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V. 2 (Due?) Romanzi allo specchio

V. 7. Autocancellazione? A mo’ di conclusione

Smurov, nome privo di significato in lingua inglese, deriva dal tema-base lessicale russo ‘смур’ (‘smur’), che significa fosco, indistinto, fantasmatico, vago; il Словарь Синонимов [Dizionario dei Sinonimi, 1975] identifica come sinonimi dell’aggettivo ‘смутный’ i termini ‘туманный’, (tempestoso) e ‘темный’ (scuro), ma anche ‘неясный’ (non sincero). Il Словарь Морфем Русского Языка [Dizionario dei Morfemi della Lingua Russa, 1986], invece, illustra chiaramente, oltre alla radice, i composti da essa derivabili:

Radice: смур смур – ый Па - смур - ь

Па - смур – н – ый (nuvoloso, nebuloso, fosco, in relazione al tempo; fosco, cupo, tetro, di persona)

Па - смур – н – ост – ь (nuvolosità, foschia)

È interessante notare come i composti di ‘смур’ preceduti dal prefisso aggettivale/nominale ‘па-’ (‘pa-’) hanno tutti a che vedere con condizioni meteorologiche che prevedono nebbia, foschia, elementi che suggeriscono fortemente un senso di indeterminatezza; similmente, gli aggettivi ‘смурной’, ‘смурый’, riferiti a persone, mantengono lo stesso significato dei composti, come mostrato sopra. Spingendo il ragionamento oltre, si può pensare che, in condizioni climatiche in cui prevale la nuvolosità, la foschia e la nebbia, ci sia un’alta probabilità di pioggia.

L’elemento piovoso, non a caso, è predominante; spesso infatti viene reso noto che nei suoi movimenti Smurov incontra spesso questa condizione avversa. Vale la pena notare, in questo frangente, che la pioggia è un fenomeno atmosferico che, per sua natura, è collegabile all’acqua, e dunque ad un senso di liquidità che, come mostrato poc’anzi, caratterizza marcatamente il protagonista. Inoltre, si può aggiungere che in condizioni climatiche di questo tipo prevale un colore del cielo grigio, che a sua volta richiama i significati attribuiti alla radice ‘смур’.

Un ulteriore spunto di riflessione in relazione a Smurov potrebbe derivare anche dal fatto che il suo nome e il suo patronimico non vengono mai rivelati; si sa solo il suo cognome. In maniera pertinente, Marianne Gourg (1993) sottolinea l’importanza di questo aspetto se rapportato al nome di un altro personaggio, Roman Bogdanovič, del quale si conoscono invece nome e patronimico. Questi due personaggi sembrano essere complementari, non soltanto per una questione prettamente onomastica, ma anche ad un livello più profondo. Roman, infatti, in russo non è solo un nome proprio, ma significa anche romanzo; si ricorderà a questo proposito che Smurov è uno scrittore. In aggiunta a questo elemento, si può considerare il patronimico: Bogdanovič deriva dalla radice ‘бог’ (‘bog’), che vuol dire Dio; questo significato rispecchia perfettamente l’essenza quasi ‘divina’ che le figure coinvolte nell’attività letteraria hanno agli occhi di Nabokov. In conclusione, si può supporre che l’identità dell’ ‘Io’ smuroviano sia in realtà composto da una fusione dei due personaggi.

Queste immagini indeterminate, dai contorni decisamente sbavati, portano a toccare un ultimo punto rilevante nell’ambito della presente discussione, ovvero la dicotomia presenza-assenza. I riferimenti a fantasmi, a vaghe entità sovrannaturali permeano l’intero tessuto narrativo, connotandolo; il narratore sostiene di esser morto e di frequentare il salotto della famiglia émigrée russa sottoforma di fantasma. Tuttavia, in alcuni punti, sembra ritornare in tutta la sua consistenza: “I grew heavy, surrendered again to the gnawing of gravity, donned anew my former flesh, as if indeed all this life around me was not the play of my imagination, but was real, and I was part of it, body and soul” (Nabokov 2010: 69). In aggiunta agli elementi visivi del testo, va considerata anche la sua componente ‘sonora’: la voce del narratore, unitamente alla coralità degli altri personaggi, sopperiscono alla mancanza di una corporeità fondo. Come una bolla vuota, l’assenza del personaggio regge l’intera impalcatura del romanzo; celata dietro alla sua stessa scrittura e ri-scrittura, sembra esserci un gesto di auto-cancellazione volto ad una nuova creazione. Una decostruzione dall’interno per ripartire da zero con una nuova illusione, che costantemente punta a mostrare la sostanziale inconoscibilità del personaggio: “[a]fter all, you don’t know me... But

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Fig. 1. Schema di derivazione dei titoli (russo e inglese).

