I. 1 2 Il significato del postmoderno/postmodernismo
I. 3. Il postmoderno in ambito slavo
I. 3.1. Russia
Come testimonia il folto gruppo di pubblicazioni a riguardo, specie in area inglese e americana, il postmoderno dimostra di esser un concetto alquanto sfuggente e sul quale non è ancora stata raggiunta una base di accordo a livello critico. Giustamente Donatella Possamai nota che
il termine postmodernismo, pur essendo ormai invalso pressocché ovunque, mantiene un considerevole grado di opacità semantica, generata da una effettiva carenza signifi cante e dalla conseguente incapacità di produrre quelle rigide categorizzazioni di facile lettura e interpretazione a cui il modernismo ci aveva abituati. È proprio la mancanza, intrinseca al termine, delle forti polarizzazioni oppositive tipiche del modernismo (nuovo/vecchio, alto/basso etc.) a farlo apparire spesso quasi semanticamente vuoto. [...]Infatti, è semmai una summa di procedimenti letterari – intertestualità, double coding, frammentazione, alcuni dei quali peraltro già noti al modernismo –, la loro compresenza in proporzioni variabili all’interno di uno stesso testo, ad essere signifi cativa per il postmodernismo. (Possamai 2008: 299).
Nel caso della presente ricerca, la questione si rivela doppiamente problematica, poichè, oltre a definire cosa si intende con postmoderno in ambito Occidentale, bisogna considerare come questo concetto viene inteso nell’area slava. Su questo versante la situazione, se possibile, risulta ancor più spinosa rispetto a quanto visto sinora. Eccettuando la questione della definizione del fenomeno in base alle sue presunte caratteristiche, si riscontrano diversi ordini di problemi: anzitutto, come valutare la fase sovietica? In Occidente una simile complicazione naturalmente non si pone; in Russia, invece, questo elemento ha suscitato diverse discussioni. Dipendente da questo problema è anche una valutazione del cosiddetto modernismo, e dei rapporti che intrattiene con il postmoderno. Come vedremo, i teorici russi avranno diverse opinioni
in merito. Non si dimenticherà infine il ruolo della Chiesa ortodossa russa nel dibattito: per alcuni critici nazionalisti e ‘cristiani’, infatti, il termine postmoderno assume un valore peggiorativo. A questo proposito, si può menzionare la strenua opposizione al postmoderno portata avanti non solo dalla chiesa, ma anche da un intellettuale del calibro di Solženicyn.
Al di fuori del contesto d’origine, appare chiaro che il contributo russo alla letteratura postmoderna viene poco considerato: oltre al dominio incontrastato dell’analisi di testi in lingua inglese nei manuali di riferimento, si possono trovare anche altri esempi di una simile lacuna. Nell’Encyclopedia of Literature and Criticism (Coyle 1990), ad esempio, nella sezione dedicata ai profili delle letterature manca completamente il riferimento ad una qualsiasi nazione slava. Nel manuale International Postmodernism. Theory and Literary Practice (Bertens-Fokkema 1997), che si propone come uno studio aggiornato e onnicomprensivo dell’argomento, le situazioni russa e polacca vengono affrontate, ma in maniera estremamente superficiale. Tuttavia, questa pubblicazione ha il merito di prendere in considerazione il pensiero slavo in merito, cosa che ad esempio non fa Peter Carravetta nei suoi studi19. Ci si trova quindi di fronte ad una sorta di compartimenti stagni: se però nelle repubbliche dell’ex-Urss c’è grande interesse per il dibattito occidentale, il discorso contrario non trova riscontro nella realtà.
Il dibattito teorico in Russia, invece, è ben riepilogato nel volumetto di Donatella Possamai, Che cos’è il postmodernismo russo? (2000), in cui l’autrice riassume il pensiero dei principali attori del dibattito sul postmoderno. Di Possamai sono anche da segnalare i due interventi pubblicati sul forum della rivista “Studi Slavistici”: il più recente, “Postmodernismi a confronto” (2008) propone un istruttivo confronto tra il postmoderno in Russia e in Polonia, arrivando a formulare significative riflessioni su come un’ottica comparata possa giovare alla comprensione del fenomeno. Il secondo studio, invece, “Sulla critica del postmodernismo: spunti di riflessione” (2004) in maniera molto lucida riassume, a partire dalle distinzioni proposte da Ceserani, le varie tipologie di postmoderno in Russia, approfondendo in modo particolare la questione della ‘critica postmoderna’. Possamai mette in evidenza il problema terminologico legato ai vari postmoderno/postmodernismo/postmodernità, constatando che il loro uso assume significati decisamente diversi in un contesto russo rispetto a quello inglese o americano:
Per trovare una situazione almeno parzialmente analoga, nel caso della Russia, saremmo costretti a far slittare la postmodernità – e di conseguenza il postmodernismo, qualora lo considerassimo inevitabilmente legato ai cambiamenti socio-storici suddetti – di almeno trenta se non quarant’anni, portando così inevitabilmente il nostro fenomeno a coincidere con il postcomunismo. Un’operazione siffatta implicherebbe l’esclusione dal postmodernismo russo di innumerevoli espressioni culturali, tra cui quelle riconducibili al concettualismo degli anni Settanta, e cioè proprio una delle poche manifestazioni artistiche che tutti i critici concordemente fanno affluire nel diversamente inteso alveo del postmodernismo russo (Possamai 2004: 116).
