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CAPITOLO 3° LA PENISOLA ITALIANA: 1839-

61 PARTE SECONDA: IL CASO ITALIANO

CAPITOLO 3° LA PENISOLA ITALIANA: 1839-

§.1. Fermenti e prospettive

Analogamente al resto d’Europa, anche tra gli stati della penisola italiana si era acceso il dibattito, sebbe- ne non allo stesso modo e non ovunque, attorno al nuovo sistema di trasporto. La cifra di quella discussio- ne era rappresentata dall'eco sulla stampa e dagli innumerevoli trattati pubblicati, sottolineata da altret- tante richieste di allacciamento avanzate dalle comunità, rimarcata da studi, progetti e domande di con- cessioni da parte del capitale privato: primariamente quello straniero, come forma di investimento, se- condariamente quello locale, come fattore di sviluppo. Nella penisola italiana, la discussione sul tema del- le strade ferrate era stata aperta fin dalla metà degli anni '20 dai resoconti di viaggio all'estero, ripresi dalla stampa dapprima con recensioni e impressioni dei viaggiatori, curiosità, poi con informazioni su progetti e lavori, poi ancora con analisi tecniche, economiche e politiche.

I viaggiatori, per diletto o per lavoro, fornivano, al loro rientro notizie ed aggiornamenti su ciò che succe- deva in Europa e nel mondo. I più erano catturati dal fascino della nuova tecnologia, ne decantavano gli impieghi arricchendoli, a volte, di particolari fantasiosi; nella descrizione emergevano anche le trasfor- mazioni apportate alla vita sociale, all'economia dei luoghi , capaci di mettere in relazione tra loro realtà distanti o divise, producendo una fusione di interessi su obiettivi e valori condivisi. Ne è un esempio l’articolo : Vetture a vapore , comparso nel 1824 nella rivista milanese Annali universali di statistica, pub- blicata trimestralmente in fascicoli mensili , in cui erano riportate le impressioni di un viaggiatore, A. Mo- reau de Jonnes, riprese da una Rivista francese Revue Encyclopédique di giugno del medesimo anno:

«Riferisce il sig. A Moreau de Jonnes … essere stato proposto ultimamente in Inghilterra un progetto per sostituire alle stra- de comuni altre strade a striscie di ferro, e le macchine a vapore agl'immensi carriaggi che servono a trasportare gli uomini, e le mercanzie. La distanza da Londra alle principali città d'Inghilterra verrebbe diminuita d'un quarto, fors'anco d'un terzo col mezzo di strade di ferro in linea retta, schivando le infinite curve che presentemente si trovano nelle comunicazioni dall'una all'altra. La posta della capitale arriverebbe in 12 ore a Manchester, Liverpool, e Leds, e ne abbisognerebbero meno di 24 per giungere a Glasgow, ed Edimburgo. Si calcola che la spesa per guarnire in ferro fuso due doppj di rotaje per le vet- ture di andata, e ritorno nell'estensione d'un miglio non oltrepasserebbe i cento mila franchi. La distanza da Londra a New- castle in linea diretta è di 200 miglia, e perciò la spesa di un tal modo di comunicazione importerebbe approssimativamente 57 milioni, e mezzo. Il consumo di carbon fossile a Newcastle, è di due milioni di caldaje per anno, questo solo ramo di commercio darebbe ai proprietarj delle strade di ferro un reddito annuo di 12 milioni, per cui in cinque anni si troverebbero al coperto delle spese fatte. Ma il prodotto sarebbe anche maggiore, poichè assorbirebbe tutti i trasporti che si fanno per le vie di terra ordinarie. Onde apprezzarne tutta l'importanza basti riflettere che una macchina a vapore sarebbe sufficiente per far andare sopra una strada di ferro perfezionata tre diligenze cariche di viaggiatori, e bagagli in meno di trent'ore da Londra a Edimburgo, mentre attualmente desse esigono il servizio di 300 cavalli, e non impiegano nel viaggio meno di cin- quant'ore. Checchè improbabile sembri l'esecuzione di questo progetto non si oserebbe garantire che non esistessero in In- ghilterra capitalisti abbastanza arditi per fornire i fondi occorrenti, ed ingegneri abili al punto di vincere gli ostacoli, che sembrano a prima vista renderlo impraticabile».88

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Anche nella penisola italiana, come nelle altre realtà europee, il treno divideva i gruppi sociali tra favore- voli e contrari, tra chi aspirava alla modernizzazione e chi voleva la conservazione della situazione sociale e politica, tra chi vedeva le potenzialità della nuova tecnologia e chi invece temeva il depauperamento am- bientale, danni alle colture, all'allevamento, alla salute delle persone, ovvero la perdita del lavoro..

