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V. 2 (Due?) Romanzi allo specchio

V. 5. Memorie dal sottosuolo

Da un punto di vista strutturale, l’apparente scissione del protagonista in due personaggi separati ed indipendenti (il narratore e Smurov) rende possibile anche la distinzione tra due piani narrativi: il resoconto che il narratore fa della sua vita (che chiamerò L1) e la narrazione postuma, sempre ad opera del narratore, della sua vita post-mortem, focalizzata principalmente sulla descrizione di Smurov (che chiamerò L2). I due livelli L1 - L2 arrivano a convergere nel momento in cui si riesce a carpire una delle poche cose certe del libro, ovvero che Smurov e il narratore sono la stessa persona, nel contesto di una suggestiva immagine che coinvolge lo specchio, oggetto principe del romanzo: “[a]s I pushed the door, I noticed the reflection in the side mirror: a young man in a derby carrying a bouquet hurried toward me. That reflection and I merged into one. I walked out into the street” (Nabokov 2010: 97). Poche righe dopo, l’ex marito di una delle sue amanti svela il mistero, chiamando, alla russa, direttamente per nome il narratore, ‘Gospodin Smurov’.

Ciò che distingue maggiormente le due narrazioni L1 - L2, peraltro molto simili, è un elemento non di poco conto: la morte. È precisamente in questo evanescente interstizio che si inserisce un processo di separazione dell’atto percettivo dalla sua base organica. Per via della narrazione inattendibile34, che permea l’intero romanzo, i critici non credono alla morte del protagonista; di conseguenza, il supposto suicidio e gli elementi ad esso collegati vengono ‘naturalizzati’ (come direbbe Alber), cercando una spiegazione plausibile nel mondo della realtà. La consapevolezza di trovarsi di fronte ad una diegesi in cui non ci si può fidare ciecamente del narratore porta a dunque a considerare il suicidio come un semplice stratagemma per introdurre e mantenere la distanza tra i due punti di vista appartenenti ad uno stesso personaggio. (Grayson, 1977: 82; Johnson 1985b: 393; Gourg, 1993; Skonečnaja, 1996: 35; Sweeney35, 1999: 257; Rodgers, 2009). Boyd, invece, pone l’accento sull’elemento dell’intensa creatività che caratterizza la mente del narratore; questo estro viene letto come testimonianza di grande vitalità:

[a]nd yet Nabokov suggests the very force of Smurov’s attempt to escape the conditions of life – the rawness of the self-conscious mind, the pangs of solitude, the nauseating pitch and toss of the emotions – testifies to a soul operating at full intensity, and that is

34 Ne è un esempio eloquente la scarsa memoria del protagonista, incapace di riportare con precisione determinati avvenimenti o addirittura di ricordare il nome di una sua amante, che viene costantemente indicata come Gretchen o Hilda. Per ulteriori approfondimenti sulla narrazione inattendibile in The Eye cfr. Gourg, 1993.

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its own reward. Impatience with the limits of life, Nabokov implies, may be one of the surest signs of being fully alive (Boyd 1990: 349).

Una simile chiave di lettura è certamente legittima, ma, oltre a non dar sufficiente risalto alla particolarità del fenomeno, comporta un’ulteriore conseguenza sul giudizio legato al talento di Smurov come scrittore.

Il fatto di cercar conforto nella creazione letteraria per sfuggire alle umiliazioni della propria vita, porta il narratore a scrivere il resoconto contenuto in L2; questo testo, in cui vengono minuziosamente riportati i pareri degli altri personaggi sul misterioso Smurov, si rivela, secondo molti critici36, anch’esso fallimentare, soprattutto a causa dell’errata percezione che il narratore ha delle opinioni altrui37. Non a caso, anche Sweeney ritiene che “[h]e apparently bungled the suicide that he thought would allow him to escape his identity; more pathetically, he also fails in his ludicrous effort to obviate that failure – and to try, once more, to escape from himself – in the way that he narrates his tale” (Sweeney 1999: 257). Ancor più aspramente, Boyd sancisce il fiasco letterario di Smurov, giudicandolo al pari di altri tentativi non riusciti di sfiorare l’immortalità, come le sedute spiritiche di Weinstock e l’esperienza del diario epistolare di Bogdanovič:

Smurov’s fiction that he can elude the humiliations of his mortal state fails utterly. And that leads to the real aim of The Eye: to let the terms of his failure define the human condition by contrast with a genuine beyond – which for Nabokov would be quite incompatible with Smurov’s tightly tethered selfhood (Boyd 1990: 349).

