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67 La sua linea editoriale, comunque non trovò consenso unanime, ma fu oggetto da subito di attenzioni criti-

che verso le quali Cattaneo chiese che il giudizio fosse espresso a distanza di tempo, per dar modo alla rivi- sta di esprimere compiutamente i suoi obiettivi d’informazione:

«Ma per operare, sopra sì larga base, si richiede il corso del tempo e il buon volere di molti; epperò vorremmo che l'impresa nostra non si giudicasse dal ristretto spazio d' un primo volume, o dalla specialità degli argomenti che vi vennero trattati. Quando noi abbiamo avventurato al Publico il nostro manifesto, eravamo pochi; ed essendoci uniti quasi d'improviso in un assunto non premeditato, non potevamo offrir sull'istante nemmeno tutto il frutto dei pochi nostri studj. Ma per via siam già venuti trovando operosi compagni. A quest'ora abbiamo già la sodisfazione d'aver fatto apprezzare all'Italia qualche cul- tore delle utili scienze, eh' essa non aveva avuto occasione di conoscere, e che col tempo potrà annoverare fra i più bene- meriti suoi figli. Il numero di questi nostri collaboratori viene crescendo, come apparirà nel decorso di questo secondo vo- lume; e noi dal lato nostro faremo i più cordiali sforzi per avvicinare a noi tutti quegli studiosi, che dispersi qua e là nella va- stità dell' Italia e dell' isole, potessero contribuire in qualche modo a quest'opera, sinceramente intesa a commune vantag- gio ed onore. Noi abbiamo per fermo però, che l'Italia debba tenersi sopratutto all' unissono coli' Europa, e non acca- rezzare altro nazional sentimento che quello di serbare un nobil posto nella grande associazione scientifica dell' Europa e del Mondo. I popoli debbono farsi continuo specchio fra loro, perchè gì' interessi della civiltà sono solidarj e communi, perchè la scienza è una, l'arte è una, la gloria è una. La nazione degli uomini studiosi è una sola: è la nazione d'Omero e di Dante, di Galileo e di Bacone, di Werner e di Linneo, e di tutti quelli che seguono i loro esempj immortali. E la nazione delle intelligen- ze, che abita tutti i climi e parla tutte le lingue. Al dissotto d' essa sta una moltitudine divisa in mille patrie discordi, in caste, in gerghi, in fazioni avide e sanguinarie, che godono nelle superstizioni, nell'egoismo, nell'ignoranza, e difendono l'ignoranza stessa, come se tosse il principio della vita e il fondamento della morale e della società. L'intelligenza si muove al disopra di questo caos; essa ha sparso in ogni parte i libri, i giornali, i musei, le scuole, le società studiose; ha perfezionato le strade, le poste, la stampa, e si prepara a solcar col vapore tutte le terre e tutti i mari. Il dover nostro è di concorrere colle poche no- stre forze a questa impresa commune dell' umanità; il dover nostro è di accrescere nella patria che abitiamo, colla lingua che parliamo, e colle felici naturali attitudini della nostra stirpe, il dominio delle intelligenze, e detrarre quanto si può alla rozzez- za originaria che forma dappertutto il fondo delle nazioni. Noi dobbiamo partecipare a questa guerra tra il progresso e l'i- nerzia, tra il pensiero e la nullità, tra lo spirito e la materia, tra le anime e i corpi. Dunque ogni idea vera e buona, da qualun- que paese, da qualunque lingua ci arrivi, sia nostra, e lo sia immantinente, come se fosse germinata sul nostro terreno.»96

Nel pensiero di Cattaneo la scienza e l’arte erano patrimonio comune, univano le persone, le rendevano parte della stessa patria: l’umanità. L’ignoranza era la causa di egoismi, divisioni, guerre. Al di sopra di questo caos stava il dovere di accrescere il dominio dell’intelligenza, capace di far vincere il progresso sull’inerzia, il pensiero sulla nullità. Ogni idea era buona, bastava preparare il terreno per farla germogliare. Il progresso scientifico, che aveva perfezionato le strade , le poste, le stampe, ora si preparava a “solcar col vapore tutte le terre e tutti i mari”. A distanza di due anni dalla prima pubblicazione, Cattaneo, però, tornava a rispondere alle critiche:

