa è surrogata alle bische, ed al lotto, la Borsa ove tutto si fa sotto la protezion della legge, sebbene quella si ponga in un' illegittimità di fatto in tutti gli affari suoi di traffico usurajo. Non si tratta più di speculazioni sui fondi pubblici. Il 5 per o/o il 3 per o/o tengonsi a vile, e le rendite di Napoli e di Spagna non solleticano più alcuno. Tutti questi fondi non sono notati che per semplice ricordo: la lentezza dei loro movimenti non può arricchire e rovinare lo speculatore in un' ora. La mania del giuoco ha trovato un altro alimento, cioè le azioni delle intraprese

194

Fabio Andreini, Delle strade di ferro, cit., p p.182-5. 195

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industriose.

Non passa giorno in cui non si vegga nascere una nuova speculazione, e non passa un giorno in cui nella Borsa non vi sia una nuova emissione di azioni. 0 buone o cattive, queste azioni trovano sempre qualcheduno che le produca e, a ciò che sembra, qualcheduno ancora che le compri. Tutto quanto si fa in tal guisa è egli importante? I prezzi che porta la lista ufficiale sono eglino sempre esatti ? Molti dicono di no, e se non vi fosse che il solo dubbio di un officioso sensaleggio, ciò dovrebbe bastare per mettere in guardia tutte le persone oneste e giudiziose.

Il male è grande, il pericolo immenso: l'industria fin ad ora rimasta in tutela, perchè ignorava i maravigliosi effetti dell' associazione, è minacciata nel suo avvenire. Il furore del giuoco sulle azioni industriose richiama l'epoca di Law. Sa arriva una crisi, ne avverrà dei nuovi valori come delle sue azioni del Mississipi: non rimarranno nelle mani dei possessori che dei pezzi di carta. Alcuni speculatori abilissimi si saranno arricchiti colle spoglie degli sventurati che avranno creduto alle promesse del prospetto, ed una profonda insuperabile alienazione distrarrà in avvenire i capitali di tutte quelle intraprese che fosse per tentare 1' industria.

È questa una delle più funeste conseguenze che possono derivarne: i disastri privati sono infinitamente da compiangere, e fa di mestieri tentare quanto è umanamente possibile per difendere gli uomini dabbene dal proprio loro accecamento; ma sarebbe ancora più deplorabile di vedere i benefìzj dell' associazione dei capitali mancare all' industria francese che ne ha tanto bisogno: sarebbe lo stesso che privar le intraprese oneste e leali di un potentissimo ajuto, senza di cui elleno non possono riescir bene.

Di già circolano lagnanze nel particolare: i capitali si portano colà ove il giuoco è più ardente, ove 1' aumento e 1' abbassamento dei fondi si succedono violentemente. In realtà non sono azioni che si comprano, e che si vendono, ma sono, come pe' fondi pubblici , differenze sulle quali si specula. Gl' intraprendimenti importanti, che hanno dei reali azionisti, non offrono queste grandi sorti di guadagno: e sotto questo rapporto, sono molto men ricercati.

Noi viviamo in un tempo del tutto positivo: agli occhi degli abituati della Borsa, la politica, già si sa, è un affare di pura curiosità, quando non è uno strumento di traffico usurario. La sollecitudine degl' interessi morali è un' innocente illusione che si abbandona ai collegiali ed agli utopisti. Ciascuno s' occupa degl' interessi materiali, ciascuno la intende a suo modo, e brama di far fortuna presto, non importandogli i mezzi di ottenerla. Il giuoco è il modo più breve, e con una certa dose di destrezza uno spera di signoreggiare i suoi mezzi aleatorj: di là ne proviene quella mania che manifestasi alla Borsa, e quell' ardore arrischiante di traffico usurano. Molti si rovinano, pochi riescono, ed il loro successo è per la folla pedissequa uno sventurato eccitamento. Non si capisce come nello stato normale della società, faccia d'uopo, per arricchirsi, di molto tempo, e molta fatica, ed alcuni orgogliosi pei loro vantaggi momentanei, esclamerebbero volentieri come quel personaggio di una commedia di Picard: E che! vi sono ancora delle genti che coltivano la terra?