La questione della datazione appare qui fondamentale: una distinzione solamente in termini temporali mette in evidenza lo ‘sfasamento’ della Russia rispetto alla situazione Occidentale, portando ad escludere dalla discussione sul postmoderno opere o movimenti significativi come il concettualismo moscovita degli anni Settanta. Un approccio migliore pare dunque quello di considerare il postmoderno come un fenomeno culturale, “[a]ssumendo cioè il postmodernismo come una categoria quasi metastorica diviene ammissibile che situazioni ambientali e politiche radicalmente differenti diano esiti non dissimili sul piano culturale” (Possamai 2004: 117). Questo porta Possamai a concludere che il postmoderno in Russia, come fenomeno artistico e letterario, abbia conosciuto almeno due fasi di sviluppo:
La ‘produzione’ postmodernista russa potrebbe essere quindi presa in esame suddividendola in due fasi: una prima fase di produzione ancora non pienamente consapevole di sé e più o meno precedente al crollo dell’Unione Sovietica e una seconda fase, posteriore, contraddistinta dalla cognizione della strumentazione artistica e da un impiego cosciente della summa dei procedimenti letterari tipici del postmodernismo (Possamai 2004: 118).
Nella presente ricerca si riterrà questa distinzione particolarmente valida; per una semplice volontà di coerenza rispetto alla scelta del testo inglese per l’analisi, le opere russe (sovietiche) e polacche prese in esame afferiranno alla ‘prima’ fase, ovvero agli anni Settanta e Ottanta. Inoltre, Possamai mette significativamente in evidenza lo stretto legame che unisce il postmoderno al modernismo in ambito russo, particolarità che lo differenzia ad esempio dalle esperienze americane e inglesi, come lo stesso Carravetta20 ammette: “[u]no dei tratti specifici del postmodernismo può essere a mio
avviso individuato proprio nella contemporanea presenza in uno stesso testo di molti procedimenti letterari già noti al modernismo” (Possamai 2004: 117).
Un probabile trait d’union fra postmoderno occidentale e slavo può essere ricercato nell’opera e nella fortuna di Vladimir Nabokov in Russia, come peraltro sostiene Yuri Leving nel suo recente saggio “Nabokov-7: Russian Postmodernism in the Search of the National Identity”, contenuto in Империа Н. Набоков и Наследники [Impero N. Nabokov e i suoi Eredi, 2006]. Questa posizione è ulteriormente dimostrata da altri studi critici. Sergej Kuznecov, in Postmodernism in Russia (1997), cita l’esempio di Nabokov come l’autore russo postmoderno più famoso e conosciuto in patria, in una fase storico-letteraria estremamente carente di traduzioni dall’Occidente21, in cui era inoltre particolarmente difficile far emergere la propria voce elaborando una poetica personale e non sanzionata dall’ideologia dominante. Kuznecov, nel suo rapidissimo e peraltro lacunoso resoconto, dipinge tuttavia un quadro piuttosto chiaro della situazione contrastata che viveva la Russia dell’Unione Sovietica.
Il dibattito sul postmoderno in ambito russo fiorisce, per ovvie ragioni, in seguito al crollo dell’URSS (dicembre 1991); nonostante ciò, prima di questo fatidico evento si può già notare una certa effervescenza degli studiosi russi, in primis Michail Berg, Michail Epštejn, Boris Grojs, Vjačeslav Kuricyn e Mark Lipoveckij. La diversità di approccio nei confronti del postmoderno tra questi teorici è notevole.