«Se i tre volumi, che coi nostri studii e col cortese soccorso altrui siam venuti fin qui raccogliendo, non possono agevolmen- te sottrarsi all'' accusa d' essere scarsi di dilettevoli argomenti, e quasi stranieri all' amenità letteraria, speriamo che nessuno vorrà almeno porre in dubbio la loro tendenza alla commune utilità. Scorrendo in breve spazio varie scienze naturali, varie industrie, le questioni bancarie, la difesa idraulica delle nostre pianure, la beneficenza publica, molti rami della publica edu- cazione, l'austera dottrina carceraria, e solo tratto tratto facendo qualche corsa nei campi dell'istoria, dell' arte e della con- templazione filosofica, noi abbiam voluto dare impulso agli amatori delle scienze pratiche, perchè vogliano farsi inanzi, e con utili scritti umiliare la vanità d'una letteratura ciarliera, schierandole a fronte alcuna parte di quell’ immenso vero, del quale ella sembra quasi sdegnosa di nutrirsi».97

L'azione di continuo stimolo al progresso scientifico, con particolare riguardo all’aspetto ferroviario, soste- nuta e portata avanti con forza dal Politecnico andava proprio nella direzione di una crescita culturale che mirava alla convivenza e al progresso civile, ma senza confini. Non tutti, però, erano preparati ad ac- cettare le posizioni radicali di Cattaneo che anelava ad un progresso dell'umanità verso la democrazia tal- mente avanzato a quei tempi da non essere colto. Egli sviluppava ulteriormente il suo pensiero auspican-

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C.Cattaneo, Premessa, Il Politecnico. Vol II, Anno I°- Sem. II° - fasc- lug-dic 1839,, cit, pp.4-5. 97

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do una convergenza delle diverse discipline in una prospettiva unitaria, convinto che fosse la soluzione per avvicinare al “tesoro commune” della comune conoscenza anche le masse, ancora escluse. Quella prospet- tiva unificante avrebbe potuto chiamarsi per eccellenza il pensiero, il pensiero del genere umano:

« Il più grave ostacolo alla popolarità delle scienze deriva da ciò appunto che più contribuisce al loro continuo progresso, vale a dire, dalla loro tendenza a suddividersi sempre più in nuovi rami, e dalla giusta predilezione degli studiosi a quei lavori speciali, che per verità condussero sempre alle più luminose scoperte le dottrine esperimentali. Questa industria scientifica, disseminata vastamente fra tutti i pòpoli pensanti,…non può venire apprezzata e ammirata dall' universale, se non quando il frutto si vegga accumulato in grandi masse, fra loro avvicinate e contraposte nei repertori generali. Allora eziandio chi non ha forza di studj e libertà di mente, quanto basti per consacrarsi efficacemente ad una scienza, e chi non oserebbe tampoco affrontarne il tirocinio elementare, può esplorar con occhio non affaticato la compendiosa imàgine dei nuovi corpi di dottrina, ed estimare quanto ciascuno d'essi aggiunga al tesoro commune. Inoltre le vicendévoli applicazioni, come dell'algebra alla geometria, dell'elettricità alla chimica , della linguistica all' istoria, dell' economia alla legislazione, si fanno vie più agévoli e frequenti: poiché il cultore d'ogni singola scienza può allungar lo sguardo al di là del suo confine, e trar lume dai lumi altrui, ed esempio dall'altrui cammino. Infine le proporzioni e l'ordine in cui stanno fra loro le varie scienze, la serie nella quale si vengono figliando, i procedimenti o communi o speciali, e i communi o speciali errori, formano un archivio di sublimi esperienze, che segnano l'indole, il corso e i limiti del pensiero umano, considerato nella sommità della sua potenza e degli sforzi suoi. Ben pòvero e digiuno vaniloquio diviene allora quanto un'ideologia inadeguata volle mai ricavare dalle latebre del senso intimo, o quanto si favoleggiò nel romanzo della prima idea, giusta il quale tutti gli arcani dell'intelletto si svòlgono nell'infante, che ancora non ha intelletto, o immerso nei primordj della vita animale, appena ne palesa gì' indistinti albori. Ogni scienza è un vasto e meditato pensiero. Le singole scienze, o diremo, i singoli pensieri, divisi nella loro partenza , indipendenti nelle loro vie, devono far prova della veracità loro, convergendo finalmente ad un punto, ove dévono fóndersi in un riassunto commune e concorde, il quale potrebbe chiamarsi per eccellenza il pensiero, il pensiero del gènere umano. »98

