Accomunati dalle ricerche portate avanti da Uri Margolin tra gli anni Ottanta e Novanta sono gli studi sul personaggio che utilizzano un approccio di tipo cognitivo20. I primi passi in questa direzione erano già stati fatti in periodi precedenti: la distinzione di Forster tra flat e round character è ancora valida in questa branca narratologica. Oltre a ciò, il ricorso alla psicologia per l’interpretazione del personaggio aveva influito nella determinazione dei ‘tipi letterari’21, come ad esempio lo scienziato pazzo di
19 Nel 2000 è stato pubblicato il suo volume Karakterens rolle : Aspekter af en litterær karakterologi. 20 Le ricerche di Margolin evolveranno: dall’approccio semantico il critico si interesserà poi ad un orientamento maggiormente incentrato sugli aspetti cognitivi e sull’esperienza del lettore.
Frankenstein: or, the Modern Prometheus (Frankenstein, o il Moderno Prometeo, 1818) di Mary Shelley o la femme fatale Salomè (1891) di Oscar Wilde22. La psicologia si è rivelata un prezioso aiuto anche per esplorare la coscienza del personaggio e dell’autore che lo ha creato; Bernard J. Paris nei suoi ultimi studi integra narratologia e psicologia: Imagined Human Beings: A Psychological Approach to Character and Conflict in Literature (1997), Dostoevsky's Greatest Characters: A New Approach to “Notes from Underground,” Crime and Punishment, and The Brothers Karamazov (2008), Heaven and Its Discontents: Milton’s Characters in Paradise Lost (2010). In maniera simile, Alan Palmer (2004) parte da una base psicologica per interpretare le ‘menti’ dei personaggi letterari. Risulterà piuttosto evidente che in questi studi la componente mimetica è eccessivamente accentuata, come ha riscontrato anche Richardson23. Emerge infatti con forza la discutibile24 convinzione dell’autore secondo cui il maggior impulso della prosa realista è quello mimetico.
In maniera analoga a quanto fanno questi approcci di tipo ‘psicologico’, che cercano di spiegare il personaggio in termini di esperienza umane, la narratologia cognitiva ha scelto di concentrare il suo interesse sul processo dinamico attraverso il quale il lettore (ri)costruisce il personaggio nella sua mente a partire dalla sinergia che intercorre tra gli elementi forniti dal testo e la sua conoscenza del mondo reale. L’insieme di queste informazioni viene definito da Jannidis “encyclopedic knowledge”25 (2004, 2010). A livello generale, gli orientamenti cognitivi riconoscono che il primo passo compiuto dal lettore consiste nel riconoscimento di un’espressione di riferimento che connota il personaggio. La ripetizione di questi o simili riferimenti determina in seguito un’unità concettuale minima che viene distinta come personaggio. I personaggi vengono riconosciuti principalmente tramite i nomi propri, descrizioni precise, pronomi personali26; oltre a tali riferimenti diretti, si possono avere anche riferimenti indiretti, ad esempio nella descrizione delle azioni o nell’uso della voce passiva. Ci si può riferire al personaggio tenendo anche in considerazione la sequenza narrativa in cui esso compare. A questo proposito, gli scenari che si possono
lavorative consolidate all’interno della società, come ad esempio la vecchia insegnante o il ligio impiegato, come dimostrano lucidamente Frevert e Haupt (2004). In un recente convegno tenutosi a St. Louis (ISSN Conference, 2011) è stata anche discussa la figura della shopgirl, la commessa di negozio. Il personaggio-tipo assurge dunque alla funzione di modello, una sorta di elemento standard che si può ritrovare specialmente nel contesto della cultura popolare, in cui la caratterizzazione si basa immancabilmente sul riconoscimento e sulle preconoscenze relative a queste figure.