Qual rimedio si deve opporre al male sopravvenuto? L'attuale legislazione non può far molto: fra tanto sarebbe utile di richiamare, sul proposito del traffico usurano, le prescrizioni che furono fin qui vanamente invocate sull’ oggetto dell' agiotagio dei fondi pubblici, per conoscere che sono formalmente inibiti dai nostri Codici. In quanto a promovere delle nuova misure noi ci siamo poco disposti. Il tentativo del Ministero, nel suo progetto di legge sulle società in commandita, annunzia o un' impossibilità reale, o un' impotenza relativa. Ciò che deve fare la stampa è di appalesare ai medesimi interessati i pericoli che li minacciano, e di richiamare 1' attenzione del paese sopra una situazione sregolata, e che sembra vicina ad una crisi. Compiamo in oggi questo dovere, e ne proseguiremo il perfezionamento io ogni circostanza.»196

Era palese il vantaggio di una società che potesse godere della disponibilità di denaro ancor prima di firmare la convenzione o iniziare i lavori, col rischio che questa ricerca di denaro avesse finalità speculative prima che imprenditoriali, cosa che purtroppo si sarebbe verificata più avanti.

Nel Granducato ogni iniziativa progettuale proposta da gruppi d'interesse toscani, dietro ai quali c'era sem- pre un gruppo finanziario straniero, doveva quasi sempre superare l'ostacolo di una controproposta con- corrente, sostenuta da altri gruppi antagonisti, segno evidente che i successi delle strade ferrate toscane si decidevano nelle piazze borsistiche europee.

Comunque, meno del 20% dei titoli azionari previsti fu acquistato da operatori toscani e i rimanenti furo- no piazzati sul mercato borsistico estero. Mentre il piazzamento delle promesse di vendita ai cittadini to- scani fu relativamente facile, ciò non lo fu per le quote all'estero, a causa del rischio ad esse connesso; que- sto produsse una fluttuazione sul valore stesso delle promesse con il conseguente dimezzamento del loro valore. A determinare la fluttuazione concorrevano, con buona probabilità, anche i rivali dei due banchie- ri, interessati al fallimento della loro iniziativa e al sostegno di altri operatori concorrenti.197

196

Gli azionisti o la mania delle azioni, La voce della verità, n° 1073, 16 giugno 1838, p. 1. 197

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Solo la garanzia costituita da un progettista di rilievo avrebbe indotto Leopoldo a sciogliere la riserva sulla concessione ed il mercato a finanziare l'opera. Così, il Consorzio degli imprenditori raccolti attorno a Sen e Fenzi contattò Robert Stephenson, che accettò l'incarico. La notizia fu data alla stampa. Il Giornale Agrario Toscano e gli Annali di Statistica la ripresero con toni enfatici che contribuirono a rassicurare i mercati fi- nanziari.; alla fine gran parte delle promesse di vendita presero la via del Lombardo Veneto, indice di un forte interesse allo sviluppo del sistema ferroviario toscano.198

Sulla strada del conferimento della concessione si presentò un altro ostacolo: quale direzione percorrere per collegare Firenze a Livorno. La scelta del tracciato non era di poco conto perché condizionava la pianifi- cazione della futura rete regionale e l'integrazione con gli altri sistemi di trasporto stradale ed acqueo. Per sciogliere ogni dubbio, Leopoldo nominò- novità assoluta per quei tempi- un'apposita Commissione, la De- putazione preparatoria gli studi tecnici per valutare le opzioni in campo e scegliere il tracciato migliore. I problemi affrontati dalla Commissione erano sia di natura politico territoriale, legata alla scelta delle zone che sarebbero state privilegiate, che tecnica, viste le possibili difficoltà orografiche da superare e i costi delle opere.

Tra le proposte , quella che seguiva il percorso pedemontano, la cosiddetta Subappenninica o delle sette cit- tà e che annoverava tra i promotori l'architetto Carlo Martelli e l'ingegnere Ridolfo Castinelli, aveva una valenza politica di enorme rilevanza, ancorché fosse economicamente sconveniente.

Il progetto della Subappenninica partiva da Firenze in direzione di Pistoia; da qui proseguiva per Pontedera e si dirigeva verso Livorno . Nel ragionamento dei proponenti c'era una novità. Costoro guardavano non tanto al passaggio attraverso una città piuttosto che un'altra, quanto al riferimento al bacino di traffico po- tenzialmente più ricco di utenza che avrebbe potuto essere attratto dal sistema ferroviario. Era la riproposi- zione del dibattito in corso nel Lombardo Veneto per la Venezia- Milano.

