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Fino agli inizi del 1848 nel Regno di Sardegna non era stata messa in esercizio alcuna tratta ferroviaria. Co- stituito dalle regioni del Piemonte, Savoia, Liguria, Nizza e Sardegna, lo stato sabaudo presentava una si- tuazione orografica prevalentemente montuosa che ostacolava l'affermazione del sistema di trasporto sul- le vie di ferro, almeno fino agli anni 30 in cui la tecnologia era ancora allo stadio iniziale, la costruzione ri- tenuta audace per le innumerevoli opere d'arte necessarie e la redditività economica incerta. Altro ele- mento non trascurabile era il capitale d'investimento, elevato e di difficile reperimento tra la sola imprendi- toria locale, prevalentemente agricola e con una cultura d'impresa arretrata in Piemonte, commerciale e

con un tessuto sociale discretamente articolato in Liguria; arretrata la situazione in Sardegna.245 A Genova,

dove era attivo un sistema bancario capace di operare sul mercato del credito, la diffidenza verso l'autorità sabauda era elevata. La repubblica di Genova aveva persa la sua autonomia a causa dell'invasione napo- leonica. Dopo Waterloo non era stata ripristinata nel suo governo ma ceduta ai Savoia, suoi antichi nemici. I sentimenti repubblicani, i moti insurrezionali del 1821 e una politica di dazi doganali che non agevolavano lo sviluppo della portualità avevano alimentato l'avversione alla dinastia sabauda e favorito l'iscrizione alla

Giovine Italia, fondata nel 1831 a Marsiglia dal genovese Giuseppe Mazzini.246

Quindi, solo una sterzata nella gestione dello Stato, con una oculata politica di riforme, propedeutiche alla crescita economica e produttiva, avrebbe potuto sbloccare vecchi risentimenti e fare da catalizzatore all'i- niziativa imprenditoriale . Questo fu possibile a partire dagli anni 40, con la riforma delle finanze statali che consentì ai governi, guidati da avvedute personalità , di impegnare direttamente lo Stato nella realizza- zione di un piano di opere infrastrutturali a supporto dello sviluppo, come i canali navigabili e le strade fer- rate, viste come fattore di progresso economico e civile ma anche sostegno all'iniziativa espansionistica e al sogno di unificare la penisola sotto la corona sabauda. .

Prima della decisa virata dello stato, i fermenti e le idee in materia ferroviaria però, non erano mancati, come non mancavano i pensatori che nel Regno si distinguevano per le loro analisi approfondite e per pro- poste che ai tempi erano sicuramente considerate all'avanguardia.

Nel 1837 l'alessandrino conte Antonio Piola , esperto di problemi agricoli e studioso di ferrovie , pubblicò un volumetto dal titolo Delle strade ferrate e della loro futura influenza in Europa in cui analizzava le espe- rienze maturate all'estero, valutava la situazione economica e politica ed esponeva il suo progetto di rete da realizzare nel Piemonte e nel resto d'Europa. Nelle prefazione alla sua opera scriveva:

«la disparità delle opinioni, per cui rimane dubbia l'utilità delle nuove vie, m'incitò allo studio di tal importante questione. Con questo intento giudicai essere utile la conoscenza dei fatti generali, da cui dipendono le azioni dei tempi presenti, mi fe- ci a considerare le relazioni economiche e politiche internazionali e le origini dell'attuale prospera o infelice fortuna degli Stati d'Europa».247

245

Mauro Bocci, Genova e Milano,la Grande vie del Risorgimento, Speciale Lombardia , Gruppo Banca Carige , La Casana 4/ 2005, in http://www.gruppocarige.it/gruppo/html/ita/arte-cultura/la-casana/2005_3/pdf/02_21.pdf

246 Ibidem. 247

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La sua visione di una rete sovrannazionale era suffragata dall'analisi sulle ricadute positive che ciò avrebbe comportato per l'economia del tempo, con riduzione delle spese trasportistiche e l'incentivazione dei si- stemi produttivi. Oltre all'industria, ne avrebbero beneficiato sicuramente anche commercio e agricoltura, la crescita sociale e politica del piccolo regno sabaudo. Le sue riflessioni si concludevano con questa consi- derazione: ”

«l'invenzione delle strade ferrate, meravigliando il mondo, mostrò che all'utile della sicurezza dei trasporti potevasi aggiun- gere quello della loro celerità ed economia... in ogni caso i vantaggi superano di gran lunga i danni parziali che per esse po- trebbero forse succedere».248