In sostanza, Smurov è quindi autore di due romanzi: il primo, che narra la sua umiliante vita in prima persona, e il secondo, contenuto en abyme nel precedente, in cui gli stessi fatti vengono riletti in terza persona. Il romanzo nel romanzo in apparenza sembra far emergere una miglior immagine di Smurov, che però si rivela parimenti negativa. Il binomio morte-arte, tema che verrà ampiamente sviluppato nei romanzi successivi, appare come un punto interpretativo critico. Sweeney, ad esempio, sostiene che “Nabokov’s protagonists […] seek literary immortality, but they pursue it by becoming narrators instead of characters. His novels express this metafictional search for identity, moreover, in detective-story terms”38 (Sweeney 1999: 256). Significativamente, la studiosa aggiunge anche che “two early works, in particular –

36 Bisogna segnalare, a questo proposito, il contributo di Susan Fromberg Schaeffer (1972), che invece riscontra un successo nella prosa proposta da Smurov.

37 Ne è un esempio lampante il fatto che il narratore creda che Smurov sia l’amante segreto di Vanja, prendendo un grosso abbaglio.

The Eye (1930) and Despair (1934) – depict protagonists who try to stage their own deaths at both diegetic and extradiegetic levels” (Sweeney 1999: 256-257). Nel ritrarre il protagonista, Boyd invece nota che

[i]n The Eye, for the first time in his career, Nabokov writes a novel in the first person. Having already drawn on negative versions of his own life and his values in King, Queen,

Knave and The Defense, he now selects a first-person point of view to allow him still

closer to an inversion of himself, of his very sense of self (Boyd 1990: 346).

Seguendo invece una logica più aderente all’unnatural narrative theory, l’unico studioso39 che si pone al di fuori del cerchio è Rowe: nel suo Nabokov’s Spectral Dimension (1981: 92-97), il critico espone la teoria secondo cui The Eye (similmente a Transparent Things, 1972) sia stato scritto da un fantasma40. La chiave di volta per risolvere il complesso gioco dei punti di vista sembra risiedere nella veridicità dell’informazione che ci viene data dal narratore riguardo la sua morte. Il narratore ha davvero compiuto un gesto così estremo come il suicidio? L’esistenza post-mortem del personaggio corrisponde a realtà o è una semplice paranoia?

Il testo è chiaro in proposito, soprattutto nei punti in cui il narratore riflette sul suo stato innaturale in relazione alla realtà:

I walked along remembered streets; everything greatly resembled reality, and yet there was nothing to prove that I was not dead and that Passauer Strasse was not a post- existent chimera. I saw myself from the outside, treading water as it were, and was both touched and frightened like an inexperienced ghost watching the existence of a person whose inner lining, inner night, mouth, and taste-in-the-mouth, he knew as well as that person’s shape (Nabokov 2010: 23).

Anche in caso di dubbio, che come un coperchio pesa sull’intero libro, il narratore trova il modo per riaffermare (in se stesso, ma anche nel lettore) un minimo di sicurezza: “[w]ith my hand pressed to my heart I gazed at the secret mark of my bullet: it was my proof that I had really died; the world immediately regained its reassuring insignificance – I was strong once again, nothing could hurt me” (Nabokov 2010: 99). Tenendo conto dell’inattendibilità della narrazione, parrebbe ragionevole supporre che la scena del suicidio descritta prima del racconto en abyme non sia avvenuta in quel

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momento41, ma anche che non sia una farsa. In questo senso, si potrebbe ‘superare’ il giudizio di Rowe in merito. Se lo specchio e il principio della specularità sono gli elementi che costituiscono la vera impalcatura architettonica del romanzo, a maggior ragione bisognerà pensare in questa chiave nell’interpretazione di un momento così cruciale e delicato. Pertanto, la descrizione del suicidio di Smurov che leggiamo altro non sarà che il resoconto di qualcosa accaduto prima dell’inizio della narrazione. In poche parole, il vero suicidio viene visto attraverso il suo riflesso, prodotto da una sorta di ‘specchietto retrovisore’. Lo specchio, innestato in una posizione strategica, demarca i limiti delle due narrazioni L1, L2, e assume quella funzione descritta da Levin di riverberare parte dell’originale anche quando questo non si trova perfettamente frontale alla superficie riflettente. In presenza di una costruzione narrativa così complessa, come non pensare ad una genialità del protagonista nella sua attività di scrittore? Si noterà inoltre che gli eventi presenti nel romanzo si possono ritrovare nella duplice interpretazione da un punto di vista ‘vivo’ (L1 bianco) e morto (L2 nero)42. Al centro di questi due mondi ontologici si trova il protagonista del romanzo, il grigio43 Smurov, già morto prima dell’inizio della narrazione; come afferma giustamente Meyer, “[i]n all his novels Nabokov shows the only true doubles to be this world and the otherworld” (Meyer 1997: 58).