Nella visione del Castinelli, che esplicitò nel suo Delle strade ferrate in Toscana considerate come tronchi di strade italiane e del'utilità di un nuovo sistema di rotaje per le locomotive e le vetture tratte dai cavalli, pub- blicato nel 1842, c'era, però, una variante. Aveva infatti previsto che il collegamento Livorno Pisa fosse la- sciato fuori dalla Leopolda., ma che dovesse far parte di un'altra linea verso Sarzana e Pontremoli, diretto cioè verso le regioni confinanti con il Granducato. Nella concezione progettuale del Castinelli, Bologna di- veniva la vera chiave del commercio toscano d'importazione, con la conseguenza che:

“ il recapito a piè dell'Appennin del commercio di Bologna in Toscana si troverà a Pistoja; in virtù anche della strada Porret- tana prossima all'apertura”.199

La sua visione progettuale implicava un'interazione con gli altri Stati dall'enorme impatto politico e rap- presentava il primo esempio di ragionamento interstatale.

Attorno alle proposte del Castinelli si accese un dibattito vivacissimo tra i sostenitori di questa o quell'altra soluzione. Nel Giornale di Commercio del 30 marzo 1842 un anonimo articolista proponeva un sistema

198

A. Giuntini, Leopoldo e il treno, cit., p. 61. 199

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ferroviario a forma di pesce, con ramificazioni a destra e sinistra dell'Arno. Indicava sulla riva destra una serie di linee .

« da Lucca all'Arno, presso Pisa. Da Pescia all'Arno, verso le Fornacette. Da Pistoja all'Arno per la valle dell'Ombrone. Da Pra- to all'Arno per la valle del Bisenzio”… ( Sulla riva sinistra le linee andavano) da Siena all'Arno per le valli della staggia e dell'Era. Da Volterra o meglio dalle Saline all'Arno per la valle dell'Era. Dalle Maremme all'Arno presso Pisa».200

In un articolo apparso nel 1843, nel numero LXXXV degli Annali di Statistica , al Castinelli veniva ricono-

sciuto di scrivere “con pensiero italiano, non provinciale e nemmeno municipale”.201 La proposta del Casti-

nelli, però, era per quel tempo troppo avanzata ; pur tuttavia aveva suscitato l'attenzione delle classi diri- genti ed imprenditoriali, aprendo nuova opportunità che si sarebbero concretizzate di lì a poco nel vicino Ducato di Lucca. Tornando alla Leopolda, alla fine, la preferenza cadde sul tracciato più pianeggiante che correva lungo la valle dell’Arno ed era economicamente più conveniente e sostenibile.

il progetto elaborato da Stephenson fu approvato definitivamente nel 1840 dal Consiglio degli Ingegneri, cui fu affidato dal Granduca anche il compito di seguire e controllare la costruzione, suscitando inutilmente le proteste dell'impresa costruttrice.

Infatti, ben presto, il Collegio degli ingegneri si trovò a valutare e ad opporsi oppose alla richiesta presenta- ta dalla Società di ridurre il proprio capitale azionario del 50% e di ottenere uno sconto dl 25% sui manufat- ti in ferro richiesti alla regia Amministrazione di Follonica. Questi episodi ben rappresentano come la strut- tura e il capitale societario fossero definiti non sulla base di elementi di certezza ma solo su calcoli previsio- nali quasi sempre sbagliati, e sulle incertezze di reperimento dei fondi sul mercato, mettendo in dubbio la trasparenza delle informazioni agli investitori e creando condizioni di possibile ricatto al governo derivante dalla possibilità di far chiudere i cantieri o fallire la Società. La questione della mancata copertura del capita- le azionario, ad un certo punto, portò il Collegio stesso a ipotizzare che fosse meglio che l'opera venisse in- trapresa direttamente dallo stato, sostituendosi all'imprenditoria privata. Ma la corte e Leopoldo rimasero di parere diverso.202

Altra questione fu la determinazione delle tariffe, sulla scelta delle quali le autorità del Granducato fecero forti pressioni per tenerle basse, almeno nella prima fase. In questa vicenda Leopoldo non stava a guardare in modo distaccato , ma interveniva direttamente per garantire che l'opera fosse realmente disponibile alla popolazione. Si può dire che il suo liberismo economico si sia adattato primariamente all'interesse gene- rale del paese.

