Lo stretto vincolo che lega Flaubert all’animale si ripropone in chiave intertestuale: esiste infatti un intimo nesso tra l’autore (Flaubert) e il suo personaggio (Loulou) che, se nella vita reale erano collocati in due mondi fisicamente separati, in questo universo finzionale sono uniti in un unico livello diegetico. L’impalpabile consistenza dell’immagine di Flaubert viene bilanciata sia dalla vertiginosa moltitudine di oggetti reali (i pappagalli impagliati), sia dalla presenza del personaggio da lui creato, Loulou. Il nome assegnato al volatile è indubbiamente rivelatorio, in quanto contiene un’evidente ripetizione che riproduce en abyme la sua caratteristica peculiare, quella della riproduzione del linguaggio umano. L’elemento della ripetizione, che svolge un importante ruolo a livello intertestuale, caratterizza il personaggio principalmente dal punto di vista linguistico: è infatti solo attraverso citazioni tratte dai suoi scritti che Flaubert personaggio è autorizzato a parlare all’interno del romanzo. In questo oceano di parole, dove si (con)fondono dettagli pertinenti e non alla narrazione, il pappagallo assume una ben più importante funzione: “to Félicité, it
22 “Gustave was the bear” (Barnes 2009: 49). Si arriva a determinare addirittura la specie, in un divertente gioco di assonanze: “Exactly what species of bear was Flaubert? [...] white bear, thalassarctos
maritimus. [...] The maritime bear” (Barnes 2009: 52).
was a grotesque but logical version of the Holy Ghost; to me, a fluttering, elusive emblem of the writer’s voice” (Barnes 2009: 182-183). Il pappagallo è dunque Logos, o, come sostiene Silvia Albertazzi, ripetendo “i suoni senza comprenderli, è Parola allo stato puro, ma anche figura della passività dello scrittore nei confronti del linguaggio” (1992: 62). Non a caso, l’animale in apertura viene definito “Pure Word” (Barnes 2009: 18). Il pappagallo funge però anche da specchio attraverso il quale si riflette, distorcendosi, l’immagine dell’autore: “I imagine Loulou sitting on the other side of Flaubert’s desk and staring back at him like some taunting reflection from a funfair mirror. [...] Is the writer much more than a sophisticated parrot?” (Barnes 2009: 18). Oltre ad essere “[p]resenza parodica per eccellenza nell’universo flaubertiano” (Albertazzi 1992: 62), l’animale è una grottesca immagine alterata dell’autore allo specchio.
Seguendo il filo interpretativo proposto da Braithwaite, la caratterizzazione intertestuale diventa esprimibile attraverso un’operazione matematica: “Félicité+Loulou=Flaubert? Not exactly; but you could claim that he is present in both of them. Félicité encloses his character, Loulou encloses his voice” (Barnes 2009: 18). Flaubert, strappato dal contesto reale24, diventa personaggio in un’architettura finzionale che lo pone allo stesso livello dei personaggi originariamente appartenenti ad altre narrazioni. Il pappagallo LouLou del racconto “Un Cœur Simple” connota il personaggio ‘Flaubert’ tramite l’uso della parola; l’eroina dello stesso racconto, Félicité, invece, collabora alla caratterizzazione fornendo l’aspetto caratteriale. Il contributo della protagonista flaubertiana è però in un certo senso incoerente. Da un lato, dimostra di possedere una serie di caratteristiche comuni con il suo autore: “[f]or instance, there are submerged parallels between the life of the prematurely aged novelist and the maturely aged Félicité” (Barnes 2009: 17). Saranno anche le circostanze della vita ad unirli: secondo il racconto di Flaubert, tutte le persone che Félicité ama sono morte o la abbandonano: alla fine le rimane solo il pappagallo, esempio perfetto di “Flaubertian grotesque” (Barnes 2009: 17), che, una volta morto, viene impagliato per ‘continuare a vivere’. Allo stesso modo la vita di Flaubert è contrassegnata da continue morti e abbandoni; in un’ipotetica curva grafica, la linea degli amori di Flaubert tenderà inesorabilmente allo zero, come risulta anche dalla seconda cronologia proposta ad inizio romanzo.
D’altro canto, però, il narratore afferma che “Félicité is the complete opposite of Flaubert: she is virtually inarticulate” (Barnes 2009: 17-18). Di conseguenza, l’identificazione di Félicité con Flaubert, giustificata tra l’altro anche dall’iniziale in
24 La narrazione è infatti ambientata in un contesto finzionale, non si tratta di una biografia fedele in cui il personaggio Flaubert avrebbe dovuto esser rappresentato in modo inevitabilmente mimetico.
comune “F”, poterà quindi alla creazione di una serie di immagini incongruenti dominate dall’illusione del rovesciamento, prerogativa dello specchio: ad esempio, si può verificare un’inversione del genere di appartenenza, da quello maschile a quello femminile.