22 Si potrebbero anche aggiungere le ricerche sul cosiddetto ‘uomo superfluo’ in letteratura russa. 23 (1997: 96).
24 Basti pensare alla quantità di narratori onniscienti che popolano questi romanzi. La narrazione onnisciente è chiaramente qualcosa di impossibile nella realtà: non esiste alcuna persona che conosca la totalità dei fatti al mondo. Pertanto, la narrazione onnisciente non può essere imitazione della realtà. 25 La differente percezione di una stessa figura da parte di lettori, spiega Jannidis, è proprio dovuta al fatto che è spesso basata su “different entries from the character encyclopedia” (2010).
configurare sono estremamente variegati: ad esempio, non tutte le sequenze possono essere incentrate su un unico personaggio, benché questo sia presente. Se invece il personaggio è assente in diverse sequenze, può capitare che riappaia in maniera graduale o improvvisa. È importante tenere conto di questi elementi nella descrizione e teorizzazione di un personaggio: l’analisi delle sequenze potrà fornire informazioni sul modo in cui il lettore costruisce questa figura nella sua mente.
In questo contesto è utile inserire il concetto di ‘identificazione’, ovvero il processo che porta il lettore a riconoscere un personaggio precedentemente incontrato. Al concetto di ‘identificazione’ va affiancato quello di ‘falsa identificazione’, che invece prevede l’effetto contrario. Il procedimento della falsa identificazione viene spesso utilizzato in determinati generi letterari, come il gotico, ma anche nel self-conscious novel postmoderno: basti pensare al romanzo Соглядатай (1930) di Nabokov. Jannidis (2004, capp. 4 e 6) e Emmott (1997) parlano anche di ‘impeded identification’, in cui non c’è alcun elemento che permette un’univoca identificazione del personaggio, e anche di ‘deferred identification’, in cui un lettore non riesce immediatamente a stabilire l’identità di un personaggio poiché questo viene presentato in maniera poco chiara.
Un approccio efficace per descrivere il modello di personaggio che il lettore crea in questa maniera incrementale è dato da Ralf Schneider (2001), che a sua volta prende le mosse dalle ricerche di Gerrig e Allbritton (1990). Schneider distingue tra due modalità: top-down e bottom-up. Nel primo caso, il lettore applica una determinata categoria di personaggio alla figura che sta cercando di mettere a fuoco, integrando successivamente la sua idea con ulteriori affermazioni date dal testo. Nel secondo caso, invece, si verifica il percorso opposto: il lettore parte dagli indizi testuali per poi incasellarli in un modello di personaggio già noto, mettendosi in grado di formulare previsioni sul suo comportamento oppure di spiegare elementi che prima non trovavano collocazione. Se il modello non viene invece riconosciuto, il lettore procede con la cosiddetta ‘personalizzazione’ del personaggio. In questo senso, gli elementi associati al personaggio nel momento in cui esso fa la sua prima apparizione all’interno di un testo hanno un’importanza cruciale nella sua definizione e classificazione preliminare. In seguito, le informazioni attinte dal tessuto narrativo possono mutare l’idea iniziale che il lettore si è fatto: il personaggio può essere ‘decategorizzato’, uscendo quindi dalla categoria di personaggio-tipo che gli era stata dapprima assegnata, oppure venir ‘depersonalizzato’, nel momento in cui un personaggio inizialmente considerato originale viene riconosciuto come stereotipo.
mente, la conoscenza del mondo reale o quella del testo? Margolin suggerisce che “[w]hile the model reader and professional literati will give the literary ones precedence, ordinary readers tend to give precedence to entrenched actual-world models” (2007: 54). A questo problema si collega quindi anche la questione del pubblico che avrà inevitabilmente una conoscenza del mondo reale diversa a seconda della propria collocazione geografica o storica. In questo senso, sull’interpretazione del personaggio influiranno non solo le conoscenze letterarie pregresse del lettore, ma anche il suo background culturale, determinato dalla nazionalità, classe e/o gruppo sociale di appartenenza, generazione.
Alla formazione dell’idea di personaggio da parte del lettore concorre un elemento essenziale, basato sulla raccolta di indizi testuali espliciti ed impliciti: la caratterizzazione27. I teorici si sono molto interessati al problema dei limiti delle regole che governano il processo di inferenza delle informazioni volta alla caratterizzazione del personaggio. Ryan (1980), ad esempio, nota che i lettori tendono a presupporre che il mondo finzionale segua le stesse regole del mondo reale, a meno che non venga richiesto il contrario dalla storia stessa. Di recente è stato discusso il concetto di ‘basis type’, una nozione che nasce in seno alla psicologia comportamentale. L’uomo è infatti naturalmente in grado di distinguere tra oggetti ed esseri senzienti; nel momento in cui un personaggio viene riconosciuto come un essere senziente, vengono applicati dal lettore gli schemi comportamentali umani noti, come i desideri, le intenzioni, le convinzioni. Il personaggio risulterà quindi formato da due lati: uno interiore, invisibile, sorgente delle sue intenzioni e dei suoi atteggiamenti che il lettore intuisce attraverso l’applicazione degli schemi comportamentali umani e sulla base del proprio vissuto. Ci sarà poi un lato visibile, che il lettore percepisce attraverso l’informazione fornita dal testo28.
