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III. METODOLOGIA UN NUOVO APPROCCIO: UNNATURAL NARRATIVE THEORY

III. 1. Considerazioni preliminari Il passaggio dalla narratologia classica alla

Dal punto di vista metodologico, l’approccio che pare più adatto per affrontare lo studio del personaggio letterario è quello fornito dalla narratologia, disciplina volta all’analisi delle strutture narrative che organizzano il testo. Tuttavia, all’interno di questo ramificato ambito convivono variegate tendenze anche molto diverse fra loro; si impone quindi un’ulteriore scelta, riguardante l’orientamento narratologico da utilizzare.

La panoramica sullo stato degli studi relativo al personaggio ha messo in luce un atteggiamento in merito sostanzialmente bifronte della narratologia classica: da un lato si tende a interpretare il personaggio come se fosse una persona in carne ed ossa, spiegando il suo agire attraverso griglie comportamentali ‘naturali’ perfettamente corrispondenti alle norme che regolano la realtà. Tale modello, fondato sul concetto di storytelling e di mimesi della vita reale, non può tuttavia evidentemente rendere giustizia a quell’insieme di insolite pratiche narrative che caratterizzano così fortemente il particolare gruppo di testi collocabili sotto l’etichetta del self-conscious novel postmoderno, opere in cui “bizarre storyworlds […] are governed by principles that have very little to do with the real world around us” (Alber, 2009a: 79). Come osserva anche Brian Richardson (2006: 1), nel corso del Ventesimo secolo gli autori incominciano ad alterare, manipolandolo in vario modo, il contratto mimetico che per secoli ha dominato il romanzo tradizionale; si arriva in certi casi persino a distruggerlo.

D’altra parte lo strutturalismo, nato in un quadro teorico ed epistemologico che demoliva alla radice qualunque idea di mimesi o referenza, riduce il personaggio ad una semplice funzione, decretandone la natura esclusivamente testuale. Lo strutturalismo ha dunque il merito di aver messo in evidenza la componente testuale del personaggio, staccandolo dalla predominante prospettiva ‘umanista’. Tuttavia, seguendo questo orientamento, si incontrano serie difficoltà nel render conto della complessità del personaggio: ragionare in termini di funzioni è troppo limitante e

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schematico. Come illustrare le differenze che separano, ad esempio, un personaggio ‘mimetico’ da uno ‘anti-mimetico’ se si perde il contatto con il mondo reale? Naturalmente, diventa impossibile stabilire una comparazione e, di conseguenza, individuare lo scarto. Inoltre, secondo Alber (2002: 101), i personaggi ‘anti-mimetici’, per quanto stravolti rispetto allo statuto mimetico, dovranno sempre necessariamente possedere almeno un tratto umano, per non rischiare di cadere nella trappola della zero narrativity preconizzata da David Herman in Story Logic (2004).

Quando si ha a che fare con testi che trasgrediscono o rifiutano apertamente le convenzioni, servendosi di strategie inusuali e innovative, occorrerà adottare uno sguardo ‘postmoderno’, come suggeriscono Niall (1997), Richardson (2006: 56) e Alber (2009a). Anche Henrik Skov Nielsen sente il bisogno di una nuova teorizzazione che si discosti in maniera drammatica dalle precedenti:

[i]t would seem that an important task for narrative theory is to develop models that account for the specific properties of storyworlds, of experientiality, and of representations and narratives that resist description and understanding based on linguistic understandings of natural, oral communication (2010: 299).

L’affermazione di Nielsen acquista ancor più rilevanza se si tiene in considerazione il fatto che “postmodernist narratives move beyond real-world possibilities in a wide variety of ways” (Alber 2009a: 93). Per rendere conto di questa varietà di espedienti letterari, nel contesto della narratologia postclassica sono stati sviluppati una serie di approcci che affrontano l’argomento partendo da presupposti diversi; fra questi vale la pena ricordare l’ipotesi interpretativa avanzata da Monika Fludernik per una ‘natural’ narratology.

In sintesi, l’utile teorizzazione di Fludernik, apparsa nel volume Towards a ‘Natural’ Narratology (1996), prende le mosse dalla nozione di ‘experientiality’ (‘esperienzialità’), sostenendo che ogni narrazione è da considerarsi sempre ‘naturale’, in quanto saldamente ancorata alle situazioni vissute quotidianamente dall’individuo e alle sue connaturate strutture ricettive (‘frameworks’) utilizzate per l’interpretazione di tali eventi (‘human embodiedness’). In altre parole, un autore non può parlare di qualcosa che non abbia in qualche modo un rapporto, seppur remoto, con il mondo reale. Indubbiamente, una simile revisione del concetto di ‘narrazione’ presenta discreti vantaggi, come rilevano anche Jan Alber (2002: 67) e Brian Richardson (2006: 135), dal momento che permette di riportare al centro dell’interesse una serie di testi sperimentali altrimenti marginalizzati dalla narratologia classica, opere che riacquistano senso poiché soddisfano pienamente il requisito di experientiality.