Questa ipotesi sembra effettivamente fondata: infatti i momenti vissuti dal narratore come fantasma vengono spiegati in una maniera talmente semplice da sembrare quasi naturali: “oh how cunningly, in what simple, everyday terms my thought explained the ringing and the gurgling that had accompanied me into nonexistence” (Nabokov 2010: 22). All’esistenza ultraterrena, che il narratore descrive come un normale prolungamento della vita, viene anche associata una straordinaria capacità creativa, sottolineata da Smurov con l’intento di giustificare questa sua bizzarra ispirazione letteraria postuma:

Some time later, if one can speak here of time at all, it became clear that after death human thought lives on by momentum. […] With mischievous and carefree logic I progressed from the incomprehensible sensation of tight bandages to the idea of a

41 E, in questo senso, mi allineo con l’opinione degli altri critici.

42 Vorrei chiarire ulteriormente questo punto. La prima narrazione, L1, può essere interpretata come il racconto della vita di Smurov fedele alle impressioni da lui provate in vita. Non è un caso che la scena del suicidio sia inserita esattamente dopo questa porzione testuale; una simile sequenzialità fornisce logicità alla narrazione. Inoltre, Nabokov solitamente associa la vita con il colore bianco. Dopo la descrizione del ‘falso’ suicidio, Smurov inizia una nuova narrazione, che può essere intesa come il racconto della sua vita sempre dal suo punto di vista, che però ora è quello di un morto. Si tratterà dunque della prospettiva di un morto. In contrasto con il mondo dei vivi, la dimensione dell’aldilà è spesso associata a colori scuri.

43 La ragione di questa associazione verrà chiarita in seguito, nella sezione dedicata al significato del cognome.

hospital, and, at once obedient to my will, a spectral hospital ward materialized around me, and I had neighbors, mummies like me, three on either side. […] How persistently, though, and how thoroughly […] my thought went about contriving the semblance of a hospital, and the semblance of white-clad human forms moving among the beds, from one of which issued the semblance of human moans. I good-naturedly yielded to these illusions, exciting them, goading them on, until I had managed to create a complete, natural picture, the simple case of a light wound caused by an innaccurate bullet passing clean through the serratus; here a doctor (whom I had created) appeared, and hastened to confirm my carefree conjecture (Nabokov 2010: 20-22).

Il lettore si troverà di fronte ad una cronaca post-mortem, narrata in prima persona. Una simile infrazione di ogni patto di verosimiglianza e di logicità fisica e linguistica si è verificata, come rileva Barthes nel 1973, anche nel racconto di Edgar Allan Poe, The Facts in the Case of M. Valdemar (1845):

[la] mise en scène de la parole impossible en tant que parole: je suis mort. [...] [C’est un] scandale de l’énonciation, c’est le retournement de la métaphore en lettre. Il est en effet banal d’énoncer la phrase ‘je suis mort!’: c’est ce que dit la femme qui a fait tout l’après- midi des courses au Printemps, qui est allée chez son coiffeur, etc. Le renversement de la métaphore en lettre, précisément pour cette métaphore-là, est impossible: l’énonciation ‘je suis mort’, selon la lettre, est forclose (alors que ‘je dors’ restait littéralement possible dans le champ du sommeil hypnotique). Il s’agit, donc, si l’on veut, d’un scandale de langage. [...] Dans la somme idéale de tous les énoncés possibles de la langue, l’accolement de la première personne (Je) et de l’attribut ‘mort’ est précisément celui qui est radicalement impossible: c’est le point vide, la tache aveugle de la langue, qui le conte vient très exactement occuper44 (Barthes 1985: 351-352).

Se, come ha notato anche Stanzel, la narrazione postuma in terza persona non costituisce alcuna novità in campo letterario, quella in prima persona invece mostra dei tratti decisamente originali. Come spiega in “Sterben in der Ich-Form” [“Morire in Prima Persona”],

44 Trad. It.: “[v]i è qui [….] [una] messa in scena della parola impossibile in quanto parola: sono morto. [...] [Si tratta di uno] scandalo dell’enunciazione, [che] consiste nel rovesciamento della metafora nella lettera. Infatti è piuttosto banale enunciare la frase ‘sono morto!’: è ciò che dice la donna che è stata a fare spese tutto il pomeriggio ai grandi magazzini Printemps, che è stata dal parrucchiere, ecc. Il rovesciamento della metafora in lettera, nel caso di questa particolare metafora, è impossibile: l’enunciazione ‘sono morto’, secondo la lettera, è esclusa (mentre ‘dormo’ è letteralmente possibile nel campo del sonno ipnotico). Si tratta dunque, se vogliamo, di uno scandalo del linguaggio. […] Nell’insieme ideale di tutti gli enunciati possibili della lingua, l’accostamento della prima persona (Io) e

