• Non ci sono risultati.

167 posto che gran parte delle nostre osservazioni non reggesse all’esame, ciò che non crediamo: sarà difficile non riconoscere

la convenienza di adottarne pur qualcheduna».326

Il confronto tra i due non terminava qui. In un successivo articolo il Bruschetti riprendeva le osservazioni del Cattaneo e ribatteva. Tra i due restava comunque una diversità di concezione dell'opera ferroviaria, che avrebbe caratterizzato anche il dibattito sulle progettazioni successive, a partire dalla Milano – Venezia e li avrebbe visti entrambi protagonisti, anche se il primo con un ruolo più marginale.

Nel pensiero di Cattaneo si faceva spazio una visione rigorosamente economica del business ferroviario, motivata dallo studio delle potenzialità del territorio, mentre nel Bruschetti prevaleva una visione politico istituzionale, incentrata sulla relazione tra i vari centri. Anche questa riflessione anticipava il successivo confronto sul tema dell'obiettivo economico dell'impresa: se questa, cioè, dovesse pensare solo all'utile economico o se lo potesse, e in che modo, coniugare col valore politico dell'opera sociale.

Nel pensiero di Cattaneo emergeva con forza la sua concezione federalista del potere; erano la partecipa- zione dei territori e la loro capacità di cogliere le opportunità produttive il motore che avrebbe consentito lo sviluppo economico e sociale e garantito il successo del sistema ferroviario senza gravare di costi superflui il sistema di gestione. Completata l'opera Cattaneo pensava alla sua governance: gestionale manageriale, controllo di gestione e finanziario.

Alla fine il progetto non ebbe successo, ma il confronto, così serrato, concorse a migliorare quello delle strade ferrate future e a precisare i contenuti di un dibattito che avrebbe alimentato il concetto di indipen- denza manageriale e rafforzato la consapevolezza imprenditoriale di una tra le più vivaci realtà economi- che europee, viatico per il superamento dei lacci di un potere politico centrale lento, burocratizzato, che appariva asfissiante, ottuso e, a volte, umiliante.

Il confronto tra le varie proposte progettuali, che avveniva attraverso gli articoli di giornale non era fine a se stesso. La stampa lo amplificava e con la diffusione dei giornali veicolava le idee di modernizzazione, di libertà d'impresa, di allargamento dei mercati, di superamento delle politiche daziarie, di unità economica prima che politica, indice di bisogni di nuovi spazi di rappresentanza sociale e politica per le classi emergen- ti, alla cui testa si metteva la borghesia più progredita per l'assalto ai vecchi equilibri politici del conserva- torismo asburgico. Nel contempo, però, poneva le ragioni politiche degli interessi generali e della ragion di stato che, in nome dello sviluppo economico reale guardavano primariamente alla crescita del sistema economico del paese in una prospettiva di lungo termine, superando la sola visione del lucro d'impresa e dei dividendi societari cara ai liberisti:

«affare in primo capo di pecunia e non in primo capo di patriottismo» .327

come diceva l'avvocato veneziano Jacopo Castelli in rappresentanza di alcuni gruppi finanziari, azionisti del- la Società Ferdinandea.

326

C.Cattaneo, Sul progetto di una strada di ferro da Milano a Como, cit., p.127. 327

168

Come visto, l'Austria non era contraria allo sviluppo del sistema delle strade ferrate nel Lombardo Veneto, né all'intraprendenza privata, purché rispettose delle direttive emanate e in linea con la sua visione strate- gica. Era, quindi, impensabile che venisse autorizzato un qualsiasi progetto che guardava a ricomporre l'as- se economico Milano - Genova, anche se era innegabile che avrebbe portato beneficio produttivo e com- merciale all'economia lombarda, la più sviluppata del Regno.

