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178 CAPITOLO 4° IL SENSO IDENTITARIO

§.1° La Ferdinandea dal ‘35 al ’42, tra Congressi, scontri e articoli di stampa

Come segnalato nel capitolo precedente, le vicende della Ferdinandea produssero un avvicinamento delle comunità delle due Regioni che fino a prima erano state divise da storiche rivalità. I primi Congressi della Società furono le occasioni per l’incontro su temi condivisi e la definizione di una comune strategia, in ri- sposta al tentativo dei grandi gruppi finanziari esteri di controllarla ed asservirla ai loro interessi primari: fare lucro prima ancora degli scopi per cui era nata l'iniziativa. Le vicende relative ai tracciati, richiesta del privilegio imperiale e Congressi furono seguite attentamente dalla stampa attraverso una diffusione capil- lare delle notizie; questo si dimostrò un efficace strumento di comunicazione che spinse molte personalità delle classi sociali più in vista del Regno ( imprenditori ad ogni livello, intellettuali, avvocati, magistrati, libe- ri professionisti e aristocratici liberal) a rivendicare più libertà d’impresa e autonomia politica, permet- tendo di far emergere uno spirito patriottico, di identità nazionale che, seppur identificata con Regno, si contrappose ad interessi provenienti dall’estero, percepiti, alla fine, come un pericolo.

Con la comparsa delle prime notizie, sulla stampa si aprì un serrato dibattito tra i fautori delle varie ipotesi di percorso da seguire. Al confronto vi parteciparono un po' tutti i protagonisti degli schieramenti contrap- posti ( i favorevoli alla soluzione originaria- via Treviglio da una parte, i filo bergamaschi e i grandi azionisti stranieri -in particolare viennesi - dall'altra) con un vivace contributo di idee, polemiche, strategie, analisi tecniche e politiche. Tra questi c'erano anche coloro che, di lì a qualche anno, avrebbero contribuito a so- stenere l'azione dei movimenti rivoluzionari del '48, capisaldi della spinta risorgimentale che avrebbe consegnato l'Italia ai Savoia. Nella ricostruzione delle vicende di questo capitolo il riferimento primo è sta- to rappresentato dall’opera di Adolfo Bernardello: La prima ferrovia fra Milano Venezia, - Storia della Im- perial- regia privilegiata strada ferrata Ferdinandea Lombardo Veneta (1835- 1852), edita nel 1996 dall’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti di Venezia. Per il periodo a cavallo tra i primi due Congressi, sono state utilizzate prevalentemente le fonti costituite dagli articoli pubblicati dagli Annali Universali di Statistica, per parte Lombarda e della Gazzetta privilegiata di Venezia per parte Veneta.

Con la scelta della Camera di Commercio di Venezia di trasmettere la proposta di Wagner e Varè alla omo- loga Camera di Milano iniziò il rapporto di difficile collaborazione tra due componenti regionali , sinora dimostratesi reciprocamente diffidenti perché divise da centenarie vicende storiche di lotte e guerre per la supremazia commerciale e politica, ma che ora si ritrovavano riunite dal Congresso di Vienna nel mede- simo destino. La ragione della Camera di Venezia di consultare la collega di Milano era sicuramente legata all'ambizione tecnica ed economica dell'iniziativa, alla difficoltà di reperire tutti i capitali necessari al finan- ziamento dell'intrapresa, alla necessità di coinvolgere gli organismi economici lombardi ed alla imprescin- dibile esigenze di ottenere l’assenso del governo Lombardo prima che la richiesta di privilegio imperiale po- tesse essere inoltrata al Sovrano.

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All'iniziale entusiasmo dei veneziani e delle categorie più in vista della città che, così facendo, intendevano rilanciare l'economia e i commerci del porto e della regione (stigmatizzato dalla determinazione di antici- pare i soldi per lo studio del tracciato), corrispose, invece, un atteggiamento se non diffidente, molto tiepi- do dei milanesi. L a prima risposta di Milano fu sostanzialmente interlocutoria; gli imprenditori lombardi erano perplessi di fronte all'iniziativa, non solo perché storicamente e commercialmente legati alla relazio- ne con Genova, ma anche perché non disponevano di dati di analisi precisi. A Milano molti ritenevano che il grande vantaggio derivante dall'interscambio sarebbe andato a Venezia ed alle sue direttrici con l'estero, su cui si sarebbe spostato anche parte del suo commercio. A loro sarebbe rimasta solo la prospettiva di migliorare le relazioni con le province limitrofe; per questo non intendevano essere la vittima sacrificale per il rilancio del porto di Venezia, ma continuavano a guardare con maggior interesse agli ammiccamenti di Genova. Gli equilibri politici erano, però, cambiati e la riluttanza dei milanesi e lombardi non aveva alter- native. Se il loro approccio iniziale fu alquanto tiepido, quello più determinato della Camera di Commercio di Venezia era la prova dell'elevata posta in gioco, che poteva essere affrontata solo con una decisione riso- luta.348

