• Non ci sono risultati.

La convinzione erronea, ma tuttavia tradizionale, che genera le aspettative appena menzionate, per cui un personaggio letterario debba essere in primis una copia plasmata direttamente dall’originale essere umano, è stata aspramente criticata a partire dallo strutturalismo, e in seguito durante la fase poststrutturalista. Già nel 1933 Knights, nel saggio dal provocatorio titolo How many Children had Lady Macbeth?, aveva ridicolizzato la tendenza propria della critica britannica di trattare i personaggi letterari come rappresentazione di persone reali. L’attacco ad una concezione mimetica del personaggio può tuttavia comportare una sorta di riduzione, che in certi casi arriva persino alla cancellazione della nozione: nell’ambito delle teorie anti-mimetiche il personaggio viene infatti teorizzato come un’unità testuale, grammaticale, lessicale o tematica. Questo nome, costituito da un grumo di lessemi, viene preso in considerazione unicamente in virtù del suo ruolo, per la funzione che svolge nella creazione di un determinato effetto estetico, semplice elemento in una complessa architettura retorica. A livello tematico, il personaggio non è altro che un exemplum, espressione di un’opinione ideologica, un punto di intersezione tra temi e motivi. Come sintetizza incisivamente Brian Richardson, “[t]he general premise is that literary characters are not like people at all, but rather ultimately arbitrary verbal constructs within a recognizable narrative structure” (Richardson 1997: 91). A questo proposito si possono ricordare anche le parole di Joel Weinsheimer, il quale osserva in maniera molto lucida che in questo frangente “characters lose their privilege, their central status, and their definition […]. As segments of a closed text, characters at most are

patterns of recurrence, motifs which are continually recontextualized in other motifs. In [formalist] criticism, characters dissolve” (Weinsheimer 1979: 195).

Inizialmente avanzata da T. S. Eliot nel suo saggio “Tradition and the Individual Talent” (1919), l’ipotesi di un rapporto di subordinazione del personaggio rispetto la funzione testuale attribuitagli dall’autore viene portata avanti dai formalisti russi e cecoslovacchi, dal New Criticism angloamericano, e dallo strutturalismo francese e israeliano.

Il personaggio viene accantonato poiché considerato addirittura come un elemento irrilevante ai fini dell’analisi testuale; una simile posizione si può trovare, ad esempio, in “The Intentional Fallacy” (1946, rivisto nel 1954) di Wimsatt e Beardsley, nel volume Theory of Literature curato da Wellek e Warren (1949), e nei fondamentali studi di Robbe-Grillet’s sul nouveau roman, in seguito raccolti nel volume Pour un nouveau roman [Per un Nuovo Romanzo, 1963]. Qui, discutendo contro una serie di nozioni definite ‘obsolete’, Robbe-Grillet afferma che “les créateurs de personnages, au sens traditionnel, ne réussissent plus à nous proposer que des fantoches aux quels eux- mêmes ont cessé de croire”10 (Robbe-Grillet 1963: 28). Per approfondire la questione, pare rilevante citare anche l’articolo “La mort du personnage” [“La morte del personaggio”, 1957], in cui Robbe-Grillet spiega che “[l]e roman paraît chanceler, ayant perdu son meilleur soutien d’autrefois, le héros”11 (Robbe-Grillet 1957: 20).

Un altro significativo attacco alla nozione si può ritrovare in S/Z (1970) di Roland Barthes, il quale presenta il personaggio come aggregato di semi legato ad un nome proprio, o come paradigma di tratti descritto dalle parole. Il concetto sembra quasi esser stato messo in disparte dal panorama narratologico in favore della nozione di ‘voce’. Nonostante ciò, va sottolineata la centralità che Barthes assegna in questo studio all’elemento onomastico, in seguito trattato ampiamente da Lamping (1983) e Birus (1987). In accordo con Barthes si riterrà utile recuperare proprio il nome come uno dei nodi teorici per un nuovo modello di personaggio. Inoltre, occorre valorizzare la posizione barthesiana secondo cui il personaggio letterario non debba esser in alcun modo visto come una persona in carne ed ossa, in quanto aggregato di semi.