L'asse Milano - Genova non era inviso agli Austriaci solo perché diffidavano del vicino Regno di Sardegna e delle sue politiche aggressive, ma anche perché i due porti naturali del Regno erano Venezia e Trieste ed entrambi risentivano di una forte crisi di traffico commerciale e scontavano l'attenzione che gli imprenditori milanesi, invece, riservava alle relazioni col porto ligure. Milano era il mercato più importante del Lombar- do Veneto, potendo contare non solo sui consumi regionali ma anche sui commerci con Svizzera e territori tedeschi. Era, altresì, sede di importanti società di import-export, in particolare di prodotti coloniali e delle sete e di istituti bancari privati, attente ad incrementare le relazioni con gli altri mercati europei. Tra le più popolose città dell'impero, Milano era anche presente nel settore della produzione e commercializzazione dei prodotti agricoli e manifatturieri.328

Nel fermento che aveva accompagnato la comparsa delle strade ferrate in tutta Europa, due veneziani, il commerciante Sebastiano Wagner e l’ingegnere geografico Giovan Battista Francesco Varé , presentarono nel 1835 alla Camera di Commercio di Venezia la domanda di costituire una Società con lo scopo di realiz- zare una strada ferrata per collegare Venezia a Milano, le due capitali del Regno. La proposta era temeraria, sia per esposizione finanziaria che complessità tecnologica: una considerevole distanza da coprire e l'attra- versamento della laguna con un ardimentoso ponte. Lo scopo dell'iniziativa era altrettanto ambizioso: far risollevare l'economia veneta dalla crisi in cui era caduta a causa della sfavorevole congiuntura internazio- nale dei primi anni ‘30 e in particolare il porto di Venezia, che aveva perso la sua antica importanza, nono- stante dal 1830 gli fosse stato concesso il porto franco. L'economia veneta era più arretrata di quella lom- barda, con un sistema di produzione agricola e manifatturiera meno innovati; tolta Venezia , il settore commerciale era poco rilevante. Venezia, al pari di Trieste, si sentiva meno valorizzata di Milano, cui impu- tava di preferirle Genova, nonostante i forti dazi d'importazione.

Nelle motivazioni di Varè:

« Milano avrebbe, si può dire, un suo Porto di Mare, poiché non lo avrebbe discosto che sei ore.... Le due Capitali del Regno Lombardo Veneto diverrebbero...quasi una sola, tanto sarebbe immediato il loro contatto, ed infiniti rapporti di reciproca utilità andrebbero a stringersi».329

Nella Camera di Commercio di Venezia erano presenti forti gruppi d'affari stranieri e viennesi che opera- vano nella città lagunare non solo con imprese commerciali, ma anche assicurative, finanziarie, industria- li,

«con fini concreti di profitto e di espansione capitalistica., … entro un'inedita cornice politico - amministrativa sovrannazio- nale, per di più collocati in una posizione periferica e in un sistema doganale dapprima rigorosamente protezionistico, in se- guito più blandamente protezionistico». 330

328

A. Bernardello, La prima ferrovia fra Venezia e Milano, cit., pp.14-15. 329

169

In un quadro economico europeo di fluttuazione ciclica tra periodi di inflazione e deflazione, il 1835 aveva registrato segnali di ripresa, caratterizzati da iniziative industriali e commerciali, che si aggiungevano alla forte liquidità di denaro in cerca di investimenti finanziari remunerativi, come erano ritenuti quelli ferrovia- ri. A quella data, la legislazione austriaca in materia di società di scopo ferroviario era agli inizi, priva di riferimenti concreti, inadeguata a far fronte al boom ed alla complessità delle richieste di privilegio. Nel Lombardo Veneto Il capitale necessario a realizzare le proposte di costruzione era rastrellato attraverso il piazzamento di titoli azionari o promesse di vendita sul mercato borsistico, soprattutto viennese o tedesco, da parte di grandi gruppi, col principale obiettivo di guadagnare più rapidamente possibile. In questo si- stema di finanziamento non c'era posto per l'interesse generale, di cui avrebbe dovuto farsi carico lo Stato, né per le prospettive di sviluppo a medio e lungo termine, troppo rischiose per gli investimenti. Succe- deva, quindi, che le Società, inizialmente promosse da imprenditori locali in base a motivazioni economi- che e sociali del territorio, diventavano appannaggio dei possessori dei certificati azionari, gran parte resi- denti all'estero o controllati dai grandi gruppi finanziari, stravolgendo la ragione prima dell'iniziativa, che da imprenditoriale si trasformava in finanziaria.