Finalmente, il 6 aprile del 1841 Leopoldo affidò la concessione ai due banchieri che si assunsero intera- mente l'onere dell'opera. Con la conferma della concessione si scatenava la gara tra i gruppi finanziari che avevano acquistato le promesse di vendita per il controllo della maggioranza azionaria e delle cariche so- cietarie. Due mesi dopo veniva costituita la Società Anonima per la Strada Ferrata Leopolda (detta per l'appunto Leopolda in onore di Leopoldo II°), con un consiglio d'Amministrazione in cui si fronteggiavano

200

A. Giuntini, Leopoldo e il treno, cit., p. 76. 201

Ivi, p. 75. 202

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due gruppi rivali. Pur controllando il consiglio d'Amministrazione, il gruppo di Sen e Fenzi dovette cedere la carica di direttore alla cordata rappresentante il capitalismo lombardo veneto e austriaco, cui faceva par- te il banchiere milanese De Putzer.203

Lo scontro interno al Consiglio d'Amministrazione (C.d.A.)andava oltre gli equilibri societari perché pesava sulla raccolta dei capitali, non ancora conclusa, faceva perdere valore alle azioni e rischiava di inficiare tutto il progetto di costruzione della linea, sottraendo a Leopoldo il controllo sugli esiti dell'operazione.

D'altro canto, lo scontro serviva agli azionisti, soprattutto se nuovi e non appartenenti al gruppo originario, per tentare la scalata alla Società o presentarsi davanti al Granduca per chiedergli una qualche facilitazione o garanzia sui capitali investiti, palesando il ritiro degli investimenti o la chiusura dei cantieri. Nello scontro tra gruppi vi era anche un diversa concezione del sistema ferroviario, che i primi vedevano circoscritto all'ambito economico e sociale territoriale mentre i secondi intendevano come sistema regionale integrato potenzialmente orientato oltre confine.

Sull'onda delle decisioni assunte dal C.d.A, Fenzi , nel marzo del 1842, si recò da Leopoldo e chiese, senza esisto alcuno , che fosse garantito un qualche interesse sul capitale azionario della Società. Attraverso queste vicende traspare con forza l'ampiezza e la rilevanza delle prime costruzioni ferroviarie ; seppur ter- ritorialmente circoscritte, esse uscivano dai confini nazionali muovendo enormi interessi: economici, fi- nanziari, politici. Controllare una società ferroviaria significava controllare un pezzo del potere economico della regione, oltre a farne oggetto di speculazione finanziaria. Tutto ciò contribuiva a cambiare veloce- mente il modo di pensare, produrre, investire, mettendo in moto delle trasformazioni profonde nel tessu- to economico, politico e sociale.

Formatasi la Società furono subito cantierati i lavori , partendo da Livorno, con materiale che, come detto, affluiva direttamente dall’Inghilterra via nave. Le difficoltà incontrate all'inizio da parte dell'impresa co- struttrice portarono il Collegio degli Ingegneri, preoccupato che i cantieri chiudessero per mancanza di convenienza economica, a ipotizzare azioni dirette da parte dello Stato; invece la soluzione adottata da Leopoldo fu quella di concedere una proroga sulla scadenza dei lavori prevista in convenzione.

Il 13 marzo del 1844, con l' inaugurazione del primo tratto Pisa - Livorno e il trasporto dei primi passeggeri, il diavolo sbuffante iniziava la sua corsa anche in Toscana. Al passaggio del treno, su cui erano salite le au- torità politiche e religiose, accompagnate dalla banda musicale , fece ala lungo la linea una folta schiera di cittadini di ogni estrazione, accorsi in massa a presenziare all'evento. Nel Giornale di Commercio del 20 marzo 1844 appariva il seguente commento:

«Freme pei tubi ella macchina sprigionarsi il vapore: si levan le colonne di denso fumo e agitate dal vento che spira volteg- gian per l'aria: suona il fischio del macchinista avvisando le guardie anche lontane di chiudere i cancelli ed impedire che si

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