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158 §.6° Il Regno Lombardo Veneto

Il Regno Lombardo Veneto era uno stato appartenente all'impero austriaco, diventato tale nel 1815 in se- guito alle decisioni assunte nel Congresso di Vienna. In quella sede, anziché ricreare l'equilibrio europeo precedente all'avventura napoleonica, come era negli obiettivi generali, fu stabilito che gli Asburgo venisse- ro reintegrati nella sovranità sui vecchi domini diretti (Trieste, Trento, Gorizia) o indiretti ( Ducato di Mila- no e di Mantova) in loro possesso, ma potessero conservare anche i territori appartenuti alla Repubblica di Venezia in virtù del trattato di Campoformido sottoscritto con Napoleone nel 1797. L'accordo tra i vinci- tori di Waterloo compensava l'Austria della perdita dei diritti dinastici sui Paesi Bassi austriaci, che occupa- vano all'incirca le ragione del futuro Belgio, ma cancellava ogni rivendicazione legittima a ripristinare il go- verno della Serenissima.

Al di là delle ricadute politiche, per l'Austria il vantaggio economico di questa operazione era palese, tanto da far dire nel 1848 a Carlo Cattaneo che:

« i sudditi italiani della Casa d’Austria ebbero a pagare un terzo delle gravezza dell'imperio, benché facessero solo un ottavo della popolazione. E oltre ciò le communi italiane dovettero con altre spontanee sovrimposte provvedere a quelle opere di pubblico servigio che un governo tanto avido quanto spilorcio negava di compiere a spese dello Stato».305

Per mettere ordine nella situazione italiana, Vienna riunì in uno Stato i territori dei Ducati di Milano e Mantova, la Valtellina, l'oltre Po ferrarese, il Dogado e i domini di terraferma della Repubblica di Venezia, sotto la diretta sovranità dell'Imperatore Francesco I° di Asburgo - Lorena , che diventava Imperatore d'Au- stria e re del Lombardo Veneto. Riportò invece sotto diretto controllo dell'Impero i vecchi domini di Tren- to, Trieste, Gorizia, nonché i territori dello Stato da Mar veneziano. In rappresentanza dell''imperatore operava un Viceré, il fratello Arciduca Ranieri. L'autonomia di cui avevano sempre goduto le realtà territo- riali milanese e veneta e i loro diversi interessi avevano spinto l'Austria a scegliere una formula di governo con ripartizione di poteri tra governo imperiale e regionale. Vennero, pertanto, nominati due governatori, uno per la Lombardia, con capitale a Milano, l'altro per il Veneto, con capitale a Venezia. Il Mincio divideva le due regioni. Il Governatore, nominato da Vienna, si avvaleva di un Consiglio di Governo per la gestione della censura, amministrazione generale del censo e delle imposizioni dirette, direzione delle scuole, lavori pubblici, nomine e controllo delle Congregazioni Provinciali e Municipali; inoltre, era posto al comando dell'esercito imperiale stanziato nel Regno, cui era affidato anche il controllo dell'ordine pubblico. Il gover- no imperiale si era invece riservato l’amministrazione finanziaria e di polizia, che esercitava attraverso un magistrato camerale, un ufficio della Contabilità, una Direzione Generale di Polizia.

In pratica, il potere era nelle mani del governo imperiale e dei Governatori regionali, mentre il ruolo del Viceré era di sostanziale rappresentanza. Le istanze dovevano procedere secondo l'ordine gerarchico e le procedura di una burocrazia amministrativa che, nel rispetto delle formalità , dilatava i tempi di attesa.

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La differenza tra il Regno del Lombardo Veneto e gli altri Stati presenti nella penisola italiana era che, men- tre sui troni dei secondi sedevano regnanti di principati italiani, sul primo c’era un re straniero, la cui visio- ne politica era decisamente conservatrice rispetto alla ricerca di una soluzione alla questione italiana. Co- me visto in precedenza, questa era stata posta con forza dai movimenti liberali, borghesi e intellettuali, attraverso la rivendicazione di maggiori libertà, giustizia sociale, riforme costituzionale, riconoscimento dell'identità nazionale. Questa consapevolezza, emersa a vario titolo un po' ovunque, partendo dal regno delle Due Sicilie, passando per il Granducato di Toscana, fino ad arrivare al Regno di Sardegna, anche se con prese di coscienza diverse (che andavano dalla modernizzazione degli apparati amministrativi e finan- ziari alle concessione di sempre maggiori libertà, alla condivisione di una lega doganale), aveva trovato il fermo disconoscimento dell'Austria che vedeva messi a rischio i propri interessi, nonostante le categorie sociali più abbienti ed illuminate spingessero e ponessero con forza la necessità di avere una maggiore au- tonomia amministrativa, di innovare e aprire a nuovi mercati.