Contrasti con l’editore Pirola e con il cofondatore Menini, portarono Cattaneo a cercare altre iniziative editoriali (una raccolta di notizie scientifiche: Notizie naturali e civili su la Lombardia) , e a cercare una “compenetrazione” con la Rivista Europea, con la quale collaborava da esterno; a questo si aggiungeva la diffidenza espressa dalle autorità di governo austriache sulle idee propagandate dalla rivista. L’assunzione della responsabilità di Relatore nel Consiglio Direttivo della Società d’Incoraggiamento di Arti e Mestieri di Milano ( fondata nel 1838 da esponenti dell’aristocrazia più dinamica e della borghesia lombardo per stimolare l’informazione e la formazione tecnico manifatturiera delle nuove imprese), spinsero Cattaneo a sospendere nel 1845 le pubblicazioni de il Politecnico e a riprenderle solo nel 1859, dopo la seconda guerra d'indipendenza. Su Cattaneo e il Politecnico così si sarebbe espresso nel 1882 Giovanni Faldella, giornalista e osservatore politico, per rimarcare come tra la leziosità letteraria e il rigore scientifico veniva propagandata l'ideologia sociale:

«.. il Cattaneo compilava e scriveva il Politecnico, di cui erasi reso proprietario, e vi radunava il metodo sperimentale di Gali- leo colla ideologia sociale del Romagnosi, facendo passare fra una scabra merce di locomotive e gasometri e ponti obliqui e trafori, le veneri dell'eloquio e quasi tranquillando in sciolta orazione l'onda numerosa di Vincenzo Monti».99

L’azione della stampa aveva permesso di diffondere con estrema capillarità il sapere tecnico e scientifico; trasmesso fino alla fine del settecento dalle corporazioni dei mestieri, alla comparsa del nuovo secolo si era diffuso in Italia grazie prima all’azione svolta dalle Accademie, istituite nei Regni italiani con l’avanzare degli eserciti napoleonici e poi dalle Camere di Commercio territoriali, che divennero il punto di riferimen- to per supportare le imprese sui mercati interni ed internazionali. La loro posizione intermedia fra le élite intellettuali e il potere politico ed economico, consentì loro di divulgare, stimolare e facilitare la diffusione

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C. Cattaneo , Il Politecnico. Vol.VI, anno IV, Premessa., cit., Milano 1843, pp.3-4. 99

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delle innovazioni tecnico - scientifiche e promuovere lo sviluppo economico e sociale dei territori attraverso iniziative di tipo espositivo, industriale, istituzione di premi, ecc.100

Il sapere scientifico, a poco a poco era diventato l’elemento distintivo delle classi sociali urbane più agiate tanto da radicare l’idea che la conoscenza non fosse solo un bene pubblico, ma anche economico; in questo senso si passò dall’informazione all’innovazione, alla formazione, anche se il percorso si snodò lentamente per tutto il secolo e a fasi alterne.

Questo nuovo modo di pensare si era diffuso, al di fuori delle sedi istituzionali, attraverso la pubblicazione di giornali, riviste, atti, la promozione di iniziative di scopo, l’istituzione di premi. La partecipazione alle esposizioni internazionali divenne l’occasione per molti imprenditori di entrare in contatto con soggetti di altre regioni d’Italia e d’Europa e con i modi di pensare, sentire, agire, presenti nella penisola e oltre l’arco alpino. Attorno alla sollecitazione degli intellettuali e all’azione delle imprese si coagulò, a poco a poco, l’impegno delle comunità civili favorendo la formazione di un sentire collettivo che consentì di allargare gli orizzonti culturali. A questo sentire collettivo, che coinvolse anche le classi lavoratrici, contribuì tra il 1839 e il 1847 un’iniziativa degli scienziati italiani, che iniziarono a ritrovarsi annualmente in Congresso nelle va- rie città della penisola per confrontarsi in un dibattito aperto alla circolazione delle idee al di fuori degli ambiti accademici o associativi.

Propugnati dalle élite, i Congressi degli scienziati furono inizialmente visti con simpatia dai governi delle cit- tà ospitanti, favorevoli alle innovazioni nei propri sistemi di produzione ed attenti ai rapporti di forza tra gli stati. Per la natura del confronto: aperto, non istituzionalizzato, il passaggio dal dibattito strettamente tecnico-scientifico a quello più ampio politico fu quasi naturale; nell’affrontare le tematiche scientifiche, i congressisti, giocoforza, toccavano il merito economico delle sperimentazioni ed applicazioni e le relative implicazioni sociali e politiche: sviluppo delle produzione agricola e industriale applicati alle tecniche inno- vative, liberalizzazione dei commerci, mobilità delle persone e delle merci, la questione ferroviaria, l’istruzione.