La proposta di una strada ferrata che attraversasse Veneto e Lombardia per raggiungere i mercati esteri era stata avanzata già nel 1826 per contrastare il ventilato progetto di una linea da Genova ad Arona, proiettata verso il Nord Europa; la stessa, però, non ebbe seguito per gli elevati costi ipotizzati, tanto da far dire alla Camera di Commercio di Venezia che

« la spesa sarebbe stata molto superiore alle deboli forze dell'abbattuto nostro commercio».331

Il 2 settembre 1836 la Camera di Commercio di Venezia prese in esame la richiesta, e ritenutala interessan- te, prima di presentarla alle autorità di governo Veneto, la trasmise alla corrispondente Camera di Milano per un parere sul tratto lombardo. Iniziava, in questo modo, l'iter approvativo prima di giungere davanti ai due governi regionali ed alla corte imperiale, cosparso di insidie e complicazioni che si sarebbe concluso con il riconoscimento il7 aprile 1840 del privilegio imperiale e la successiva costituzione della Imperial Re- gia strada ferrata Ferdinandea Lombardo Veneta.

La vicenda della Ferdinandea si districò tra alterne vicende, segnate inizialmente dallo scontro tra le due direzioni Lombarda e Veneta in cui fu suddiviso il centro decisionale della Società (diffidenze reciproche sul ruolo di socio fondatore, criterio di collocazione dei titoli, direzione dei lavori, preventivi e scelta delle prio- rità) e, successivamente, tra queste e alcuni gruppi azionisti, in particolare stranieri, per il controllo della Società (lacerazione sui tracciati, pressioni dei vari gruppi municipalisti, Bergamo in primo luogo, proposte di fusioni con altre società, ecc.). Il primo tratto di linea fu completato nel 1842; da questa data le sorti della Società seguirono il percorso delle altre imprese ferroviarie dichiarate dall’Austria di interesse strate-

330

Cit., A. Bernardello, Venezia 1830-1866,- Iniziative economiche, accumulazione e investimenti di capitale, in Il Risorgimento, n°1 , Leva S.p.A. Arti Grafiche, Milano 2002, p.5 in http://www.storiadivenezia.net/sito/saggi/bernardello_venezia.pdf.

331

170

gico, segnato da condizionamenti dei mercati azionari, crisi finanziarie, interventi a più riprese e in varie forme dello stato. In seguito agli esiti della seconda e terza guerra d'indipendenza, la rete passò, con tempi e modalità diverse, al Regno d'Italia.

A guidare la progettazione e ad assumere la direzione tecnica della strada ferrata fu chiamato l’ingegnere Giovanni Milani, non senza scontri tra le due Direzioni regionali sulla preminenza, di chiara natura campani- listica. Tra i sostenitori di Milani c’era lo stesso Cattaneo, che in linea di massima condivideva, con alcune variabili, l’ipotesi della linea delle città: partenza da Venezia, attraversamento di Padova, Vicenza, Vero- na, Brescia, Treviglio e arrivo a Milano.332

Il percorso delle città era il risultato di un vivace ed articolato confronto, fatto anche attraverso le pagine dei giornali, che aveva visto avanzare e misurarsi con dati tecnici, seppur approssimativi, le varie ipotesi progettuali; tra queste, le due proposte che, oltre alla linea delle città, avevano ottenuto il maggior con- senso erano la linea del Po del Varè e quella della campagna, avanzata dalla Commissione veneta con la prima richiesta di privilegio.

A questo dibattito contribuirono le note riflessioni di Cattaneo nelle sue Ricerche sul progetto di una strada di ferro da Milano a Venezia. Apparse nel fascicolo di giugno 1836 degli Annali Universali di Statistica, af- frontavano in premessa, con lucida capacità analitica e visione di prospettiva, la scelta del percorso parten- do dalle ragioni di un’impresa : l’utilità da conseguirsi e la material costruzione dei lavori:

«L’impresa di una strada ferrata vuolsi considerare sotto due aspetti distinti. L’uno riguarda l’utilità da conseguire; l’altro ri- guarda la material costruzione dei lavori. Ma siccome tutta l’impresa mira unicamente a conseguire un lucro, e non a com- piere un’opera di difesa o d’argomento: così la costruzione divien pedissequa e subalterna alla utilità. Laonde il primo quesi- to da sciogliersi non deve esser questo: Qual è la linea che ammette la più breve, più facile, men dispendiosa e più durevole di tutte le costruzioni? Poiché la migliore costruzione potrebbe tuttavia riuscire la meno adatta al guadagno. Ma il primo quesito dev’essere questo: Qual è la linea che promette maggiore ampiezza di privato lucro e pubblica utilità? Sciolto questo quesito si vuol poi accomodarlo e contemperarlo coll’altro; ma l’uno è il padrone e l’altro è il servitore.»333