In questo contesto, la ripartizione dei poteri all'interno del Lombardo Veneto vincolava ogni iniziativa che partiva dai territori e metteva in relazione tra loro le economie delle due Regioni, come era il caso di una strada ferrata tra le due capitali, ad ottenere l'assenso dei rispettivi Governatori nonché a chiedere il pa- rere del Governo imperiale; alla fine ogni iniziativa risultava condizionata nei tempi e nei modi di attuazio- ne.306

Il governo asburgico non era di principio contrario allo sviluppo della rete ferroviaria nei suoi domini, avendo permesso, nel 1825, la realizzazione della più lunga strada ferrata a trazione animale del continen- te europeo e autorizzato, nel 1837, la costruzione della prima strada ferrata dell'impero con trazione a va- pore, per collegare Vienna con le miniere di sale vicino a Cracovia ( finanziata dal ramo austriaco dei Roth- schild). Entrambe le linee univano realtà etnicamente e linguisticamente diverse ma economicamente complementari. Le spinte alle costruzioni venivano dal capitale privato, attento a coniugare le possibilità di sviluppo produttivo ed economico con i vantaggi derivanti da investimenti finanziari, mentre le Borsa di Vienna e di Milano e delle città tedesche erano tra le piazze più attive a fornire opportunità d'investimento. La ragione però non era solo economica. Pur se le prime linee nascevano dall'iniziativa privata, il governo percepiva forte la valenza strategica per le sorti dell’impero, con particolare riguardo all'aspetto militare e di ordine pubblico; inoltre, i numerosi progetti presentati negli stati confinanti, se realizzati, avrebbero mi- nacciato la sua supremazia nei commerci di transito con le varie realtà europee e posto in discussione gli equilibri politici.

In funzione di queste necessità, che toccavano gli interessi vitali dello Stato e non potevano essere lasciate alla libera iniziativa del capitale privato, ma pianificate dallo Stato stesso, il governo austriaco, dopo un pe- riodo di confusione e sostanziale vuoto normativo, emanò due risoluzioni imperiali, tra la fine del 1841 e l'inizio del 1842, che stabilivano una serie di direttive per riordinare il settore; con queste individuava i

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tracciati ritenuti prioritari per gli interessi strategici, riconosciuti come staatsbahnen ovvero come ferrovie dello stato, dettava regole cui dovevano sottostare le richieste di concessione, ovvero i privilegi, tra cui l'approvazione dei progetti, degli statuti, il versamento di un deposito cauzionale, i criteri di collocazione delle azioni, possibili solo a società costituita.307

Tutto ciò contrastava con la logica del profitto speculativo, l'aggiotaggio sui titoli, dei grandi gruppi finanziari e banche. Spentasi a poco a poco la febbre deli titoli fer- roviari e subentrate pesanti crisi economiche e di liquidità, venne meno la spinta imprenditoriale, sosti- tuita da un intervento dello Stato. Questa fu caratterizzata inizialmente da facilitazioni daziarie e dall’acquisto di titoli azionari delle Società per evitare la caduta del loro valore nominale, poi dal sovven- zionamento delle imprese in difficoltà o il loro affiancamento nella costruzione dei tratti di linea mancanti. Infine, lo Stato acquisì la stessa proprietà delle linee principali.

La rete fondamentale delineata prevedeva che Vienna fosse il centro da cui avrebbero dovuto diramarsi una serie di strade dirette ai vari punti primari dell'Impero; tra questi una doveva raggiungere il porto di Trieste attraverso la Slovenia, l'altra raggiungere Innsbruck, nel Tirolo e, attraverso la valle dell'Adige, arrivare nel Lombardo Veneto e, ancora, scendere fino ai porti dell'Adriatico.308

