Già nell’elemento paratestuale è possibile ottenere un’indicazione sul nome del personaggio principale attorno al quale ruota la narrazione: Gustave Flaubert (1821- 1880). L’incipit del romanzo rafforza l’impressione di trovarsi di fronte alla presenza monolitica, letteralmente statuaria di un colosso della letteratura; il narratore, Geoffrey Braithawaite, inaugura il suo racconto parlando del monumento raffigurante lo scrittore:
Let me start with the statue: the one above, the permanent, unstylish one, the one crying cupreous tears, the floppy-tied, square-waistcoated, baggy-trousered, straggle- moustached, wary, aloof bequeathed image of the man. Flaubert doesn’t return the gaze. He stares south from the place des Carmes towards the Cathedral, out over the city he despised, and which in turn has largely ignored him. The head is defensively high: only the pigeons can see the full extent of the writer’s baldness (Barnes 2009: 11)8.
Le aspettative vengono però subito disilluse: invece di vedere attraverso le parole l’imponenza di questa figura, il lettore deve confrontarsi con uno sguardo che lo ignora, così come la sua stessa città ha ignorato lui. Come se non bastasse, viene rapidamente aggiunto alla narrazione un dettaglio dal gusto decisamente ironico: grazie ad un punto di vista privilegiato, i piccioni sono gli unici che possono osservare appieno la fronte alta della statua, nonché la sua calvizie. L’irriverenza nella descrizione del personaggio, presentato attraverso una delle sue tante manifestazioni ‘fisiche’, smorza rapidamente i sentimenti di reverenza nei confronti di uno scrittore canonico.
Man mano che la narrazione procede, la ‘pesantezza’ iniziale della figura si alleggerisce gradualmente, grazie anche alle ‘variazioni a tema’ che vengono proposte a proposito del nome. Anzitutto, il nome di Flaubert si moltiplica nello spazio: nel testo si trovano una “Avenue Gustave Flaubert”, uno snack-bar “Le Flaubert”, persino un’ “Ambulance
8 Tutte le citazioni estrapolate da questo romanzo vanno riferite alla seguente edizione: Barnes, J. (2009) Flaubert’s Parrot. London: Vintage.
Flaubert” (Barnes 2009: 18), per poi ritrovare, poco dopo, un altro bar “Le Flaubert” (Barnes 2009: 20). Il personaggio, dunque, che essendo morto è assente dalla scena della narrazione, è presente nel testo attraverso i nomi che vengono attribuiti a luoghi a loro volta collegati alla sua esistenza. Il fatto che un bar o un’ambulanza possano chiamarsi allo stesso modo del grande autore inevitabilmente trasmettono un senso di giocosa ironia, quel “modern mode: either the devil’s mark or the snorkel of sanity” (Barnes 2009: 155) che diventa una delle cifre testuali, nonché uno dei motivi principali per il quale questo romanzo viene considerato un modello di letteratura postmoderna. L’elemento ironico legato al nome viene ripreso anche in occasione della narrazione di un divertente episodio accaduto realmente nella vita di Flaubert:
The first time Flaubert saw his name advertised – as the author of Madame Bovary, shortly to be serialised in the Revue de Paris – it was spelt Faubert. [...] As he pointed out to Bouilhet, the Revue’s version of his name was only a letter away from an unwanted commercial pun: Faubet being the name of a grocer in the rue Richelieu, just opposite the Comédie-Française. ‘Even before I’ve appeared, they skin me alive’ (Barnes 2009: 83).
Simili sbagli possono capitare nella vita reale: in questo senso, l’elemento ironico potrebbe non essere considerato come indice di unnaturalness nella rappresentazione del personaggio. D’altra parte, però, va sottolineato l’aspetto della sostituzione, dell’errore, che consentono ad un’attività commerciale di entrare a pieno titolo nella caratterizzazione del personaggio, come un tassello di mosaico che contribuisce a crearne un’immagine ‘cubista’.
Nel quattordicesimo capitolo, nella sezione intitolata “Phonetics”, la speculazione sul nome del protagonista viene unita anche ad una riflessione sulla derivazione del nome di altri personaggi, posti ad un differente livello diegetico, creando una sottile rete di corrispondenze tra fiction e mondo reale:
a) The co-proprietor of the Hôtel du Nil, Cairo, where Flaubert stayed in 1850, was called Bouvaret. The protagonist of his first novel is called Bovary; the co-protagonist of his last novel is called Bouvards. In his play Le Candidat there is a Comte de Bouvigny; in his play
Le Château des cœurs there is a Bouvignard. Is this all deliberate?
b) Flaubert’s name was first misprinted by the Revue de Paris as Faubert. There was a grocer in the rue Richelieu called Faubet. When La Presse reported the trial of Madame Bovary, they called its author Foubert. Martine, George Sand’s femme de confiance, called him Flambart. Camille Rogier, the painter who lived in Beirut, called him Folbert: ‘Do you get the subtlety of the joke?’ Gustave wrote to his mother. (What is the joke? Presumably a dual-language rendering of the novelist’s self-image: Rogier was calling him Crazy
Bear.) Bouilhet also started calling him Folbert. In Mantes, where he used to meet Louise, there was a Café Flambert. Is this all coincidence?
c) According to Du Camp, the name Bovary should be pronounced with a short o (as in brother). Should we follow his instruction; and if so, why? (Barnes 2009: 178)
Prodotto in un contesto che mette in rilievo le potenzialità fonetiche e morfologiche del nome9, l’inevitabile scambio tra letteratura e realtà procede in parallelo con una caratterizzazione composita e antimimetica del protagonista, Flaubert, che si ritrova a coesistere fluidamente in uno spazio finzionale assieme ai suoi personaggi, i quali dovrebbero essere invece collocati in uno spazio narrativo altro. Si realizza quindi un sostanziale appiattimento di questa figura realmente esistita, ridotta ad essere personaggio di carta al pari delle sue invenzioni. Nondimeno, va sottolineato il sostanziale parallelismo tra i punti a) e b): così come in letteratura coesistono diverse varianti di uno stesso nome (creando un complesso intreccio genetico), così può accadere nella vita reale, per errore. Nel primo caso, il narratore si chiede fino a che punto si tratti di una scelta; nel secondo caso, invece, si interroga sul ruolo delle coincidenze. Realtà e finzione sono quindi posti in un rapporto di stretta affinità, che però si rivela essere anche stridente. Il risultato è comunque univoco: attraverso le ‘varianti’ del nome si verifica una proliferazione di immagini distorte dell’ ‘originale’, Flaubert.
L’inversione di prospettiva avvenuta in apertura del romanzo con la descrizione ironica della statua si ripete specularmente non soltanto nel sapiente sfruttamento delle potenzialità insite nel nome del personaggio, ma si verifica soprattutto nel corso delle indagini svolte dal narratore.