Il legame tra esposizioni internazionali e diffusione dei principi del libero scambio, che aveva fino agli inizi degli anni 40 assunto una funzione modernizzante per diffondere valori etici e morali ora coglieva nell’innovazione della tecnica, di cui le strade ferrate rappresentavano uno dei capisaldi, un nuovo obietti- vo economico e politico, pur senza fare esplicito riferimento alla lega doganale.

Nel 7° congresso degli scienziati, tenutosi a Napoli nel 1845, l’avvocato e giornalista cosentino Francesco Lattari presentò una nota per una Esposizione Generale di prodotti dell’industria italiana. Per lui era possi- bile ridurre ad unità il pensiero italiano mettendo in relazione tra loro le varie espressioni locali della scien- za, dell'arte e dell’industria; era, cioè, possibile unire la ricerca del vero al bello ed utile, organizzando contemporaneamente il Congresso degli scienziati ed esposizioni generali di belle arti e prodotti industria- li. Così facendo si consentiva al paese di rialzare la sua industria e partecipare alla lotta economico-politica

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che oggidì forma la vita delle grandi nazioni nella consapevolezza che il riscatto economico apriva la strada all’emancipazione politica.101 Le esposizioni italiane avrebbero consentito un confronto virtuoso tra teorie

economiche e tecniche di produzione, a tutto vantaggio di quelle più innovative e di pratica attuazione; ciò avrebbe permesso ai prodotti nazionali di eccellenza di conquistare l’attenzione generale, promuovendo , con il contributo dei governi, lo sviluppo manifatturiero . Nel suo pensiero vi era uno stretto rapporto tra progresso scientifico ed economico e concetto di Stato nazione. La nota di Lattari non cadde nel nulla; fu ripresa nel successivo congresso di Genova e rielaborata con l’obiettivo di realizzare nel 47 la prima esposi- zione industriale italiana, a Venezia , in occasione del successivo Congresso degli Scienziati. Il relatore che presentò la relazione esortò ad “abbandonare il carattere minuto a sgranato della località” che aveva carat-

terizzato le precedenti esposizioni e ad “assumere quello dell’intero paese”.102

Ciò portò un ombra di sospetto sulle reali intenzioni dei congressisti, tanto da mettere in allarme le polizie dei vari stati ospitanti. L’ultimo congresso si tenne nel 1847 a Venezia; dopo gli eventi del 48 non fu più convocato. Consapevoli dei limiti di una visione e gestione frammentata dei sistemi economico - politici da parte dei vari stati, gli scienziati si erano schierati in maggioranza a favore dell'unità del paese e, anche se il pensiero prevalente era di ricerca moderata e non insurrezionale dell'unità, venivano bollati come sov- versivi.

Alcune relazioni di polizia su quei convegni affermavano che quei congressi erano dei covi di rivoluzionari. Salvatore De Renzi, medico partenopeo di riconosciuta fama internazionale e partecipe di molti di quei congressi, avrebbe scritto nel 1866:

«Ardua e anche lunga cosa sarebbe il narrare la storia di quelle arti e cospirazioni contro i tranquilli Stati italiani, lustro e de- coro della felice Penisola. Tra le tante insidie adoperate, prima ancora del 1848, sono da annoverare i così detti Congressi degli Scienziati, radunati a volta a volta nelle principali città d'Italia (Pisa, Torino, Firenze, Milano) sotto specie di scientifi- che trattazioni, in quelle che cospiravasi per abbattere i troni dei legittimi sovrani.... Noi non crediamo di andare errati se segnaliamo i famosi Congressi detti degli scienziati, i quali sotto le sembianze di scientifiche trattazioni, di null'altro si occu- pavano veramente che di spianare l'impulso delle Società segrete, sotto la protezione dei governi, ciechi o complici della stessa Rivoluzione».103

Anche la scienza, nelle sue innumerevoli manifestazioni e consessi , sia che affrontasse una novità scienti- fica o che parlasse dell'evoluzione del sistema ferroviario, si associava alla carta stampata nell' offrire un' opportunità formativa della coscienza critica, col risultato di dar ulteriormente voce all'ideale unitario della nazione Italia.