Per dare seguito alle risoluzioni imperiali, lo Stato scelse di accentrare le competenze decisionali in mate- ria ferroviaria presso la Camera Aulica; in tal modo superava il dualismo esistente con la Cancelleria Aulica, limitava il peso dei governi regionali e poteva dar vita ad un unico organismo tecnico centrale, la Direzione generale delle Strade ferrate. Il riconoscimento di strada ferrata di interesse statale non significava, però, intervenire direttamente nella costruzione o gestione delle linee ( compito che veniva mantenuto in capo all'iniziativa privata), ma solamente precisare il ruolo di indirizzo, coordinamento e controllo assunto dallo Stato Le concessioni, ovvero i privilegi imperiali, venivano accordati nell'ottica della costruzione di una rete che, nel rispetto del principio d'impresa, tenesse conto dell'unità geografica, economica e degli inte- ressi militari dello stato centrale, delle regioni dell'impero e delle alleanze.

Per quanto riguarda il Regno del Lombardo Veneto, il governo imperiale, aveva riconosciuto come Staat- bahn il collegamento ferroviario lungo la pianura padana da Venezia a Milano e il suo prolungamento verso Como, con l'obiettivo di proseguire verso la Svizzera e l'Europa settentrionale e contrastare la preannunciata linea Genova Arona. In direzione Nord la linea offriva l'opportunità del collegamento con Innsbruck ed il Tirolo e, verso Est, di raggiungere Trieste; a Sud avrebbe potuto garantire la difesa delle sue fortezze del Quadrilatero: Peschiera, Mantova, Legnago, Verona, per poi arrivare a Mantova, attraversare il Po a Borgo- forte, scendere a Reggio Emilia e da qui collegarsi con sistema della rete dell'Italia Centrale; quest’ultimo collegamento gli consentiva di contrastare le politiche commerciali della Francia ed esercitare il controllo navale sull'ostile Regno di Sardegna, con cui gli Austriaci non volevano avere nulla a che fare neanche dal punto di vista commerciale. Ancor prima che il governo austriaco definisse la sua linea d'indirizzo in materia di strade ferrate, nel Lombardo Veneto le aspirazioni e le spinte imprenditoriali, unite a interessi finanziari

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A. Bernardello, La prima ferrovia fra Venezia e Milano, cit., pp. 285-7. 308

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di carattere speculativo, avevano dato vita ad una serie di richieste, motivate da ragioni di sviluppo com- merciale e produttivo; tali iniziative portarono all’inaugurazione, il 18 agosto 1840 della prima linea fer- roviaria del Regno e la seconda della penisola, la Milano – Monza di 12,7 chilometri circa, denominata Imperiale Privilegiata Strada Ferrata da Milano a Monza.309 Il privilegio imperiale fu concesso nel 1838 alla

ditta Holzhammer di Bolzano, dietro cui si celava una cordata guidata dal finanziere bolzanino Johann Pu- tzer von Reibegg, ma l'affidamento venne perfezionato solo un anno dopo a causa dei numerosi pareri e visti incrociati cui erano sottoposte le richiesta. Progettata da un italiano, l'ing. Sarti Giulio e costruita con le medesime tecniche della Napoli- Granatello, la linea partiva da Porta Nuova, al di fuori della cinta muraria di Milano e, toccato Sesto San Giovanni, raggiungeva Monza. Superati alcuni incidenti iniziali, in breve tempo la linea incontrò il consenso della popolazione. Un articolo anonimo comparso sul numero di Luglio della rivista Annali Universali di Statistica riportava la notizia dell’imminente inaugurazione:

«Ci gode l’animo di poter annunciare che l’apertura della strada a rotaje di ferro da Milano a Monza avrà luogo nella prima quindicina di agosto. Questa è la prima strada ferrata che si apre nel regno Lombardo-Veneto, e la seconda in Italia. All’operoso ingegnere Sarti è giusto di tributare degli elogi come quello che ha diretto tutti i lavori con grande attività. Mon- za è città di 10,000 abitanti. Da Milano a Monza la distanza è di 14,700 metri cioè due miglia tedesche circa (di 7425 metri) 3 leghe e 3/4 circa di Francia (di 4,000 metri). Riservandoci di entrare in qualche dettaglio nel fascicolo di agosto nel quale daremo una tavola rappresentante il prospetto del caseggiato in Milano da dove partono le carrozze e i carri sulla strada a rotaja verso Monza, diamo intanto l’estratto della relazione fatta dall’Eco della Borsa sulla prima prova di corsa sulla strada ferrata, eseguita coll'assistenza delle Autorità».310