27 Naturalmente il concetto di caratterizzazione non è stato studiato soltanto dai teorici cognitivi. Infatti, già nel diciannovesimo secolo Scherer parlava di caratterizzazione diretta o indiretta, registrando una preferenza dei suoi contemporanei per la seconda (Scherer [1888] 1977: 156–57). In tempi più recenti, Chatman (1978) si è concentrato sui tratti psicologici o sociali dei personaggi, mentre Margolin (1983) ha proposto un dettagliato elenco delle tipologie di caratterizzazione basate sulle inferenze testuali. Invece, a partire dalle idee di Peirce, Keller (1998) ha introdotto il termine ‘abduction’, molto simile al modello di personaggio-tipo che costituisce l’impalcatura di una determinata figura testuale. Infine, Jannidis (2010) ha puntualizzato il fatto che i testi ascrivono ogni tipo di proprietà al personaggio, tra cui proprietà fisiologiche e locative (spazio-tempo). La caratterizzazione può inoltre avvenire anche
esternamente al testo, tramite l’acquisizione di informazioni a livello ambientale (il famoso codice
culturale menzionato da Lotman) e, soprattutto in ambito postmoderno e nelle narrazioni estreme, a
livello intertestuale. In certi casi, la caratterizzazione può essere addirittura ipotetica o congetturale, in
quanto a volte i testi non forniscono indicazioni esplicite. Influirà inoltre anche l’elemento della narrazione inattendibile, che in un certo senso invalida le informazioni fornite.
28 Vi sono casi in cui questi aspetti possono essere negati ad un personaggio-tipo, in maniera esplicita o in virtù di determinate convenzioni testuali, come illustrano Jannidis (2004: 185-195)e Zunshine (2006: 22-27).
Questo atteggiamento, comune ad un pubblico più o meno colto, pone significativi problemi dal punto di vista teorico. Numerosi sono infatti i lettori che tendono a ‘naturalizzare’, o a ‘normalizzare’ elementi considerati anomali, finendo per neutralizzare un potenziale aspetto di originalità nell’opera. Critici e teorici, anch’essi in primo luogo lettori, non sono sfuggiti a questa logica di appiattimento, che spesso li ha condotti a formulazioni di opinioni errate o non sufficientemente esaustive29. Questo problema si riscontra anche nella teorizzazione di personaggio, come si è cercato dimostrare sino a questo momento.
Walton denuncia il rischio implicito nell’applicazione alla finzione di schemi derivati dalla realtà, arrivando a concludere che “[t]here is no particular reason why anyone’s beliefs about the real world should come into play.” (Walton 1990: 166). Jannidis (2010) critica tuttavia questa posizione, sostenendo che “characters are part of storyworlds which are not self-contained, but communicated. Readers’ assumptions about what is relevant in the process of communication determine the scope and validity of inferences”. Il concetto di comunicazione30 è dunque la chiave di volta che consente a Jannidis di confutare la tesi di Walton.
Ma è sempre vero che la letteratura, poesia compresa, è volta alla comunicazione di un messaggio? Se Vladimir Nabokov sentisse questa domanda, probabilmente si indignerebbe, senza nemmeno prendersi la briga di rispondere31. In tempi recenti, diversi teorici hanno dimostrato che, contrariamente a quanto si crede, non sempre la letteratura ha come scopo primario la comunicazione. In maniera estremamente lucida ed efficace, Brian Richardson espone i suoi dubbi a riguardo: “[b]y understanding all narratives (fictional and nonfictional, fictionalized and nonfictionalized alike) along the lines of a communication model, we run the risk of modeling the subject after the model, instead of vice versa” (Richardson 2006: 139). Sulla stessa linea di Richardson, Henrik Skov Nielsen dimostra il fallimento del modello attanziale di Greimas e, in generale, di tutti i modelli teorici basati sul concetto di narrazione come atto esclusivamente comunicativo. Nel suo recente saggio “Natural Authors, Unnatural Narration” Nielsen sostiene infatti che:
[i]n fictionalized narrative neither of the two parties necessary for communication (sender and receiver) needs to be present. It can be argued that some form of
29 Si pensi, ad esempio, al già citato caso di Соглядатай; la critica nabokoviana ritiene che il personaggio possa soffrire di una malattia mentale; a questa interpretazione ne verrà fornita una alternativa che cerchi di ‘ascoltare’ il testo con maggior attenzione.