Nell'attesa del pronunciamento da parte milanese, la Camera di Venezia ( Wagner era morto e Varè le ave- va ceduto ogni diritto) sottopose la proposta al proprio Governo il quale, pur non prendendo posizione, si dimostrò assai interessato alla sua favorevole evoluzione. Così la Camera stessa nominò l'anno successivo una Commissione di personalità scelte

«per lumi, esperienza, amore nazionale e zelo di patria e del pubblico bene»349

per avviare gli studi preliminari del progetto ed abbozzare lo statuto societario e chiese, nel contempo, l'intervento del Governo presso la corte viennese per ottenere il privilegio e non vederselo sottrarre da ini- ziative analoghe. Tutto ciò si dovette alla tenacia di alcuni imprenditori della grande borghesia veneziana, alleatasi con i gruppi commerciali, bancari e industriali stranieri presenti in città; nelle loro intenzioni le ragioni dell'iniziativa erano sostanzialmente due: rilanciare l'economia portuale di Venezia e del sistema produttivo del Regno ed investire in operazioni finanziarie attraverso il sistema borsistico.

Il tracciato della linea abbozzato dal Varè iniziava da Fusina, arrivava a Monselice , aggirava a Sud i colli euganei per raggiungere la sponda sinistra dell'Adige, toccare il Po all'altezza di Mantova e da qui dirigersi verso Milano; nella proposta erano trascurate le realtà di Padova, Vicenza, Verona e Treviso. I lavori del- la Commissione, invece, si orientarono su un nuovo percorso, più a nord, detto linea delle campagne, con capolinea Mestre (località Marghera), superamento del Brenta in prossimità di Padova, passaggio tra i Colli Euganei e Berici in direzione di Lonigo, Cologna e Volta Mantovana, per poi entrare nel territorio lombardo e arrivare in linea retta a Milano. Le città principali sarebbero state raggiunte tramite dei tronchi che si stac- cavano dalla linea principale. La richiesta del privilegio puntava sul carattere nazionale dell'opera, inteso come identità tra le due regioni. Se un po' ovunque venivano sollecitazioni a fare presto, visto il prolifera-

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A. Bernardello, Venezia 1830-1866,- Iniziative economiche, accumulazione e investimenti di capitale, cit., p.13. 349

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re di iniziative per realizzare strade ferrate, restavano le riserve dei milanesi. Per superarle , la Commissione Veneta inviò a Milano dei preventivi su costi , ricavi e interessi, calcolati sulla base di esperienze similari, stilò una bozza di statuto della costituenda società, raccolse i fondi per gli studi preliminari e fece predi- sporre un progetto da presentare all'imperatore.

Intanto le pagine dei giornali ragguagliavano i sudditi del Regno sulle evoluzione della proposta.

Sulla Gazzetta privilegiata di Venezia comparve il 17 maggio 1836 un articolo a firma dell'ing. Adalulfo Fal- conetti che puntava a criticare l'atteggiamento di disinteresse,

«di fredda apatia, di noncuranza per le cose nazionali»“350

che si avvertiva nelle analisi del pubblicista milanese Giuseppe Sacchi ; la critica era la premessa alla riven- dicazione dell'utilità del ponte lagunare, in nome delle aspettative degli imprenditori veneziani.

La risposta del pubblicista non si fece attendere e fu di giudizio inopportunità verso la costruzione del pon- te, dati gli enormi costi, ma di apertura alla linea ferroviaria verso Genova; in buona sostanza la sua visio- ne non era limitata allo spazio nazionale ma apriva ad una prospettiva sovrannazionale. Erano anni in cui il termine nazionale era percepito come insofferenza verso il potere centrale, mentre la proposizione della questione italiana era colta solo dalle elite intellettuali e patriottiche dell'alta borghesia e alcune frange dell’aristocrazia.351

In seno alla Camera di Commercio di Milano, nonostante le forti polemiche dei gruppi contrari ad un rap- porto commerciale di alleanza con Venezia, prevalsero, infine, le posizioni a favore; i sostenitori sottoscris- sero metà della quota di capitale per avviare gli studi preparatori dichiarandosi soci cofondatori, al pari dei veneti. Considerato che le competenze politico amministrative erano divise tra i due Governi regionali, la mossa della Camera di Commercio di Milano valeva a dichiarare che dovevano essere assunte da subito pari responsabilità tra le due sezioni Camerali, dando vita di fatto ad una direzione bicefala.352

Al di là dei sospetti di supremazia adombrate dai veneti verso i milanesi sia nel fregiarsi del titolo di soci co- fondatori che nel riservarsi la metà del pacchetto azionario, tra le due città iniziava a crearsi una omogenei- tà di interessi commerciali, manifatturieri e finanziari, ma soprattutto politici.