La linea ferroviaria funzionò da volano per lo sviluppo economico ed industriale della zona. Attorno a Sesto

San Giovanni iniziarono ad apparire le prime industrie; ne fu contagiato anche il servizio Postale che in quel- la tratta si servì del treno per l'inoltro della corrispondenza. Negli anni successivi alla sua entrata in eserci- zio, i maggiori azionisti della Società chiesero di prolungare la linea verso Bergamo. L'iniziativa si collega- va al tentativo di contrastare la Società che aveva ottenuto il privilegio per la linea Venezia- Milano, succes- sivamente di fondersi con la stessa, in una logica di speculazione sui titoli di borsa prima che economica. Tuttavia il progetto fu ridimensionato; fu autorizzata, invece, la prosecuzione da Monza a Como, consen- tendo di collegare Monza a Camnago il 10 ottobre 1949 e di raggiungere Albate- Camerlata il successivo 6 dicembre. I costi della guerra d'indipendenza e le crisi economiche che di lì a poco coinvolsero il sistema ferroviario, interruppero ogni lavoro. La linea venne completata solo nel 1875, sotto il Regno d’Italia. Se la Milano - Monza fu la prima strada ferrata del Regno ad entrare in esercizio , il primo privilegio impe- riale fu, invece, concesso nel luglio 1837 a Zanino Volta , figlio dello scienziato Alessandro, per costruire

una strada da Milano a Como.311

La concessione era stata preceduta dalla pubblicazione del Progetto della strada di ferro da Milano a Como, elaborato dall’ingegnere Giuseppe Bruschetti e comparso sul numero di agosto 1836 della rivista Biblioteca Italiana. La pubblicazione di quel progetto forniva una chiave di let- tura per comprendere la mentalità del tempo, gli interessi che gravitavano attorno alle richieste, dalla con- correnza col sistema delle vie d’acqua ai criteri per elaborare progetti e preventivi, cercare i finanziamenti;

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S. Maggi, Le ferrovie, cit., p. 28. 310

Strada ferrata da Milano a Monza, Annali Universali di Statistica- vol. LXV , Lampato, Milano luglio 1840, pp.133-5. 311

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evidenziando i percorsi autorizzativi cui erano sottoposte le richieste di privilegio , dava la dimensione dei vincoli posti dalle Autorità di governo e faceva emergere la diversità tra ragione imprenditoriale e visio- ne politica. Metteva, altresì, in evidenza l’enorme peso che aveva la stampa nella divulgazione delle infor- mazioni, nella promozione delle stesse e nella creazione del consenso attorno ad una iniziativa. Toccava in- fine l’aspetto dell’azionariato diffuso, elemento che portava ad un senso di appartenenza comune, costi- tuendo il terreno di coltura per un’identità nazionale, che in quel momento era ristretta al Regno Lombardo Veneto:

«Se presso il pubblico Lombardo non mancò d’incoraggiamento e d’appoggio negli scorsi dieci anni il progetto d’introdurre sopra i tre più estesi laghi della Lombardia il muovo metodo di navigazione coi battelli a vapore, talchè questi, malgrado molti ostacoli incontrati, vi contribuiscono tuttavia a facilitare le comunicazioni per acqua, sia nell’interno dello Stato che coll’estero, e se in conseguenza di ciò non tardarono poi ad essere introdotte ed attivate dianzi per conto di privati intraprenditori e poscia del R. Erario le nuove vetture celeri dette anche velociferi, che facendo centro in Milano eseguiscono le loro corse giornaliere in continuazione e corrispondenza delle corse dei suddetti battelli a vapore, e mettono così in più facile comunicazione tra di loro le principali città ed acque navigabili del Milanese con grande vantaggio del commercio e del pubblico, ci sembra che dovrebbe ora essere ugualmente ben accolto ed aggradito dallo stesso pubblico il pensiero di costruire una strada ferrata fra Milano ed il più vicino dei suddetti laghi, che è quello di Como, applicandovi le macchine a vapore per qualche tratta in vece dei cavalli per motore, onde avere così una prima strada di tal genere anche in Italia. A questo proposito la città di Milano da tempo assai antico ha un’idea del vantaggio delle strade rotaje nelle guide di pietra pei carri e per le carrozze, di cui vanno munite tutte le sue strade interne. Como e le altre città della Lombardia cominciano pure a seguire da alcuni anni l’esempio della capitale a questo riguardo. Ora egli è uno spettacolo ben degno di ammirazione ed uno dei maggiori trionfi dell’arte dell’ingegnere a’ nostri giorni l’esempio offertoci di recente dall’Inghilterra, dalla Francia, dalla Germania e da altre industriose nazioni d’Europa e d’America, che a maggior vantaggio del commercio ed a maggior comodo delle popolazioni adottarono già l’utilissimo ed ingegnosissimo sistema di consimili strade colle guide di ferro e colle macchine a vapore dette locomotive, per viepiù accelerarvi il movimento dei veicoli d’ogni maniera.» 312