L’opera del Piola venne recensita nel mese di maggio 1838 dagli Annali Universali di Statistica con un artico- lo da titolo: Delle strade ferrate e della loro futura influenza in Europa, pensieri del Conte A. Piola:

«Quest’opera considera le strade ferrate non rispetto ad alcuna particolarmente, ma all’influenza che possono avere presso tutte le nazioni d’Europa. Vi sono savissime vedute e nuove. Ne daremo più estese notizie.».249

Altro illustre esperto in materia ferroviaria era Carlo Ilarione Petitti di Roreto, che abbiamo già conosciuto per il suo pensiero e la visione unitaria espressi nel suo trattato sulle strade ferrate. Studioso di più disci- pline, aveva compreso da subito il rilievo che questo nuovo sistema di trasporto avrebbe avuto sotto il pro- filo economico e politico.

Nel suo Delle Strade ferrate italiane e del migliore ordinamento di esse, comparso nel 1845, a otto anni di distanza dall'opera del Piola, il Petitti prendeva in esame la situazioni creatasi in Europa, da cui ricavava le motivazioni per sostenere le ragioni dello sviluppo economico , sociale, culturale, morale della nostra penisola, instillate dalla nuova tecnologia, in una visione unitaria e non disgiunta. Il trattato usciva in un momento in cui alcune esperienze avevano fatto maturare maggiori consapevolezze sui pregi, difetti e pro- spettive del sistema che negli anni precedenti erano state trattate solo sul piano teoriche:

«La moltiplicità, la facilità ed il comodo, come la sicurezza e l’economia de’ mezzi di trasporto, sì delle persone che delle merci, possono chiamarsi il vero termometro della civiltà, e della prosperità materiale e morale d’un popolo. Perocchè, coll’accrescere e coll’agevolare lo scambio delle idee, degli affetti e delle cose, que’ mezzi concorrono ad una fusione di prin- cìpi, d’opinioni e d’interessi, onde nascono i primi elementi della vera civiltà, le più sicure cautele d’una condizione quieta ed agiata.»250

Le molteplici cause e le discordie che avevano frammentato la penisola in tanti piccoli Stati avevano au- mentato le divisioni intestine e determinato anche la decadenza delle vie di comunicazione:

«Molteplici infelicissime cause di lamentevole decadenza, alle quali è inutile or fermarsi pel nostro assunto, impedirono che le vie di comunicazione per lungo tempo tra noi s’aprissero e si moltiplicassero. Le intestine discordie; la povertà dell’erario; le gare, non solo tra Stato e Stato, ma tra i municipi vicini istessi; le cautele di militare difesa; le tendenze d’un’avidità fiscale poco illuminata, richiedenti solo alcuni difficili passi, onde meglio assicurare la riscossione de’ dazi d’entrata e d’uscita: era- no, conviene ammetterlo, tanti motivi per cui tralasciavasi dopo il risorgimento civile d’intraprendere opere consimili a quel- le che la civiltà romana ci ha lasciate, sebbene in iscarso numero, qual perenne monumento tuttavia della sua grandezza e potenza, intelligenti del pari. Le quali opere di pubblica utilità la moderna età in sì gran copia or va dovunque moltiplicando con tanto profitto.»251

248

Ibidem. 249

D.S., Delle strade ferrate e della loro futura influenza in Europa; pensieri del Conte A. Piola, Vol..LVI, fasc. 167, Maggio 1838, Annali Universali Statistica., cit,, p.126.

250

C.I. Petitti, Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse, Disc Primo, cit, p.11. 251

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Constatate le iniziative intraprese dagli altri stati europei per costruire nuove vie di comunicazione, era giunta l'ora che anche gli italiani si adeguassero, senza timore di superare gli steccati frapposti dalle frontie- re politiche, facendo della penisola una sola contrada e una sola famiglia attraverso la condivisione di rego- le e interessi comuni :

« Comunque, è cosa innegabile che l’Italia, venuta per le vie di comunicazione a seguito d’alcune tra le principali nazioni d’Europa, dopo averle altre volte precedute, pe’ canali specialmente: or si mostra molto propensa ad utili imitazioni. Nè può dubitarsi che queste riusciranno assai proficue alla patria comune, se nell’ordinare i nuovi mezzi di reciproche relazioni, an- zichè lasciarsi guidare dalle grette idee di rivalità tra Stato e Stato, e tra municipio e municipio, onde sempre nacque la no- stra decadenza, l’autorità che governa saprà anzi combinare le imprese m modo che tendano a fare dell’intera Penisola una sola contrada ed una sola famiglia, come succede apposto in quella forte ed intelligente Germania, dove senza menoma- mente ledere la giusta indipendenza d’ogni Stato, si seppe nondimeno creare un’omogeneità d’interessi e di regole per go- vernarli, da cui non può che tornare immenso accrescimento di potenza e di ricchezza all’intera nazione.»252