Molti governi erano scettici per la paura di trasformazioni sociali troppo rapide ed incontrollabili sul piano politico. L'avversione del papa Gregorio XVI°, sul trono di san Pietro dal 1831 al 1846, era proverbiale al punto che si andava dicendo che non sarebbe stata data l'assoluzione dai peccati a chi usava quella mac- china infernale. Ostili erano anche coloro che temevano la scomparsa di alcune attività lavorative, come quella dei vetturini, carrettieri, navicellai, maniscalchi; molti economisti erano preoccupati del crollo delle economie locali a causa delle invasioni dei prodotti manifatturieri di minor costo provenienti dall'estero. I contadini e proprietari terrieri temevano che le ferrovie dividessero irrimediabilmente in due le loro terre o danneggiassero le colture e l'allevamento.

Lo scetticismo verso il progresso non era solo delle sfere ecclesiastiche o corti reali ma si intravvedeva an- che negli articoli di giornale. Nel 1837 La Voce della Verità –Gazzetta dell’Italia Centrale pubblicava un arti- colo dal taglio ironico verso coloro che decantavano gli elogi del progresso e metteva in guardia contro la velocità con cui si compivano le trasformazioni e i pericoli d’anarchia che distruggevano l’equilibrio della na- tura:

«In questo secolo tutto è progetto, tutto movimento, incostanza, inquietudine e novità. Ordini e leggi, principato e gover- namento, istituzioni, discipline, costumi, ogni cosa vuoisi mutare, a furia ancora di sovvertimento, di distruzione, di strage; e questo incessante mutare e disordinare si contrassegna ed esalta collo specioso titolo di progresso. Bisognerebbe essere una tigre per trovar convenevole si fatto Tanto a' tradimenti, alle usurpazioni, alle rivolte, agli' iniqui interventi, alle carnifi- cine ed all' anarchia, fatti e condizioni innegabili del nostro tempo ne' luoghi stessi che più vanno magnificando la propria civiltà. Ma pure, se, non ostante la mostruosa opposizione fra il detto e il fatto, vediamo tanti lasciarsi abbindolare da que- sto giuoco di parole, bisogna di necessità che la volgare opinione prenda qualch' equivoco sostanziale intorno alla natura di sì fatto progresso. La ruota rapida ( e sì rapida che va a sfracellarsi ) dell' industria e del commercio; gli agi, le distrazioni, le voluttà della vita, a dismisura moltiplicate; l'arte di divenire o, diciam meglio, di comparire sapiente, e sapiente enciclopedi- co, senza sudore e fatica; tutte queste e ben altre lusinghiere apparenze trascinano la moltitudine, come per un incanto ed una vertigine, a credersi veramente nella privilegiata età del progresso-… Sebbene, ad esaminare più attentamente il sog- getto, anche il vantaggio material del progresso non risponde tampoco alla smodate promesse ed affermazioni degli elogisti ; altro essendo, per cagion d'esempio, il trovare un aratro che risparmi 1' opera delle forze animali, altro il crescere la quan- tità e la bontà del raccolto, o il render migliore la misera condizione del laborioso colono. Che diremo delle associazioni in- dustriali e commerciali, tanto magnificate da' progressisti? Non son esse animate che dal più basso interesse, base unica sopra la quale sono applicati i capitali de' socj. Dà loro bella apparenza una vernice di filantropia che tosto cade, appena 1* interesse manca o non prospera ne' suoi monopolj. Allora si vede se lo spirito del pubblico bene, oppur quello dell' egoismo ne fosse il motore. Qualche rara eccezione non distrugge la regola».89

L'euforia per la nuova tecnologia era, poi, smorzata da alcuni fattori negativi: l’orografia del territorio, la frammentazione politica degli stati, la presenza o il condizionamento di potenze straniere che indirizzavano le scelte e legavano gli investimenti ai propri interessi e non a quello del territorio, una economia debole di tipo pre-industriale, la difficoltà di liberare grandi risorse da investire, un fragile sistema bancario, deboli forme di azionariato , la dipendenza creditizia dalle grandi banche estere, inglesi, francesi o austriache in primis.