Attraverso l’uso della ripetizione di dettagli e scene, il personaggio Flaubert viene messo in rapporto di comunicazione anche con la sua più famosa protagonista, Madame Bovary: “Emma holds its head and kisses it (as Gustave had done to Nero/Thabor): the dog has a melancholy expression, and she talks to it as if to someone in need of consolation. She is talking, in other words (and in both senses), to herself” (Barnes 2009: 63). Allo stesso modo viene rappresentato Flaubert, in un’ironica scena che vede la sostituzione dell’amata Elisa Schlesinger con il suo cane: “he would whisper in the shaggy ear of Nero (or Thabor) the secrets he longed to whisper in the ear that lay between the muslin dress and the straw hat” (Barnes 2009: 61). Il paragone tra Flaubert e Madame Bovary viene poi ripreso in maniera incisiva poche pagine dopo, mostrando al lettore il legame che unisce arte e vita, persone in carne ed ossa e personaggi di carta. Più precisamente, si fa riferimento al mezzo di trasporto utilizzato da Flaubert per spostarsi e da Emma per tradire il marito: “[t]hus, he maintained his chastity by using a device he would later employ to facilitate his heroine’s sexual indulgence” (Barnes 2009: 68).
Oltre all’uso di personaggi provenienti da diversi universi finzionali, la caratterizzazione del personaggio Flaubert si nutre di un diverso tipo di intertestualità, dove per ‘testo’ si intende anche la narrazione storica. La rigida distinzione temporale si dissolve per consentire la costruzione di un ponte tra figure disparate, come quella del grande Guglielmo il Conquistatore (1028-1087), caduto su quel campo di battaglia che qualche secolo più tardi diventerà lo scenario degli incontri amorosi tra lo scrittore e Louise Colet: “[i]t was at the capture of Mantes that William the Conqueror fell from his horse and received the injury from which he later died in Rouen” (Barnes 2009: 109). Inoltre, in una fantasticheria del narratore, Flaubert viene paragonato al generale greco Epaminonda (418 a.C. – 362 a.C):
Epaminondas was a Theban general, held to be living proof of all the virtues; he led a career of principled carnage, and founded the city of Megalopolis. As he lay dying, one of those present lamented his lack of issue. He replied, ‘I leave two children, Leuctra and Mantinea’ – the sites of his two most famous victories. Flaubert might have made a similar avowal – ‘I leave two children, Bouvard and Péuchet’ (Barnes 2009: 104).
Accanto a queste figure valorose trova spazio anche un paragone con il grande illuminista François-Marie Arouet, meglio noto con lo pseudonimo di Voltaire (1694- 1778):
VOLTAIRE
What did the great nineteenth-century sceptic think of the great eighteenth-century sceptic? Was Flaubert the Voltaire of his age? Was Voltaire the Flaubert of his age? ‘Histoire de l’esprit humain, histoire de la sottise humaine.’ Which of them said that? (Barnes 2009: 158).
In questo mirabolante gioco in cui le sonorità liquide contenute nei nomi si fondono fluidamente viene accentuata l’intercambiabilità delle due figure, che sembrano rispecchiarsi l’una nell’altra.
Anche altri personaggi in Flaubert’s Parrot sono costruiti facendo ricorso all’intertestualità, come nel caso di Ellen, la moglie di Braithwaite. Attraverso continui salti temporali e spaziali si delinea l’immagine di un personaggio costantemente in debito (nell’uguaglianza come nella dissimilarità) con la figura di Madame Bovary:
[d]id she display the cowardly docility which Flaubert describes as characteristic of the adulterous woman? No. Did she, like Emma Bovary, ‘rediscover in adultery all the platitudes of marriage’? We didn’t talk about it. [...] Did she find, in Nabokov’s phrase, that adultery is a most conventional way to rise above the conventional? I wouldn’t have imagined so: Ellen didn’t think in such terms25 (Barnes 2009: 164).
In questo brano, Ellen sembra esser caratterizzata per contrasto rispetto all’eroina flaubertiana; tuttavia, pur mantenendo le proprie peculiarità26, i due personaggi arrivano a somigliarsi in maniera significativa: non soltanto condivideranno le medesime iniziali, E. B., ma anche le vicissitudini della vita privata. Ellen ha infatti un amante con il quale tradisce il narratore, il quale a sua volta si immedesima in Charles Bovary. A proposito della figura Braithwaite, vale la pena notare che, nonostante il sentimento di reverenza27 che lo separa da Flaubert, egli intreccia fertili
25 Qui Barnes si riferisce allo studio di Nabokov Lectures on Literature (1981), in cui il terzo capitolo è dedicato a Madame Bovary.