Per Cattaneo l’interesse privato e pubblico, pur valutati separatamente, dovevano, in ogni caso, essere in equilibrio tra loro. L’investimento capitalistico privato aveva un significato solo se fosse possibile ottenere un utile d’impresa; considerato che si trattava di realizzare opere finalizzate alla vendita di servizi di tra- sporto, Il massimo utile d’impresa si creava con la massima utilizzazione del servizio offerto, passeggeri e merci. Un eccessivo sbilanciamento verso l’una o l’altro interesse rischiava di compromettendo l’intera ini- ziativa, con grave danno sia per la salute dell’impresa che per le aspettative della collettività.

«In una operazione incamminata da privati vuolsi aver riguardo a due interessi che possono per avventura esser concordi senza cessar per questo d’ esser distinti; l’ interesse cioè. dei‘ proprietari delle azioni e quello della massa degli utenti, o piuttosto di tutta la popolazione. Gli intraprenditori mirano ad ingrossare il dividendo dei loro caratti, cioè il ricavo netto dell’ azienda; il che si risolve nell’ ottenere il massimo trasporto di persone e di merci, ritraendone il massimo di mercede col minimo di spesa. L’ utilità degli utenti si risolve nell’ ottener pure il massimo trasporto di persone e di merci ma, col mi- nimo di mercede; il qual minimo detrae al maggior ricavo degli imprenditori. Ma siccome se questi esigessero eccessiva mercede, diminuirebbero la spinta e il concorso degli uomini e delle merci: cosi la massa totale delle operazioni si sceme- rebbe; e sul totale svanirebbe il guadagno fatto sulle parti. V’è adunque un punto di transazione nel quale i due interessi debbono equilibrarsi a produrre il massimo trasporto d’uomini e di merci. poi del buon senso degli imprenditori il’ tenersi sempre al di sotto di questo punto, massime dapprincipio; perchè si tratta di determinare la moltitudine degli uomini a

332

C. Cattaneo, Di Una nuova linea per la Strada Ferrata Lombardo Veneta, Annali Universali Statistica, Serie 1^ Vol., I fasc. Apr. 1837, cit, pp.153-60 v. appendice 10. 333

171

rompere le consuetudini già prese , per confidarsi a un corso di cose inusitato e ignoto. Posto che l’ interesse degli impren- ditori che degli utenti si unisca nel massimo trasporto di persone e di merci nasce un’altra dimanda cioè: in che modo que- sto massimo trasporto si passa ottenere. Prescindiamo per un istante da ogni altra considerazione. ll massimo trasporto di persone e di merci si otterrà più sicuramente e prontamente passando nei luoghi ove le persone a le merci si trovano già raccolte in maggior copia, o possono più facilmente raccogliersi.»334

Quali erano i luoghi di maggio vantaggio da collegare? Per Cattaneo erano le città: il centro antico di tutte le comunicazioni delle province a cui facevano capo le strade e le attività dei territori circostanti. Erano il centro di gravità di tutti gli interessi, come lo era il cuore nel sistema delle vene:

«Ora io domando, troveremo noi maggiore affluenza d’ uomini e di roba nei luoghi dove fanno capo le strade, oppure nelle solitudini? Troveremo maggior affluenza nelle fiorenti città o nei poveri casali ignoti al commercio e all’ industria? Ne trove- remo più a Brescia e Verona, o nelle risaie del Tartaro e del Tione ?È vero che qui si tratta d’una strada che conduca velo- cemente da Milano a Venezia e non d‘ una strada che vada a battere alle porte di tutte quante le città. Ma è vero altresì che a circostanze eguali, dobbiamo sempre preferire quella linea che produce maggior numero di faccende; perchè lo scopo non è tanto di passar velocemente quanto di rendere lucrosa codesta velocità.Le nostre città non sono solamente la fortui- ta sede d’ un maggior numero d’uomini, di negozi, d’ officine e di un più grosso deposito di derrate. Tali sarebbero a cagion d’ esempio Birmingham , Trieste , Malta , Gibilterra; le quali non hanno intimo vincolo morale colle circostanti popolazioni; e si potrebbero dire città cosmopoliti che stanno in terra come le navi ancorate stanno nel mare. Le nostre città sono il cen- tro antico di tutte le comunicazioni di una larga e popolosa provincia; vi fanno capo tutte le strade, vi fanno capo tutti i mercati del contado, sono come il cuore nel sistema delle vene; sono termine a cui si dirigono i consumi, e da cui si dirama- no le industrie e i capitali; sono un punto d’ intersezione o piuttosto un centro di gravità che non si può far cadere su di un altro punto preso ad arbitrio.»335