Berg, ad esempio, non si pone più di tanto il problema, arrivando persino a impiegare raramente il termine ‘postmoderno’. Per lui, infatti, la letteratura in generale, e non solo quella postmoderna, possiede la caratteristica ludica, ricalcando in un certo senso la posizione nabokoviana secondo cui la narrazione altro non è che una partita a scacchi tra l’autore e il lettore. Nel suo articolo “Новая Литература 70-80x”22 [“La Nuova Letteratura degli anni Settanta-Ottanta” 1990: 223], Berg individua tre correnti
in questione è che il Modernismo induce a parlare di Postmodernismo come se il secondo fosse una critica, una negazione, un rovesciamento, o in altri casi una frattura con il primo” (Carravetta 2009: 58). 21 Kuznecov si riferisce al periodo sovietico. Il problema della ricezione di Nabokov in Unione Sovietica è particolarmente delicato e complesso. Seguendo la periodizzazione proposta da Naum Leiderman e Mark Lipoveckij nel manuale Современная Русская Литература [La Letteratura Russa Contemporanea 2001], l’opera di Nabokov interessò inizialmente una ristretta cerchia di contemporanei (émigré, dunque lettori della sua produzione in lingua russa), per poi espandersi, in un secondo momento, in Occidente e in un altrettanto limitato gruppo di intellettuali in Unione Sovietica tra gli anni Sessanta e Settanta. Sarà invece nella Russia di Gorbačev, e successivamente in seguito al crollo dell’URSS, che i suoi romanzi avranno piena e libera diffusione in patria. A livello generale, è possibile affermare che le opere di Nabokov, e in particolar modo Lolita, avessero in Unione Sovietica una circolazione tutt’altro che trascurabile. Pur basandosi su dati soggettivi, estrapolati “on the basis of the readers one meets or hears about” (Proffer 1970: 256), Ellendea Proffer ha la netta impressione che “almost every person seriously interested in literature that one meets in the Soviet Union has read at least two works by Nabokov, and Lolita is almost always one of them. I am sure that even the most well-informed watchers of the Soviet literary scene would be surprised at the current popularity of Nabokov in the USSR” (Proffer 1970: 253).
letterarie ‘postmoderne’ distinguendole in base alle loro strategie: il ‘московский концептуализм’ (‘concettualismo moscovita’, anni Settanta); la ‘бестенденциозная (или постмодернистская) литература’ (‘letteratura non tendenziosa o postmoderna’); e la ‘неканонически-тенденциозная’ (‘letteratura tendenziosa non canonica’). Dalla loro comparazione, lo studioso riesce a far emergere le affinità e le divergenze, come spiega in questo metaforico passo:
Если металитература конституирует «конец литературы» и описывает состояние, когда здание литературы рухнуло, а бестенденциозная литература существует в состоянии разрушающегося здания литературы, своими интенциями помогая этому разрушению, то «неканонически тенденциозная» литература, ощущая, что здание литературы качается, продолжает достраивать его, прибегая к приемам наиболее устойчивого и безопасного строительства, возводя башни из слоновой кости, т. е. тексты, которые, по замыслу авторов, способны выстоять при любом землетрясении и катаклизме, не отказываясь при этом от традиций23 (Berg 1990).
Secondo l’approccio culturologico di Epštejn (1999), invece, il realismo socialista viene interpretato come fenomeno sostanzialmente postmoderno. Questa apparente semplificazione in realtà cela un ragionamento più complesso: secondo Epštejn il modernismo rappresenta la fase terminale della modernità (che inizia dal medioevo), mentre il postmodernismo segna l’inizio di una nuova fase, detta postmoderna (Epštejn 1999: 464). Tuttavia, ancora negli anni 2000 Epštejn scrive: “вообще дать четкое и однозначное определение постмодернизма трудно, во-первых, потому, что само это понятие еще только формируется и не успело отстояться и застыть для словарных дефиниций”24 (Epštejn 2000: 2). Nella sua introduzione il critico pone però l’accento sull’importanza di uno studio sul postmoderno in relazione all’esperienza russa, senza il quale sarebbe impossibile avere una definizione chiara del fenomeno; Epštejn sente l’esigenza di “определить понятие постмодернизма с учетом его российской специфики, без которой, на мой взгляд, вообще невозможно осмыслить историческую значимость этого феномена и его глобальные
23 Trad. It.: “[s]e la metaletteratura costituisce la ‘fine della letteratura’ e descrive lo stato quando l’edificio della letteratura è crollato, e la letteratura non tendenziosa esiste in una condizione in cui l’edificio della letteratura sta disintegrandosi, aiutando questa disintegrazione con le sue intenzioni, la letteratura ‘tendenziosa non canonica’ invece, pur sentendo che l’edificio della letteratura sta vaccillando, continua a costruirci sopra, ricorrendo ai procedimenti dell’edilizia più solida e sicura, elevando torri di avorio, cioè testi che nelle intenzioni degli autori sono capaci di resistere a qualsiasi terremoto e cataclisma, senza per questo rinunciare alle tradizioni”.