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[d]ie Schwierigkeiten, die sich bei der Darstellung des Todes eines Erzähler-Ich ergeben, haben die Autoren nicht davon abgehalten, die Ich-Form für die fiktionale Gestaltung dieser Grenzsituation zu wählen. Im älteren Roman ist es vor allem die Briefform, die dafür verwendet wird. Sie gestattet dem Autor, die intime Selbstdarstellung der Gedanken und Gefühle des dem Tode Geweihten bis an die äußerste Schwelle des Lebens zu bringen. Nach dem Tode ergreift dann, wie im Werther, ein auktorialer Erzähler in der Rolle des Herausgebers der Briefe das Wort, um die Geschichte su vollenden; oder aber die anderen Korrispondenten runden die Erzählung ab, wobei manchmal auch noch, wie in Clarissa Harlowe, der fiktionale Herausgeber der Briefe in die Erzählung eingreift. In allen diesen Fällen wird also der Ich- Erzähler nach seinem Tod durch andere Erzähler abgelöst45 (Stanzel 1982: 290).

In tempi più recenti, Lubomír Doležel ha fornito un primo tentativo di definizione del fenomeno; citando il romanzo breve di Bohumil Hrabal Ostře Sledované Vlaky [Treni strettamente sorvegliati, 1965] il critico propone il termine “‘text after death’ [...] for such narratives where the Ich-narrator narrates his or her own death. [...] Here we have reached the limits of narrating. Text after death is more than nonnatural, it is the product of a physically impossible act – of posthumous writing” (Doležel 1998: 159). Contestualizzato in questo dibattito critico, The Eye costituisce indubbiamente un testo che meriterebbe ulteriori studi dal punto di vista narratologico, dato il suo alto grado di sperimentazione.

Perché dunque non credere alle parole di Smurov riguardanti il suo suicidio? Se il suo intento era davvero, come hanno cercato di dimostrare gli studiosi che propongono un’ipotesi interpretativa più ‘naturale’, quello di sondare il problema dell’identità attraverso il punto di vista dell’‘altro’, per quale motivo avrebbe inscenato la sua morte? Perché una scelta tanto estrema? Con ogni probabilità, l’autore implicito (e il narratore) avrebbe potuto trovare più di una soluzione alternativa. Provando a seguire la logica proposta da Smurov, cambia significativamente la lettura della struttura del testo: pur mantenendo intatto l’impianto del romanzo nel romanzo, e non mettendo in dubbio la paternità di entrambi attribuita a Smurov, viene offerta al lettore la possibilità di una prospettiva non solo legata all’ ‘altro’ inteso come persona, ma anche allacciata ad una dimensione post-mortem. Oltre a mettere in campo il

45 Trad. It.: “[l]e difficoltà legate alla presentazione della morte dell’ ‘io’ narrante non hanno impedito agli autori di scegliere la narrazione in prima persona per la presentazione finzionale di questa situazione estrema. In questo ambito, il romanzo tradizionale usava soprattutto la forma epistolare, che permetteva all’autore di condurre l’auto-presentazione intima dei pensieri e dei sentimenti della persona morente fino alle soglie della vita. Dopo la morte, appare di solito un narratore autoriale nei panni del curatore, come nel Werther, al fine di completare la storia; oppure gli altri corrispondenti concludono la narrazione […] come in Clarissa Harlowe. In tutti questi casi, la narrazione viene continuata da altri narratori dopo la morte del narratore in prima persona”.

problema della morte dell’autore, questa circostanza offre lo spunto per qualche considerazione riguardo al genere letterario46. Seguendo la prima ipotesi, ‘naturale’, ci si troverebbe davanti ad una sorta di autobiografia del personaggio in cui è contenuto un resoconto finzionale, consolatorio, di pura invenzione. Prendendo invece in considerazione la lettura ‘unnatural’, si avrebbe invece la narrazione da parte di un deceduto che ripercorre retrospettivamente le tappe della sua esistenza, da un punto di vista ‘vivo’ e da un punto di vista ‘morto’, andando a costituire una sorta di obituary memoir, genere che peraltro Nabokov riprende nei suoi successivi romanzi, come in The Real Life of Sebastian Knight47. Pertanto, oltre a offrire un’originale interpretazione, questa lettura fornisce un prezioso anello di congiunzione volto a collocare in modo pertinente The Eye nel contesto della produzione nabokoviana.