In maniera simile a Barthes, Jurij Lotman (1970) descrive il personaggio come la somma di opposizioni binarie rispetto ad altri personaggi nel testo che, insieme, costituiscono un paradigma. Il personaggio diviene dunque parte integrante di una costellazione di altri personaggi, con i quali condivide tratti comuni (paralleli) e opposti (contrastanti). Per comprendere questo aggregato di tratti come un unicum,

Lotman introduce il vago concetto di ‘codice culturale’. Questo codice è lo stesso che consente la percezione delle persone nella vita quotidiana, andando a creare tra narrazione e vita reale un legame indissolubile: se da un lato per capire il personaggio si ricorre alla conoscenza che si ha delle persone, determinandone la plausibilità o meno, dall’altro il modo in cui certi personaggi vengono presentati nella narrazione influisce sulla percezione del lettore dei propri simili. Contemporaneamente, questo codice contiene preziose informazioni che riguardano unicamente la percezione del personaggio, con particolare riferimento ai personaggi-tipo. La visione di Lotman pare in un certo senso semplicista nella sua descrizione basata su opposizioni binarie; tuttavia, sarà proprio il concetto di funzione a caratterizzare i modelli attanziali.

Nell’ambito degli approcci antimimetici si possono dunque ricordare anche i modelli attanziali di personaggio. Come ravvisa correttamente Fotis Jannidis, “[m]ost of the common labels for character in use refer to the role a character has in action” (2010). Il principale modello attanziale, proposto da Algirdas Julien Greimas, prende le mosse direttamente dall’antica teorizzazione di personaggio fornita da Aristotele, secondo cui la tragedia non è una rappresentazione degli uomini ma un esempio di azione. Inoltre, non è possibile avere una tragedia priva di azione, ma si può avere una tragedia senza alcuno studio dei personaggi. Antecedente allo studio di Greimas, ma molto simile in quanto a contenuto, lo studio sulla fiaba russa Морфология Волшебной Сказки [Morfologia della Fiaba, 1928] di Vladimir Jakovlevič Propp12 descrive una serie di funzioni attribuite a otto principali aree d’azione o tipi di personaggio. Nel 1966 in Sémantique Structurale: Recherche et Méthode Greimas generalizza questo schema nel suo modello proposto, secondo cui il personaggio non è che l’espressione di una implicita grammatica narrativa13 sostanzialmente composta da sei ruoli attanziali, raggruppati in coppie: l’eroe (‘sujet’) e la sua ricerca (‘objet’); il destinatore (‘destinateur’) e il destinatario (‘destinataire’), l’aiutante (‘adjvant’) e l’oppositore (‘opposant’) (1966: 156). È importante aggiungere, a questo punto, che secondo Greimas ogni personaggio viene definito da uno o più di questi elementi: un medesimo personaggio può avere diversi ruoli nel corso della narrazione, come più personaggi possono condividere un medesimo ruolo. Riferendosi alla letteratura novecentesca, Hansen riscontra seri problemi nell’applicazione di un modello attanziale: “[d]ie

12 Si segnala un interessante studio sull’applicazione delle categorie di Propp applicate ad opere appartenenti ad un contesto non russo: “Propp e le fiabe non russe” di Piretto (1981).

13 Partendo dall’idea introdotta da Greimas secondo cui ogni storia ha una struttura interna, Schank ha ha elaborato un modello basandolo concetto di ‘scheletro narrativo’. Ciascuna narrazione, e di conseguenza i suoi personaggi, possono essere interpretati a partire da un concetto base sottinteso dalla storia (Schank 1995 capitolo 6).

Anwendung des Aktantenmodells auf die Literatur des 20. Jahrhunderts ist dagegen deutlich schwiriger”14 (2008: 245).

Anche i modelli strutturalisti, alla pari di quelli mimetici, pongono non poche difficoltà. Oltre all’evidente marginalizzazione di questa figura nell’orizzonte narratologico, dalla comparazione delle formulazioni strutturaliste emerge, nel migliore dei casi, una visione del personaggio come un’entità piatta. Inoltre, considerare il personaggio come un mero aggregato di parole pone una serie di problemi pratici e teorici. Come riuscire a comunicare la ricchezza dei personaggi dei romanzi di Nabokov seguendo l’orientamento proposto dagli strutturalisti?

Nonostante ciò, l’importanza della stagione strutturalista, come rimarca anche Richardson (2006: 86), è stata quella di permettere di capire che i personaggi possono essere concepiti sia come entità simili agli esseri umani sia come funzioni testuali. Inoltre, come sottolineato nel corso della discussione, alcune riflessioni meritano di essere recuperate nell’ottica di un nuovo modello di personaggio.

II. 4. Gli approcci della narratologia postclassica