30 Fermo restando che esista, almeno parzialmente, un codice condiviso e una conoscenza del mondo condivisa.
communication may also exist between, say, neurons or bacteria, and obviously between animals, without it necessarily entailing a ‘purpose’ or a report ‘that something happened’ (2010: 297).
Su questo punto, continua Nielsen,
my proposal is very similar to Monika Fludernik’s suggestions in Towards a ‘Natural’
Narratology, where she defines narrativity as centering on experientiality [...] and as
always implying the consciousness of a protagonist [...]. For Fludernik ‘no teller is necessary’ [...] for narrativity” (2010: 297).
Il problema della caratterizzazione porta a considerare un ultimo punto in relazione all’approccio cognitivo al personaggio e cioè il processo psicologico di identificazione nel personaggio da parte del lettore, procedimento spesso controllato da espedienti contenuti a livello testuale. Allo stato attuale non esiste alcuna teoria che studi la questione in maniera esauriente; si possono tuttavia segnalare diversi studi a riguardo: alcuni sono basati su ricerche di natura empirica (Oatley-Gholamain 1997), altri invece cercano di integrare questo approccio empirico con un’analisi del medium (Eder 2008, parte VII). Vi sono anche studi che si occupano delle variazioni storiche nel processo di identificazione da parte del lettore (Jauss 1974; Schön 1999).
Jannidis (2010), uno dei teorici che si è maggiormente occupato di ‘personaggio’, soprattutto in chiave cognitiva, propone di affrontare la questione dell’identificazione individuando tre aspetti.
1). “Transfer of perspective” [“trasferimento di prospettiva”]
Avviene quando il lettore rende proprie le percezioni, le intenzioni, le convinzioni del personaggio. Questo passaggio è possibile, a livello testuale, tramite la focalizzazione.
2). “Affective relation” [“relazione affettiva”]
Questa relazione del lettore con il personaggio è la risultante di una serie di fattori. Anzitutto, il lettore proietta nel proprio contesto storico-culturale le informazioni testuali relative alle emozioni del personaggio, giudicandone l’appropriatezza. Queste emozioni generano, in un secondo momento, una sorta di ‘simulazione mentale’ da parte del lettore, che può reagire davanti a queste emozioni (la tristezza del personaggio genera dispiacere nel lettore), o riviverle in prima persona. Su questo punto è utile segnalare in primis lo studio di Lauer (2007), che spiega la simulazione del lettore ricorrendo alla teoria dei neuroni specchio; al contrario, Mellmann (2006),
basandosi su teorie proprie della psicologia evoluzionistica, avanza l’ipotesi che questa identificazione svolga un ruolo del tutto marginale nel lettore. Le emozioni vissute dal personaggio non sono tuttavia sempre presentate allo stesso modo: in certi casi alcuni eventi esterni possono rappresentare/riflettere/mediare lo stato d’animo di un personaggio. Le parole con cui viene descritto un temporale, per proporre un esempio comune, possono parlare delle emozioni interiormente vissute dal personaggio. Un terzo fattore che concorre nell’instaurazione di una relazione affettiva con il personaggio risiede nello stile e nell’uso del linguaggio: l’utilizzo di strategie retoriche e metriche crea indubbiamente nel lettore una reazione, come ha anche osservato Winko (2003).
3). “Evaluation of characters” [“valutazione dei personaggi”]
La valutazione sul personaggio si basa su un giudizio fondato su parametri storici e culturali variabili. La valutazione può essere esplicita o implicita, a seconda del linguaggio utilizzato dal personaggio; il linguaggio utilizzato crea infatti una reazione emotiva nel lettore, che può essere di ammirazione o repulsione.