Il germe del confronto aperto aveva, comunque, attecchito. Lo si poteva constatare nella produzione di ope- re monografiche sul tema corrente delle strade ferrate, dall’ampio carattere scientifico divulgativo che si stava estendendo nella penisola, seppur sotto il vigile controllo o le limitazioni imposte dalle varie censure; numerose pubblicazioni di carattere tecnico costruttivo, prospettavano scenari complessi che celavano, nel merito, implicazioni politiche.

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Giorgio Bigatti- Sergio Onger, Arti, tecnologia, progetto – Le esposizioni d’industria in Italia prima dell’Unità, Franco Angeli, Milano 2007, pp. 125-6. 102

Ivi, cit., p.127. 103

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La grande eco proveniente da giornali e riviste consentiva, inoltre, di dare rilevanza alle potenzialità e op- portunità di sviluppo economico e commerciale e di concentrare l'attenzione sulle prospettive di una maggiore e più agevole circolazione delle merci e delle persone, elementi che avvicinavano tra loro gli Stati e assopivano le antiche rivalità municipali. La posizione di maggior rilievo era offerta dai porti italiani, mol- ti dei quali , come Venezia, caduti in una crisi profonda per la modificazione delle rotte commerciali.104

Le prime direttrici ferroviarie furono concepite privilegiando il collegamento con i porti marittimi. Una di queste scendeva dalla frontiera francese attraversava il Piemonte, oltrepassava i territori di Piacenza e Bo- logna per raggiungere Ancona; da qui si diramava a sud verso il sistema portuale di Bari e Brindisi e a ovest in direzione di Roma. Genova era il capolinea di una rete che guardava al nord Europa. Venezia e Trieste erano i terminali della rete austriaca, peraltro interessata anche ai porti del Tirreno. Nel Regno delle Due Si- cilie si tendeva a progettare collegamenti ferroviari trasversali ovest-est diretti verso Termoli, Foggia o Brindisi, trampolino verso l'Oriente, secondo il progetto de la valigia delle Indie.

Nella sua opera Delle strade ferrate e della loro influenza in Europa, nel 1838 il Conte piemontese Anto- nio Piola dava informazioni sulle iniziative progettuali presenti in Italia, tutte riguardanti collegamenti con i porti: una strada di ferro da Milano a Venezia, una tra Firenze e Livorno, un’altra da Venezia a Trieste, una

ancora da Napoli a Nocera.105

Nel 1845 lo scrittore ed economista piemontese Carlo Ilarione Petitti di Roreto pubblicava Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse, in cui erano contenute informazioni sull'evoluzione del sistema ferroviario in Europa ed America, senza tralasciare le notizie sulle speculazioni finanziarie consuma- te all'ombra dell'euforia scatenata dalla nuova tecnologia. Nel suo libro era tracciato il disegno di una rete ideale che avrebbe dovuto collegare Torino ad Alessandria; da qui un ramo si sarebbe dovuto dirigere verso il porto di Genova superando il passo dei Giovi, un altro raggiungere Piacenza, Parma, Modena e Bo- logna per proseguire verso Ancona e i porti del medio e basso Adriatico. Un altro braccio, ancora, doveva collegarsi con il lago Maggiore per poi inoltrarsi verso la Svizzera e il nord Europa,.

Secondo il Petitti la rete non poteva restare confinata entro gli angusti spazi degli staterelli ma doveva ten- dere all'integrazione su tutta la penisola, in una prospettiva di unitarietà , di risorgimento dell'identità na- zionale. Così nel Lombardo Veneto aveva previsto un’altra linea che da Milano si volgesse a Nord per col- legarsi con Como e la Svizzera, a ovest con Novara e il Piemonte, a est con Venezia e Trieste.

In Toscana aveva ipotizzato una linea che mettesse in collegamento Livorno e i porti del Tirreno con Firen- ze, Bologna passando per Pistoia. Una linea da Firenze doveva guadare a Perugia ed Arezzo per poi prose- guire verso Sud e collegarsi con la linea Roma Ancona. Da Roma una linea doveva proseguire verso Napoli e i porti pugliesi. Petitti riteneva , infatti, che una ordinata rete ferroviaria avrebbe portato ad una convergen- za di interessi fra gli italiani, creando percorsi condivisi da cui sarebbe potuta scaturire una unione doga- nale ed economica sul modello dello Zollverein tedesco. Nel progetto di reti integrate fra stati c’era inoltre

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