Si determinava in quel momento una delle condizioni che avrebbero da una parte reso debole la futura Società nella gestione di tutta la vicenda delle strada ferrata, dall'altra fatto nascere un senso di identità nazionale, di patriottismo, tra due regioni precedentemente in continuo contrasto, terreno di coltura dei movimenti rivoluzionari del ‘48.

Mentre il Vicerè Ranieri consegnava la supplica della Commissione veneta all'imperatore, sulle piazze d'affari d'Europa , dove l’iniziativa era stata abilmente propagandata, si iniziarono a prenotare i certificati di azione provvisori (promesse ovvero diritti a ricevere azioni nel momento in cui fosse possibile emetterle); più attiva si dimostrò la piazza di Vienna, meno le altre, dove buona parte della liquidità disponibile era sta-

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Adalulfo Falconetti, Articolo, Gazzetta privilegiata di Venezia, 17 maggio 1836 cit. in A. Bernardello, La prima ferrovia fra Venezia e Milano, cit., p.40. 351

Giuseppe Sacchi, Gazzetta privilegiata di Milano, 27 maggio 1836, cin Ivi, p. 42. 352

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ta già investita in iniziative analoghe. La procedura di prenotazione, che prevedeva l’emissione delle azioni solo a Società costituita, era, comunque, diversa da quella adottata nel Granducato.

In attesa dell'assenso della sezione lombarda, la Commissione veneta aveva affrontato la questione relati- va alla scelta del responsabile della progettazione e direzione dei lavori. Dopo una ricerca di personalità straniere di alto profilo, l’attenzione cadde, anche per ragioni di nazionalità, sull'ingegnere veronese Gio- vanni Milani, il cui nome era stato suggerito dall’ing. Pietro Paleopaca, responsabile della Direzione delle Pubbliche Costruzioni delle province venete. Milani era stato compagno di studi del Paleocapa alla Scuola Militare per il Genio e l'Artiglieria di Modena, sotto la direzione napoleonica; alla sua caduta, dopo un pe- riodo nella Direzione di Acque e Strade, aveva preferito girare l'Europa per perfezionare gli studi sulle nuo- ve trasformazioni tecnologiche e farsi un'esperienza in materia ferroviaria.353

La scelta dei veneti non trovò, però, la condivisione della parte lombarda che mirava, invece a due distinte Direzioni tecnico- amministrative. Questo episodio confermava la difficoltà che avrebbero incontrati i due vertici decisionali, ognuno dei quali caratterizzata da aspettative distinte. L’anno successivi, nel fascicolo di aprile degli Annali, Cattaneo avrebbe affrontato la questione delle due Direzioni e dell’incarico di Diretto- re tecnico. Queste le espressioni usate in merito alla paventata ripartizione delle competenze tra veneziani e milanesi:

«Quanto alla divisione dei lavori tra gli ingegneri milanesi e veneziani queste sono idee superstiti al Medio Evo. Nec nominentur in nobis a proposito di strade ferrate; le quali son affari da cervelli moderni , anzi il trionfo della mo- derna età. La strada è fatta per associare non per disgregare. La strada è un'impresa d'ordine economico e non una questione di pronuncia o di dialetto. La strada è un mezzo di guadagnar denaro ai privati e floridezza al paese; al che non vale guardar l'atto di nascita degli ingegneri. Si tratta d'una impresa unica e indivisibile, che deve essere discussa, se si vuole, da centomila persone nelle gazzette, al caffé, in piazza, in piena pienissima libertà, ad anche con frasi oratorie (da chi sa adoperarle), ma dev'essere riassunta a fermata da un solo cervello. Che direste di chi mettesse due architetti a far mezza facciata per ciascuno ad una chiesa; a far anche soltanto una mezza porta ciascuno od una mezza finestra? Quando si comincia un discorso stampato predicandola convenienza della linea più breve di tutte , e poi lo si conchiude proponendo la linea di Cremona che è la più lunga di tutte le linee possibili; quando gli uomini si curano così poco d' andar d' accor- do con se medesimi: sperate dunque nell'accordo delle parti , se volete. Che la soscrizione si sia cominciata in due luoghi, è pur troppo vero; ed è il peccato originale dell' impresa, la quale senza ciò sarebbe assai più inoltrata. Quanto più presto questo peccato si lavi e si redima, tanto meglio. Ed è a questo fine appunto che mirano i più zelanti e sagaci tra i partecipi dell' impresa. Quando si pensa che altro è il primo soscrittore, altro è il compratore e stabile proprietario delle azioni , si ve- drà ché appena siasi data spinta alla cosa, le simmetriche provincialità spariscono, e vi sottentra un aggregato indistin- to di capitalisti d'ogni stato e d'ogni nazione. Allora invece, li due con sessi sottoposti alla necessità di farsi delle riverenza e spedirsi dei protocolli, si avrà una direzione unica, compatta, responsabile, che lasciate da canto le etichette cammini sul- la strada nuda nudissima degli interessi.»354