Petitti riportava anche la citazione di un autore anonimo per evidenziare che solo unendo le forze ci sareb- be stato mercato e questo sarebbe stato possibile solo se si costruiva una rete unitaria e non frazionata dei collegamenti, che aveva nei porti il punto di forza:

« Agli stranieri niun porto nostro non è mercato nè scalo necessario, non è se non facoltativo, e non sarà adoprato se non sarà mercato grosso e approdo facile; ed ai nazionali stessi, cui i porti nostri son mercati e approdi necessari, essi non saran buoni se non colle medesime condizioni. Finché Otranto o Napoli non saranno se non mercati del Regno, finché Ancona o Civitavecchia non saranno se non degli Stati del papa, Livorno di Toscana, Genova del Piemonte, niuna spedizione grossa si farà mai da o per Otranto, Napoli, Ancona, Civitavecchia, Livorno o Genova. Ma se ognuna di queste potesse essere merca- to, deposito, transito, di tutta o molta Italia, certo vi moltiplicherebbe l’invito, l’approdo e per le navi straniere e per le na- zionali; e moltiplicherebbero quindi, non solo le industrie, i commerci propri de’ luoghi di scalo o di transito, ma per effetto immanchevole, tutte le produzioni dell’industria e dell’agricoltura nazionale».253

Petitti passava poi dai criteri di progettazione a quelli di finanziamento delle opere. Si soffermava sui di- versi sistemi di finanziamento, che andavano dalla concessione all'iniziativa privata alla partecipazione indi- retta dello stato, con varie forme di contributo economico, al sistema misto fino al monopolio. In questa escursione di casistiche Petitti vedeva nello Stato il soggetto che avrebbe potuto dare corpo ad una piani- ficazione equilibrata, funzionale allo sviluppo economico sociale e politico, garantendone la realizzazione e gestione delle opere con fondi pubblici. All'iniziativa privata, segnata troppo spesso e drammaticamente da episodi di speculazioni azionarie e di fallimenti, che comportavano enormi rischi per il buon esito dell'ope- ra, preferiva la soluzione del finanziamento pubblico, visto che l'opera serviva nell'interesse generale ed aveva il consenso del governo:

«L’utilità della costruzione di vie ferrate, le quali rendano più facili, più pronti e men costosi i trasporti delle persone e delle merci, venne, là dove furono codeste imprese mandate a buon termine, per tal modo riconosciuta evidente, che generale n’è derivato il consenso de’ governanti, come de' governati a riconoscere quelle strade d’una ormai ineluttabile necessità per il progresso delle relazioni commerciali fra i varii popoli. ... Cotesto comune convincimento, specialmente presso i priva- ti, radicavasi per tal modo, che la costruzione preallegata si reputava una speculazione promettitrice di larghi guadagni, co- munque venisse intrapresa da una società cui si lasciasse, a compenso della derivante spesa, l’esercizio della strada mede- sima. Alcuni esempi succeduti nell’America del Nord, nella Gran Brettagna e nel Continente d’Europa, giustificarono codesta opinione, quando però un concorso di ottime circostanze rendeva tenue la spesa, massimo l’avviamento lungo le strade suddette: produssero invece opposto risultamento in condizioni diverse; onde nacquero illusioni, che furono causa di grave pregiudicio ad alcune società fallite per troppa fiducia in mal fondate speranze, soventi volte promosse dagli speculatori che attendono all’aggiotaggio; per cui si consumò la rovina dei creduli azionisti che investivano in quelle società i loro capitali.... Però, se alcune di quelle speculazioni fallirono, quanto all’utile privato di coloro che tentarono l'assunto, risultò chiaramente anche ai meno veggenti, che pell’aumento derivato da quelle imprese nel moto delle relazioni commerciali, singolarmente cresciute in importanza ed in buon successo, ne venne alla prosperità dell’universale un così grande beneficio, che ogni re-

252

C.I. Petitti, Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse, cit., p.12. 253

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