26 Il paragone per contrasto si protrarrà fino a p. 165.
27 All’inizio del romanzo, a Croisset, nella stanza di Flaubert Braithwaite arriva persino ad inginocchiarsi: “The items on display were so poorly arranged that I frequently had to get down on my knees to squint into the cabinets: the posture of the devout, but also of the junk-shop treasure-hunter” (Barnes 2009: 20). Invece, nel decimo capitolo, intitolato “The Case Against”, il narratore si comporta come un avvocato difensore, chiamando il suo personaggio “my client” (Barnes 2009: 130 e segg.). Qui, ad una serie di affermazioni su Flaubert volte generalmente a metterlo in cattiva luce, Braithwaite si sente spinto alla difesa poiché considera l’ammirazione per lo scrittore favorito come la forma più pura
corrispondenze non solo con personaggi di altri romanzi, ma con il suo stesso oggetto del desiderio, divenuto improvvisamente raggiungibile tramite il dispositivo della ripetizione: “I was reading that Flaubertian exclamation the other day. It made me feel like a stone statue with a patched upper thigh” (Barnes 2009: 13). Significativamente, poche righe prima, Flaubert era stato descritto attraverso le caratteristiche di una delle sue statue: “At Trouville Flaubert’s upper thigh has had to be patched, and bits of his moustache have fallen off: structural wires pocke out like twigs from a concrete stub on his upper lip”28 (Barnes 2009: 12).
Nonostante l’uso dell’intertestualità si sia dimostrato così proficuo nella caratterizzazione dei personaggi, si può rintracciare all’interno del romanzo un’opinione discordante in merito:
[t]here shall be no more novels which are really about other novels. No ‘modern versions’, reworkings, sequels or prequels. No imaginative completions of works left unfinished on their author’s death. Instead, every writer is to be issued with a sampler in coloured wools to hang over the fireplace. It reads: Knit Your Own Stuff” (Barnes 2009: 99).
Se Braithwaite potesse dettare regole di censura, questo sarebbe uno dei primi provvedimenti elencati nella sua ipotetica lista. Si tratta però di un giudizio del narratore, che si pone in aperto contrasto con la geometria del romanzo, sapientemente congegnata attraverso minuziosi rimandi intertestuali. In questo caso, si può parlare di un’affermazione molto auto-ironica: se da un lato sembra essere in aperta polemica con le modalità di costruzione del romanzo postmoderno, dall’altro Barnes, attraverso il narratore, costruisce l’impalcatura della sua opera proprio a partire dal principio del collage e dell’assemblaggio. Dalla combinazione creativa nascerà l’opera, che mette a nudo i propri metodi costitutivi facendo risaltare la propria concretezza materiale. In questo modo, il nuovo ‘originale’ fornirà un punto di vista inconsueto su questioni ormai consolidate. Se si prendono in considerazione le opinioni di Barnes sulle influenze letterarie si può riscontrare una certa continuità con quanto espresso nel romanzo. L’interesse di Barnes è quello di produrre opere inedite, ma ancora una volta ricorre alla dissimulazione, negando di utilizzare quella che è la tecnica alla quale ricorre più spesso, l’intertestualità:
d’amore: “With a writer you love, the instinct is to defend. [...] [P]erhaps love for a writer is the purest, the steadiest form of love. And so your defence comes the more easily” (Barnes 2009: 127).
I can identify quite clearly the influences that inhabit and overwhelm some of my contemporaries. X is an echo chamber of the famous; Y is a glove-puppet operated by grownup fingers. But in order to write what I do I have to convince myself, first, that I have never before written a novel like the one I am about to undertake; and, second, that no one else in the history of literature has ever done so, either. Otherwise there would be no point in starting. This is doubtless naïve, and probably vain, but it is a necessary and continuing self-deception. Consider the alternative: if you saw your books, as some critics later, uselessly, will, in recipe terms (two cups Flaubert, a grinding of Wharton, a tablespoon of Ford Madox Ford, one egg, and a pinch of “Monty Python” baking powder), you would never go near the stove in the first place…. Such authors are both your masters and your fellow-students; sometimes they daunt, sometimes they encourage. But their true influence is to say, simply and repeatedly, across the years: Go thou and do otherwise29 (Barnes 2000: 114).
Si può quindi concludere che la caratterizzazione del personaggio30 è marcatamente artificiale passando attraverso fitti ingranaggi che spogliano la figura di carta della illusione realistica. In epoca ‘postmoderna’ la rappresentazione mimetica sembra ormai giunta al capolinea; non è necessario sapere ogni cosa sul personaggio, creerebbe solamente confusione:
[w]hat do we need to know? Not everything. Everything confuses. Directness also confuses. The full-face portrait staring back at you hypnotises, Flaubert is usually looking away in his portraits and photographs. He’s looking away so that you can’t catch his eye; he’s also looking away because what he can see over your shoulder is more interesting than you shoulder (Barnes 2009: 102).