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Nonostante le aspre critiche, i benefici che a poco a poco comparivano o venivano prospettati ( tra questi avevano sicura presa i facili guadagni per chi volesse investire nel settore) scioglievano ogni dubbio e da- vano gradualmente il via anche nella nostra penisola all'avventura del diavolo sbuffante.

Così, mentre i governi, vinte le perplessità, si accorgevano del peso determinante nelle strategie militari prima ancora che nelle prospettive economiche, si diffondeva tra le classi dirigenti italiane l'idea di rea- lizzare, attraverso la costruzione di reti ferroviarie integrate tra stati, un' unione economica degli stessi sul modello dello Zollverein tedesco. Per alcuni, la rimozione delle barriere doganali, l’abolizione dei dazi e la libertà di commercio avrebbero preparato il terreno culturale e politico per l'abbattimento delle frontiere e l’unificazione del paese, dando una soluzione alla questione italiana. Le reti ferroviarie interpre- tavano fisicamente la spina all’unità del paese; la nuova velocità imposta dal treno cambiava ogni para- metro di riferimento e non poteva essere arrestata da continue fermate per pagare balzelli o dazi, col risul- tato di spingere al superamento dell’isolamento, possibile solo di fronte a continui interscambi.

Nelle maggiori città della penisola la stampa alimentava il dibattuto tra gli intellettuali; la Gazzetta Pie- montese a Torino, L'Antologia a Firenze, gli Annali universali di Statistica, l'Ape delle cognizioni utili , L'E- co, la Gazzetta di Milano e il Politecnico a Milano, la Gazzetta di Venezia e Il nuovo osservatore veneziano a Venezia, La Voce della verità a Modena, Il Nuovo giornale linguistico a Genova, Il Progresso delle scien- ze, delle lettere e delle arti e il Giornale del Regno delle due Sicilie a Napoli, il Giornale di Statistica a Pa- lermo ed altri ancora rendicontavano i lettori su tutto ciò che succedeva all'interno degli Stati italiani; pro- poste, progetti, discussioni tecniche, offrivano spazio al confronto, spesso acceso, tra promotori e de- trattori.

I vari articolisti si cimentavano nella formulazione di ipotesi sulle varie proposte , creando due categorie di opinioni: pro o contro. Le ipotesi pro erano sempre più dettagliate e ricche di soluzioni tecniche che avreb- bero tolto ogni dubbio a chi era scettico; quelle contro erano in linea generale catastrofiste ma vennero, nel giro di poche decine d'anni, ridotte al silenzio. Molte le supposizioni temerarie, tali a quei tempi. Le più ardite si avventuravano a disegnare nuovi percorsi lungo tutta la penisola per muovere merci e perso- ne dai centri del Nord Europa ai porti italiani dell’Adriatico e da questi verso Medio Oriente e Indie, evitando il periplo dell’Africa e riducendo notevolmente i tempi di percorrenza. La campagna d’Egitto delle truppe napoleoniche, inoltre, aveva reso quest’idea ancor più appetibile se unita a quella dello scavo di un canale tra Mediterraneo e Mar Rosso..

A suon di botta e risposta tra i pro e i contro, i molti articoli di giornale facevano emergere una serrata polemica che, allargandosi a macchia d’olio, ampliava l’interesse culturale e sociale. Quotidiani e periodici erano dei veri e propri “grandi magazzini “ d'informazione, frammentata e multidisciplinare; con lo stes- so modo in cui venivano fornite le notizie di cronaca, trovavano risalto e trattazione resoconti di viaggio, informazioni sugli accadimenti all'estero, argomenti di carattere ferroviario, temi di carattere scientifico di vario genere, recensioni letterarie, racconti a puntate. Tutto contribuiva ad aprire l'orizzonte delle co- noscenze e a superare i localismi e l'isolamento politico imposto dai governanti meno illuminati.

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Non tutte le pubblicazioni però avevano la medesima impronta. Alcune mantenevano un taglio conserva- tore, lealista, graditi alle autorità di governo; altre avevano una linea editoriale innovativa, intraprenden- te, dirompente per gli equilibri dell'epoca, anticipatrice delle questioni sociali che sarebbero diventate ter- reno di rivendicazione dei movimenti risorgimentali. Due fra tutte si distinsero per il loro rigore scientifico e la passione politica: gli Annali Universali di Statistica e Il Politecnico.