Per Cattaneo l’utile d’impresa veniva, alla fine, pagato dalla gente: i soldi forniti dal capitale privato veniva- no recuperati dai guadagni e risparmi delle persone. Considerata l’entità dei capitali necessari, se era teori- camente possibile far passare una linea in aree periferiche con la speranza di sviluppare iniziative produttive (come nel caso americano), si doveva tener conto delle priorità e della variabile temporale. Non si doveva indulgere all’idea di cosa sarebbe potuta diventare la linea in un lontano futuro, ma valutare se ed entro quanto tempo fosse possibile ottenere utili per entrambi gli interessi. Per concretezza le opere dovevano essere realizzate con criteri di priorità, lasciando al domani l’eventuale completamento:

«Qualcuno pensa che la strada ferrata passando nei luoghi privi di città recherebbe nuova vita a territori obliati, e spargerebbe l’industria e l’abbondanza ove n’è appunto maggiore il bisogno. ll pensiero è grandioso e l’intenzione benefica. Ma prima di tutto chi si pasce di questa idea non fa considerazione del tempo necessario a recarla ad effetto. Se voi siete contenti d’aspettare la riuscita della vostra impresa fino a che si fondi sulla vostra strada una nuova linea di opifici, di empori mercantili, di centri stradali e di città: temo assai che avrete troppo ad aspettare. In oltre non mi pare che si faccia considerazione del luogo. Questo è un pensiero egregio quando si applichi alla Bussia, al Canada, agli Stati Uniti. Ma il nostro regno è già forse in ragione di grandezza il più popolato del mondo. Esso ha già la congrua sua dote di città; voglio dire che ne ha una di venti, trenta , cinquanta mila abitanti ogni venti o trenta miglia. Queste città son già forse troppe e troppo grandi per l’area che le deve alimentare, non avendo esse più quella floridezza di manifatture e di commercio che nel Medio Evo le faceva si ricche e intraprendenti. Noi non abbiamo territori vacui; quindi mal s’adatterebbe a noi una massima che riesce provvide in regioni semiselvagge dove il viaggiatore attraversa fra città e città , le foreste di dieci, di venti, di cento miglia; mentre sulla strada fra Milano e Venezia non è facile misurare cento passi di bosco o di brughiera. Se voi supponete che tutti codesti nuovi stabilimenti debbano farsi senza levare i capitali, gli uomini e le industrie dai luoghi ove stanno , io, giacchè dal nulla nulla si fa , vorrei sapere da qual miniera terrestre od acquatica vi cavereste tante centinaia di milioni; giacchè i milioni non sono che il‘ cumulo dei nostri guadagni o piuttosto dei nostri risparmi. Se poi il nuovo deve trarre a sè gli utili dell’antico: egli sarà come un nuovo alveo di fiume che per diffondere la fecondità in un deserto lasciasse altrove le nude sabbie. Se voi supponete che per fare un grande emporio commerciale a Orzinuovi o Albaredo si debba dissanguare l’ industria e la possidenza di Brescia o di Verona: io vi domandate che cosa avremo guadagnato con questo immensa traslocamento d’ uomini e di capitali. Avremo reso inutili i capitali già investiti negli edifici , nelle strade , nei canali delle città presenti , per seppellire altra massa di capitali in nuovi edifici su un’ altra linea di città

334

C. Cattaneo, Ricerche sul progetto di una strada di ferro da Milano a Venezia , cit,, pp.288-9. 335

Outline

Documenti correlati