Bruschetti iniziava il suo scritto fotografando i servizi presenti sul territorio milanese per collegare la Capi- tale della Lombardia alle principali città limitrofe, quali le comunicazioni via acqua e i velocipedi, e ri- chiamando l'attenzione sulle opportunità e i vantaggi offerti dal nuovo sistema di trazione a vapore in Lombardia, che aveva ottenuto un ampio successo in Europa. Utilizzato l'opportunità fornitagli dal periodi- co, passava, quindi, all'illustrazione delle ragioni della sua proposta di realizzare una strada ferrata da Mi- lano a Como, invitando i lettori a fornire eventuali contributi e pareri che potessero servire a migliorare la progettazione:

«di fatto queste due città sono come due centri principali della popolazione e del commercio interno del Milanese, conside- rar potendosi in certo qual modo tutta la riviera del lago di Como per riunita e raccolta nei deliziosi sobborghi della città di questo nome. Esse trovansi anche situate sopra la principale direzione del commercio estero ed in ispecie di transito che si fa attraverso tutto il continente europeo dal Baltico e dalla Manica all’Adriatico, al Mediterraneo e viceversa».313

Il richiamo a fornire contributi e pareri era il riconoscimento palese del valore comunicativo e propagandi- stico che stava assumendo la stampa. Egli faceva seguire, poi, alcune riflessioni sul perché convenisse la strada ferrata anziché le vie d'acqua:

« Per concepire la possibilità di fare alla via d’acqua l’anzidetta concorrenza colla strada di ferro, bisogna riflettere che men- tre sulla prima pel trasporto de’ suddetti generi si esige la spesa di circa mezza lira austriaca a quintale metrico impiegandosi un’intera giornata nella discesa dal lago, e consumandosi poi d’ordinario quindici giorni di tempo per riavere sul lago di Co- mo le barche vuote che hanno servito al detto trasporto per acqua sulla seconda, cioè sulla strada di ferro, riesce in vece eseguibile lo stesso tragitto in un’ora di tempo e per la metà prezzo si nell’ascesa che nella discesa».314

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Giuseppe Bruschetti, Progetto della strada di ferro da Milano a Como in , Biblioteca Italiana – tomo 83, Imperial Regia stamperia , Milano 1836, p.264. 313

Ivi, p.265. 314

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Nel sottolineare il successo di altre esperienze realizzate in altre regioni dell'Impero con capitali di impren- ditori privati, segnalava che la richiesta di privilegio, a cui si era associato l'imprenditore Zanino Volta, era stata avanzata fin dal 1833 alle autorità di Governo lombarde e successivamente a quelle imperiali; ne precisava , quindi, i termini: privilegio per 50 anni, riconoscimento della pubblica utilità ed altre facilitazioni di esenzione sui dazi:

« dietro l’esempio del prof Gärstner di Praga che già da più anni aveva non solo chiesto ed ottenuto il sovrano privilegio di 50 anni per la costruzione di diverse tratte di strada di ferro in Germania, ma anche progettata ed eseguita in parte un’opera di tal genere per conto di una compagnia di privati intraprenditori, si cominciò dallo scrivente a presentare nell’anno suddet- to 1833 una prima istanza al Governo di Milano diretta ad ottenere per sé e suoi socj l’assicurazione del consimile privilegio di 50 anni per una strada di ferro da Milano a Como, non che la previa espressa dichiarazione della pubblica utilità di siffatta strada con tutte le altre relative concessioni e facilitazioni. Il riscontro governativo portava che dovessi rivolgermi diretta- mente al Sovrano per ottenere il conferimento del privilegio e delle altre concessioni addimandate; e perciò essendomi nel frattempo associato per quest’intrapresa col sig. Zanino Volta di Como, figlio del celebre fisico Alessandro Volta, di concerto

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