Gli Annali Universali di Statistica, furono pubblicati a partire dal luglio 1824 in forma sperimentale con il titolo Annali universali di viaggi, geografia, storia, economia pubblica e statistica e con l’intento di offrire:

«un ragionamento transunto delle migliori ed anche dilettevoli opere più recenti che hanno veduto o vedranno la luce presso tutte le straniere nazioni, ugualmente che nell’Italia [per] renderne più facile la cognizione . (Per raggiungere questo scopo la ri- vista avrebbe riservato ampio spazio alle) relazioni dei viaggiatori, i progressi della statistica, e tutte le scoperte geografiche» e sarebbe ricorsa « senza riguardo anche a tutte le produzioni periodiche italiane e straniere, qualora l’importanza della materia corrisponda allo stesso fine».90

Dall’ottobre dello stesso anno il titolo cambiava in Annali universali di statistica, economia pubblica, storia e viaggi, e via via aggiungendo nuove discipline fino ad assumere nel 1854 quello finale di Annali universali di statistica, economia pubblica, legislazione, storia, viaggi e commercio. L’intento divulgativo di carattere scientifico, cui era collegato un tratto d’analisi politica, oltre che d’ informazione, veniva precisato l’anno successivo:

«Essendo principale nostro scopo quello di spandere anche in Italia, e rendere comuni le cognizioni in oggi cotanto neces- sarie, degli elementi che formano la statistica, ogni nostro studio sarà impiegato per giungere a questo fine. Le notizie, di tutte le nuove scoperte, delle nuove invenzioni, delle grandi operazioni commerciali, delle nuove istituzioni, delle moderne teoriche di economia pubblica, tutte sono da noi raccolte colla scorta delle opere che alla giornata vedono la luce, e con quella delle migliori e più accreditate produzioni periodiche vengono pubblicate in Europa.(…) Le cognizioni che la massa degli uomini va giornalmente acquistando sul vero stato dei corpi sociali del vecchio e del nuovo mondo producono a mano a mano ne’ medesimi l’intimo convincimento, che il bene individuale non si trovi che nel bene di tutti, e che quanto più queste opinioni sono accompagnate da industre ed attivo lavoro, tanto più si migliori la condizione degli individui e quindi quella delle nazioni. Guidati dallo stesso convincimento noi terremo sempre la stessa direzione; e quanto al concorso di cir- costanze, che, taluno dirà, si esige, perché l’uno o l’altro dei corpi sociali possa fruire dei vantaggi di cui ne è privo, osserve- remo essere fuori di ogni dubbio, che per quanto valutare si voglia questa ragione, là dove esiste una maggiore tendenza all’acquisto delle utili cognizioni, ed una decisa disposizione al lavoro, più facile diverrà questo concorso di circostanze, con- corso non di rado messo in campo dall’ozio e dall’inesperienza. Si potrebbe anche aggiungere, che quanto maggiore e più proporzionato si fa in ogni corpo sociale il numero degli uomini veramente penetrati e della dignità di se stessi e dell’obbligo, che in oggi più che mai corre a chi governa la società, di agire in qualunque situazione con matura intelligenza, tanto più sollecita diviene la produzione dove manca, di quel bene comune, del quale tanto si parla, che tanto si desidera e che senza lo studio dell’uomo e delle cose, e senza la ferma volontà di essere utili a sé ed agli altri non si può mai ottene- re.»91

La rivista non si limitò al ristretto ambito territoriale, bensì si interessò anche alle altre realtà italiane, eu- ropee , nord americane, del vicino oriente, diffondendo notizie e distinguendosi per l’impego civile in virtù di un giornalismo che guardava ai grandi temi della società moderna e allo sviluppo economico in una pro- spettiva nazionale ed europea più che alla dialettica dei salotti letterari del tempo. I lettori appartenevano alle forze sociali più attive; tra questa erano presenti imprenditori della piccola e media borghesia, so- stenitori degli ideali del periodo napoleonico, liberi professionisti, avvocati funzionari, commercianti, ban- cari, intellettuali; cioè, tutti coloro che erano sensibili al progresso scientifico, alle innovazioni in campo economico, non temevano ma auspicavano le trasformazioni della società. I temi affrontati andavano