последствия”25 (Epštejn 2000: 2). Nel più recente articolo “Гипер- в культуре 20 в.: иронический переход от супер- к псевдо-. Кенотипы не менее значимы в искусстве, чем архетипы” [“L’iper- nella cultura del ventesimo secolo: il passaggio ironico dal super- allo pseudo-. Kenotipi non meno significativi nell’arte rispetto agli archetipi”, 2004] viene anche illustrato il concetto di ‘iper’, ovvero l’idea di eccesso, di travalicamento dei confini che è avvenuto nel corso del Novecento e soprattutto nel periodo sovietico. A sua volta, l’ ‘iper’ si suddivide in due ulteriori elementi: ‘super’ (ovvero l’esagerazione), e ‘pseudo’26; nelle parole di Epštejn,
гиперсоциальность, культивируемая в тоталитарных режимах,— это социальность, возведенная в политический и моральный императив, в степень абсолютного долженствования и именно поэтому ведущая к разрушению социальных связей, разобщению людей и ‘культу личности’. Гиперсоциальность — это суперсоциальность и одновременнопсевдосоциальность, т. е. такое усиление социального фактора, которое нарушает его собственную меру, подавляет развитие индивидуального, частного и, следовательно, обнаруживает мнимость самого социального27 (2004).
A mio avviso, i concetti di ‘iper-’ e ‘pseudo-’ saranno di fondamentale importanza per la comprensione di certe costruzioni di personaggio. Nel corso dell’analisi si incontreranno infatti personaggi all’apparenza ‘piatti’, ma estremamente ricchi (dunque, ‘iper’) dal punto di vista della caratterizzazione intertestuale. In altri, casi invece, i personaggi saranno privati delle loro caratteristiche principali, diventando una sorta di ‘pseudo’. Il discorso di Epštejn è inoltre fondamentale per la comprensione del concetto di ‘realtà’ in Unione Sovietica, nozione indispensabile per capire il modo in cui il personaggio ‘dissidente’ viola le norme sovietiche.
Rispetto ad Epštejn, Grojs tenta una posizione di mediazione, rintracciando nel postmoderno una serie di caratteristiche moderniste; Grojs dedica particolare attenzione al movimento concettuale di Mosca (anni Settanta; vedi Grojs 1979), definito ‘романтический’, ‘romantico’. La sua posizione si inserisce perfettamente in
25 Trad. It.: “definire il concetto di postmodernismo alla luce della sua specificità russa, senza la quale, a mio avviso, impossibile comprendere il significato storico di questo fenomeno e le sue implicazioni globali.
26 Su questi concetti si consiglia di consultare anche Epštejn (1995: 32–46), (2000: 14–33), (1988: 388– 392.).
27 Trad. It.: “l’iper-socialità, coltivata nei regimi totalitari, è una socialità, elevata ad un imperativo politico e morale, al grado del dovere assoluto, e proprio per questo motivo porta alla distruzione dei legami sociali, alla dissociazione delle persone e al ‘culto della personalità’. L’ ‘iper-socialità’ è ‘super- socialità’ e al contempo ‘pseudo-socialità’, cioè quel rafforzamento del fattore sociale che distrugge la sua stessa misura, sopprime lo sviluppo dell’individuo, del privato, e, pertanto, rivela la virtualità del sociale stesso”. L’articolo è visualizzabile online: http://www.topos.ru/article/2790
quella del mainstream: difatti, attualmente in Russia il termine postmodernismo si riferisce specificamente al concettualismo moscovita degli anni ‘70-’80, come rileva anche Michail Berg (Possamai 2000: 7); naturalmente, questa terminologia risale al periodo post-anni Novanta.
Kuricyn (2000), invece, separa nettamente il modernismo dal postmodernismo, liquidando la fase socialista come particolare forma di modernismo. Peraltro Kuricyn non traccia una linea netta di confine tra il postmoderno russo e quello occidentale, considerando il primo un caso particolare del secondo.