Commentando il pensiero di Fludernik, Lieske (1998: 374) osserva che questo particolare tipo di prose non è da considerarsi ‘naturale’ nella sua funzione di riproduzione esemplare della realtà vissuta (come si è erroneamente portati a credere ad una prima, superficiale lettura), ma nella sua intrinseca anticipazione, a livello di gioco linguistico, del lavoro che compirà il lettore nel tentativo di interpretare il testo in termini mimetici. I romanzi sperimentali, come ad esempio Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) di Italo Calvino, andrebbero dunque letti in termini di “intertextual play with language and with generic mode” (Fludernik 1996: 35). Fludernik sostiene inoltre che è possibile avvicinarsi a opere difficilmente comprensibili tramite un percorso di ‘narrativization’ (‘narrativizzazione’)1, una sorta di ‘standardizzazione’ degli elementi problematici secondo le naturali categorie cognitive umane che renderebbe l’esperienza della lettura più accessibile2.

Tuttavia, nel suo articolo “The ‘moreness’ or ‘lessness’ of ‘natural’ narratology: Samuel Beckett’s ‘Lessness’ reconsidered – Critical Essay”, Alber sostiene che

[w]here language has become pure language, structured by a machine, or free-floating in Derrida’s sense, disembodied from the speaker, context, and reference, both human experience and Fludernik’s concept of narrativization by means of human experience become redundant (2002: 70).

Qui Alber dimostra in maniera convincente in che modo un testo come “Lessness” (“Sans”, 1970) di Samuel Beckett perda, se ‘narrativizzato’, alcune delle sue caratteristiche principali, in primis il caos ontologico, elemento che McHale (1987: 9- 11) considera costitutivo dei testi postmoderni3. Se quindi da un lato compiere un atto di ‘normalizzazione’ sicuramente facilita la comprensione4, dall’altro una simile operazione appiattisce completamente gli aspetti più interessanti dell’opera,

1 Cfr. il concetto di ‘naturalization’ proposto da Jonathan Culler in Structuralist Poetics: “[n]aturalization proceeds on the assumption that action is intelligible, and cultural codes specify the forms of intelligibility” (2002: 167).

2In “Impossible Storyworlds – and What to Do with Them” (Storyworlds. A Journal of Narrative Studies, 1, 2009a: 79-96), Jan Alber propone cinque strategie interpretative che il lettore può utilizzare quando si trova di fronte ad un testo altamente sperimentale; queste tecniche di lettura sono distinte in base alla vicinanza (o lontananza) del mondo fittizio rispetto a quello reale. Riassumendo, gli scenari che si configurano potranno essere spiegati tramite: 1. sogni, fantasie, allucinazioni; 2. conoscenze letterarie pregresse, da un punto di vista tematico; 3. una lettura allegorica di quanto raccontato; 4. costituzione di nuovi schemi interpretativi, risultanti dall’unione di due precedentemente noti; 5. come al punto 4., creazione di nuovi schemi interpretativi da più modelli precedentemente noti.

3 Nonostante critichi apertamente l’ipotesi interpretativa di Fludernik nel suo articolo del 2002, stranamente Alber pubblica, nel 2009a, un altro articolo in cui, invece, prova a teorizzare alcune tecniche

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cancellando criticamente quelle innovazioni tecniche e stilistiche che potrebbero aprire la via per il futuro della letteratura.

In tempi recenti la teoria di Fludernik ha trovato una decisa resistenza proprio a causa del perno attorno al quale ruota, il concetto di esperienzialità, specialmente se applicato a narrazioni estreme, prevalentemente di matrice postmoderna. Infatti in queste opere, come ad esempio nel racconto di Beckett preso in esame da Alber, è implicita una carica destrutturante e destabilizzante che rifiuta manifestamente qualsiasi legame con il mondo reale, in ogni sua forma. Anche se decisamente suggestiva, l’idea di interpretare un testo sperimentale come ‘naturale’ per il semplice fatto che, in un certo senso, anticipa nella sua struttura anomala l’esperienza del lettore (e ciò non sempre accade), perde di vista il punto centrale, se si vuole anche la bellezza, di questo tipo di romanzi, che risiede invece proprio nelle inusuali strategie narrative impiegate. Infine, il fatto di voler includere praticamente qualunque testo all’interno di un modello unificato di narrazione costituisce un ultimo atto di appiattimento delle sue caratteristiche originali: di conseguenza, la teorizzazione di Fludernik diventa eccessivamente ampia e quindi svuotata di significato.

Un’opera letteraria è veramente sempre, inevitabilmente legata all’esperienza umana? Questo punto è decisamente opinabile. Sicuramente, definire quantitativamente il grado di contatto di una narrazione con il mondo reale, o se effettivamente esista, è un problema che rimane aperto. Nonostante ciò, se il testo indica chiaramente una direzione che non è quella di una lettura ‘naturale’, sarà quantomeno più corretto rispettare le ‘regole del gioco’, invece che snaturarne il senso. Pertanto, ci si dovrebbe piuttosto concentrare “on the text’s otherness, on its monstrosity, on the role of chance and chaos” (Alber 2002: 70), come propone anche Gibson (1997: 259). È proprio in questa crepa teorica della natural narrative theory che si inserisce un innovativo approccio, e cioè la cosiddetta unnatural narrative theory.