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Gli Editori – L , Manifesto , Vol. I°- Lug- Set. Annali universali di viaggi, geografia, storia, economia pubblica e statistica, presso gli Editori, Milano 1824., pp.3-4. 91

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dalle questioni economiche a quelle politiche, dalle novità tecnologiche alle loro sperimentazioni e applica- zioni, dai temi dell’istruzione a quelli sociali. Nella contrapposizione dialettica, si misuravano a distanza le questioni dell’inurbamento delle città, accelerate dal progresso e le regole di uno sviluppo pianificato, la povertà , le iniziative di carità e il mutualismo associativo, il conservatorismo economico e politico e le nuove utopie sociali, la visione protezionistica dell’economia e il credo liberista. Spesso la rivista ospitava articoli che additavano alla politica protezionistica e alle barriere doganali commerciali e politiche, intese come espressione utilitaristica delle classi dominanti, la responsabilità del mancato o rallentato allarga- mento del benessere sociale, la condizione di sfruttamento delle classi lavoratrici, la diffusa disoccupazio- ne. Attraverso la firma del suo direttore la rivista perorava una politica di investimenti per rilanciare l’economia interna, l’occupazione; anelava una presenza dello Stato non invadente ma in grado di fare da volano al sistema produttivo, capace di competere su mercato interno ed internazionale. In questo senso il suo fondatore Francesco Lampato più volte si spese a favore degli investimenti ferroviari e di uno sviluppo dell’economia che partisse dalle sinergie prodotte nei territori. L’educazione e l’istruzione dei ceti più umili erano viste come una dovere ed un diritto sociale; fornire un’opportunità di istruzione a tutti non era un atto di carità ma di giustizia sociale, un dovere dello stato verso i suoi cittadini. Per la rivista il liberismo diventava , oltre che un credo economico, uno strumento per analizzare politicamente la frammentazio- ne degli stati italiani e auspicarne il superamento in una visione unitaria condivisa; liberarsi dalle barriere doganali e dagli ostacoli esistenti significava assicurare la piena circolazione delle merci e delle persone, e con esse il benessere delle popolazioni e la solidarietà sociale e politica. Il continuo richiamo alle situa- zioni presenti all’estero, riportava naturalmente alla situazione italiana. Attraverso i suoi articoli la rivista rappresentava il quadro dell’economia italiana, i progressi nei campi agricolo e industriale, commerciale, il sistema dell’istruzione; partecipava alla discussione sui progetti ferroviari, sulla creazione di un sistema di risparmio diffuso, sulle assicurazioni. I temi di politica sociale venivano affrontati con lo stile della civile convivenza.92 Per questo taglio civile e nonostante il merito politico toccato, gli Annali non incorsero quasi mai nelle maglie della censura. Nel 1848, comunque , anche gli Annali furono attraversati dal fremito rivo- luzionario; nel fascicolo di febbraio venivano pubblicati lo Statuto costituzionale concesso il 29.1.48 da Ferdinando II° Re delle due Sicilie, e quello concesso dal re di Danimarca, ; in un Avviso a firma di Francesco Lampato, datato 10 aprile 1848, che informava sul passaggio della direzione a Giuseppe Sacchi, compariva la scritta “Italia Libera” e “W Pio IX” ; nel Bollettino di Marzo veniva pubblicato L’’indirizzo del Governo prov- visorio di Milano al sommo pontefice Pio IX°, a firma Casati Presidente, che si concludeva col motto Viva l’Italia Libera ed una – Viva Pio IX°. 93

Ritornato il Lombardo Veneto sotto controllo austriaco, la rivista riprese la linea originario affidando ampi spazi alla questione morale e sociale, all’educazione, agli interventi di natura prettamente scientifica, funzione che mantenne anche con la nascita del Regno d’Italia, distinguendosi per un’avversione al centralismo burocratico e a favore del decentramento amministrativo e di una diffusa

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Franco della Peruta –ElviraCantarella ( a cura di), Bibliognafia dei periodici economici lombardi 1815-1914: Annali niversali di statistica, scheda 52, Franco Angeli, Milano 2005, cit. in Lombardia Beni Culturali, Regione Lombardia-Università Pavia, in http://www.lombardiabeniculturali.it/pereco/schede/52/

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campagna di scolarizzazione, volta al superamento dell’ignoranza, causa prima di ogni male e malessere e motivo della divisione che aveva portato la frammentazione degli stati preunitari.

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