Il 26 maggio 1836, dopo l'assenso della parte lombarda, si riunirono a Verona le Commissioni nominate dal- le rispettive Camere. A conclusione degli incontri si convenne di chiedere al sovrano l'esercizio del diritto di esproprio dei terreni per pubblica utilità, l'esenzione sui dazi del materiale ferroso, la durata di 99 anni del- la convenzione, la facoltà di costruire ulteriori tronchi per Treviso, Bassano, Monza, Pavia. Fu concordato , inoltre, che ognuna delle due Commissioni potesse disporre della metà del capitale azionario e che la futu- ra Direzione della Società venisse divisa in due sezioni, una a Venezia l'altra a Milano. Tra le decisioni fu

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A. Bernardello, La prima ferrovia fra Venezia e Milano, cit., pp. 27-36. 354

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compresa anche la costruzione del ponte translagunare, che la componente veneziana considerava irri- nunciabile nonostante la delegazione milanese la ritenesse troppo costosa, non indispensabile.

Particolare effetto fece la comparsa nel giugno di quell’anno nelle pagine degli Annali delle Ricerche - di Cattaneo - sul progetto di una strada ferrata da Milano e Venezia. Nel suo articolo – già trattato in prece- denza - esponeva il suo punto di vista, frutto di studi ed analisi sulle proposte sin qui emerse e sulle sue va- lutazioni di opportunità. Secondo il suo stile, anche per questo progetto i fondamentali punti di riferimento della sua analisi poggiavano sulle valutazioni ambientali, tecniche, economiche e demografiche. Basandosi sui volumi di merce movimentabile e dei viaggiatori potenziali, Cattaneo dimostrava l'inadeguatezza del tracciato proposto dalla Commissione veneta, con tutti i suoi tronchi e scartava anche la linea del Po ven- tilata da Varè; in alternativa proponeva un tracciato più a nord attraverso le città più popolose e produttive, la linea delle città: da Marghera a Milano, passando per Padova, Vicenza, Verona, Peschiera, Brescia. La sua proposta affrontava da subito sia il nodo dei Monti Berici e Vicenza, che quello delle colline a sud del Gar- da, nonchè il collegamento diretto Brescia Milano. Relativamente ai rapporti con le altre città reputava uti- le in questa fase solo un braccio da Verona a Mantova, per sfruttare le potenziali opportunità di un colle- gamento col sistema fluviale. Attento ai costi di costruzione, proponeva una strada a semplice binario per permettere il rapido ammortamento degli investimenti e la divisione degli utili e rinviava la costruzione del ponte lagunare ad una fase successiva.

Nel pubblicare le sue Ricerche Cattaneo si aspettava implicitamente di alimentare il dibattito a mezzo stam- pa, che però fu tiepido, a parte una risposta dell'ing. Bruschetti , un elogio comparso sulla Gazzetta privile- giata di Milano e le critiche mosse da un certo Eumene. Ad ogni modo, la risposta di Cattaneo a quest’ultimo, come visto, arrivò puntuale nel fascicolo di agosto degli Annali.355

Considerato che la scelta di costruire il ponte lagunare continuava a provocare notevoli contrasti tra le due Camere di Commercio, la Commissione veneta affidò la sua progettazione all'ing. Tommaso Meduna per avere dati attendibili sui costi di costruzione e sui capitali azionari necessari alla Società. I progetti, appron- tati tra settembre ed ottobre 1836 furono oggetto di valutazioni da parte del Cattaneo in un articolo ap- parso, sempre sugli Annali, nel successivo mese di dicembre; tra le cinque ipotesi avanzate, egli si orientò verso il tracciato che si dipartiva da S. Giobbe e raggiungeva Mestre passando a sud del Forte Marghera. La Commissione stessa incaricò, inoltre, l'ing. Emilio Campilanzi di avviare lo studio sia della linea della campagna che quella delle città, per avere una stima più precisa sui costi di costruzione; per non essere da meno quella lombarda fece altrettanto per il tratto lombardo, affidando l’ incaricato all'ingegnere Gio- vanni Brioschi. Vista la polemica montante sulle varie ipotesi di percorso, Cattaneo ritornò a marzo dalle pagine degli Annali a ribattere alle nuove proposte che, con alcune varianti, avevano ripreso le idee di Varè o della Commissione veneta.

«Nelle Provincie Venete è oramai fermamente stabilita l'opinione che la linea ferrata debba riunire le quattro cit- tà di Venezia, Padova, Vicenza e Verona. Infatti quelle città formano una popolazione di 240,000 abitanti intimamente con-

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