Fig. 2. “The Eye’s Hall of Mirrors”: schema dei personaggi-specchio proposto da D. B. Johnson (1985a: 334). Gljadet’ So – gljad – ataj (significato) Eye (omofono) Aj (omofono) (specchio) I Ja (significato)

VI – UN ANELLO ATTORNO ALLO ‘ZERO’ DEL PERSONAGGIO. I ROMANZI

IN LINGUA INGLESE

VI. 1. Introduzione

The Real Life of Sebastian Knight (1941) si colloca al centro del momento di passaggio verso l’inglese come lingua ufficiale di composizione letteraria; questo testo costituisce dunque un terreno privilegiato per l’analisi, volta a mettere in luce la natura liquida del personaggio. Come nota acutamente Dale Peterson (2008), in “[a]n odd mixture of mischief and melancholia, the novel stands bravely at the beginning of a new career path […] With his usual deliberation and composure, Nabokov undertook the daunting task of transporting a distinctive literary persona into a foreign environment, translating a defunct Russian artist into a lively new tongue”1. Questo trasferimento, prosegue il critico, ha reso necessaria la scelta di una determinata forma romanzesca, quella dell’ ‘obituary memoir’. L’aderenza a questo genere si può già notare in superficie, a livello della trama, che ruota attorno alla figura di V., un piccolo commerciante che per la prima volta si cimenta senza successo in un’impresa letteraria: la scrittura di una biografia attendibile del fratellastro prematuramente scomparso, un poeta dal grande genio e talento artistico. Il pretesto per la nascita del romanzo di V., rigidamente incastonato nell’opera di Nabokov per mezzo di un’elegante mise en abyme, è dato dalla “falsa” biografia redatta dal suo rivale, Mr. Goodman, il segretario di Sebastian Knight. In questo senso, il libro stesso, contemporaneamente raccontato (immateriale) e fisicamente nelle mani del lettore (materiale), rappresenta un passaggio di testimone: Knight, il brillante poeta fatalmente deceduto prima del dovuto, al culmine delle sue capacità creative, lascia alle sue spalle un ultimo lavoro incompiuto, una biografia fittizia su un tale ‘Mr. H.’. Cede inoltre il passo al fratellastro, un personaggio caratterizzato da una profonda insicurezza nei confronti di questo nuovo compito che si sente in dovere di svolgere. Una galleria caleidoscopica di personaggi galleggia attorno la ricerca senza speranza di V., che sembra perdersi in un

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labirinto ricco di silenzi, informazioni errate, incontri con personaggi apertamente bugiardi o precedentemente irreperibili.

Sin dalle prime battute, nonostante un incipit sembri tener fede alle convenzioni del genere inaugurate nel mendace titolo, il lettore attento inizia ad esperire, attraverso le macerie della ‘real life’, la disillusione delle proprie aspettative: non sta infatti leggendo un libro su Sebastian Knight, ma tutt’altro. Significativamente, come sottolinea nel suo В. Набоков. Авто-биография [V. Nabokov. Avto-biografija] Marija Malikova il romanzo è il risultato della transizione dalla biografia all’ autobiografia (2000).

La domanda centrale attorno alla quale sembra ruotare la narrazione non è tanto chi era Sebastian Knight (come ci si aspetterebbe dal titolo del libro, che si inserisce nella cornice del genere biografico), ma “who is speaking of Sebastian Knight?” (Nabokov 2001: 44). Nel porre questo problema al centro del romanzo, Nabokov sottolinea la questione della creazione di un’opera utilizzando gli strumenti della metafinzionalità. Il mestiere di scrittore assumerà quindi una rilevanza particolare nel caso di una mise en abyme autentificatrice (seguendo la terminologia offerta dalla classica partizione proposta da Dällenbach, 1977), quella particolare figura che ha come soggetto l’artista intento a comporre la sua opera. Brian Stonehill (1988) ricorda come la messa in evidenza dell’atto della creazione del romanzo sia cruciale per il ‘genere’ del self- conscious novel postmoderno, mentre McHale (1987: 198) riconosce questa immagine come una sua caratteristica imprescindibile:

In an effort to stabilize this dizzying upward spiral of fictions, metafictions, meta- metafictions, and so on to infinite regress, various postmodernist writers have tried introducing into their texts what appears to be one of the irreducibly real reality in their performance as writers – namely, the act of writing itself. Thus arises the postmodernist

topos of the writer at his desk, or what Ronald Sukenick has called ‘the truth of the page’.

Parallelamente alla decostruzione del genere e delle aspettative del lettore procede il lavoro fatto sulla costruzione del sistema dei personaggi. La struttura en abyme, che crea una confusione di livelli ontologici, avrà significative ripercussioni sui personaggi, creando un infernale teatrino di specchi simile a quello precedentemente imbastito in The Eye. Il lettore, che si aspetta una monografia di ampio respiro, in cui ogni pagina viene completamente imbevuta nella rappresentazione mimetica del pensiero e della figura del grande artista, si troverà di fronte ad un’opera in cui i personaggi mettono in scena il mito platonico-solov’eviano della perdita della propria metà ideale, resa

ulteriormente complessa dall’intricato sistema di riferimenti intertestuali che si giocano al livello dell’ ‘unità minima’ costituente il personaggio, il nome.