La posizione che corrisponde meglio alle aspirazioni del presente lavoro è quella di Lipoveckij (1997), che vede nel modernismo una sorta di incubatrice del postmodernismo, passando per la tappa obbligata del realismo socialista, il quale garantisce comunque la sopravvivenza del modernismo fino al completo sviluppo della crisalide-postmoderna. Proprio per questo motivo, secondo Lipoveckij, il postmoderno in Russia ha un significato essenzialmente diverso: se in Occidente il postmoderno nasce in opposizione al modernismo, in Russia accade il processo contrario; di qui l’inapplicabilità del termine. Lipoveckij individua nella pratica metafinzionale messa in atto da Vaginov, Charms e in seguito da Nabokov un modello che, successivamente, verrà assimilato dai postmoderni, Andrej Bitov e Saša Sokolov in primis attraverso la cosiddetta “semantica della morte” (2000). L’interpretazione di Lipoveckij fa emergere una serie di problemi che non si possono e non si devono tralasciare in uno studio sulle letterature delle repubbliche dell’ex-Unione Sovietica. È necessario anzitutto chiarire l’importanza e la portata delle avanguardie nella formazione del postmoderno. Nell’introduzione al libro di Possamai, Michail Berg sostiene infatti che “[l]a tradizione del modernismo, che era stata artificiosamente interrotta e rimpiazzata dal realismo socialista senza aver perso però attualità, ha rivendicato una naturale continuazione non appena ciò è stato possibile, cioè nei primi anni della perestrojka” (Possamai 2000: 8). Si può anche ricordare, a questo proposito, l’interesse dei surrealisti e prima di loro dei romantici per il frammento. Durante il modernismo, infatti, gli artisti utilizzavano ampiamente l’arma della difficoltà per proteggere i propri lavori da letture semplicistiche. Tuttavia, già nel 1862 Mallarmé si faceva alfiere di questa pratica:
L’heure qui sonne est sérieuse : l’éducation se fait dans le peuple, de grandes doctrines vont se répandre. Faites que, s’il est une vulgarisation, ce soit celle du bien, non celle de l’art, et que vos efforts n’aboutissent pas — comme ils n’y ont pas tendu, je l’espère — à cette chose, grotesque si elle n’était triste pour l’artiste de race, le poëte ouvrier.
Que les masses lisent la morale, mais de grâce ne leur donnez pas notre poésie à gâter.
Ô poëtes, vous avez toujours été orgueilleux ; soyez plus, devenez dédaigneux ! ([1862] Malarmé 2003: 363)
Nella Russia postrivoluzionaria viene messo in moto un processo simile: la difficoltà testuale viene inserita con lo scopo di mascherare l’opera d’arte, che senza questo tipo di accorgimento non sarebbe sicuramente in grado di attraversare le maglie della censura, che con il passare degli anni si infittiscono. Non appare dunque inutile includere, in uno studio sul personaggio postmoderno, o liquido, la trattazione di alcuni autori appartenenti al gruppo di avanguardia OBERIU, come Charms e Vaginov, risalendo indietro nel tempo fino addirittura ai racconti fantastici di Odoevskij. Il riferimento ad Odoevskij consentirà anche di discutere brevemente sull’influsso del fantastico sul postmoderno. Un’operazione di recupero simile a quella attuata nei confronti delle avanguardie potrebbe anche essere realizzata nei confronti della letteratura dell’emigrazione, a partire dai primissimi anni seguenti la Rivoluzione Russa.
Dei cinque critici russi qui velocemente passati in rassegna, ben tre risiedono all’estero e hanno pubblicato i loro studi prima in ambito accademico occidentale; oltre a questi, però, si possono trovare anche altri testi che riflettono sulle caratteristiche del postmoderno russo pubblicati in Russia. Skoropanova in Русская Постмодернистская Литература [La Letteratura Russa Postmoderna, 1999] fornisce una complessa e articolata disamina sui principali autori postmoderni russi e le loro opere più significative. Merežinskaja (2007) in uno studio analogo ad un’interessante analisi sulla situazione russa aggiunge anche la testimonianza di quanto accade in Ucraina.
Un altro indicatore utile si può riscontrare nella pubblicazione di un’enciclopedia dedicata, Пост-Модернизм, uscita nel 2001 per la casa editrice ‘Interpresservis’ (Minsk). È interessante notare che le voci sono quasi totalmente legate al dibattito occidentale: su Baudrillard, Barthes, Borges, Lyotard, e sulle loro opere, si possono facilmente trovare spiegazioni; stupisce invece che a Nabokov, Sokolov, Bitov, o critici russi del postmoderno come Kuricyn e Lipoveckij non sia stato concesso alcuno spazio. Nonostante l’evidente lacunosità, questa pubblicazione si può comunque leggere come un dato importante, poichè rappresenta ancora una fase ancora abbastanza giovane di circolazione del concetto e delle relative idee nello spazio post sovietico.